martedì 17 maggio 2016

Alle radici dell'orrore che abbiamo scatenato: 100 anni dagli accordi Sykes-Picot



Sykes-Picot, quei confini tracciati col righello che si stanno sbriciolando 
Cesare Martinetti Busiarda 17 5 2016
Sarebbe davvero stato difficile immaginare anniversario più caldo: tuttora si combatte e si muore su quelle righe tracciate con squadra e matita sulle mappe del deserto del Medio Oriente. Ancora oggi il califfo nero Al Baghdadi, capo di quell’entità feroce e mutevole che si chiama Stato islamico, proclama che l’avanzata dei suoi «non si fermerà fino a che non sarà stato piantato l’ultimo chiodo sulla bara della cospirazione Sykes-Picot». Esattamente cent’anni fa, nell’ufficio dove ora siede il premier britannico David Cameron, Mark Sykes e François Picot, in rappresentanza di Gran Bretagna e Francia, si spartivano le spoglie dell’impero Ottomano siglando - con l’intesa silenziosa della Russia - quello che venne chiamato «Accordo sull’Asia minore». Il testo rimase segreto fino a quando non fu rivelato da Lenin e Trotzkij, un anno dopo, a rivoluzione d’Ottobre compiuta e zar deposto. Su quell’intesa si è costruita l’architettura geopolitica che per effetto della guerra in Siria si sta decomponendo secondo linee di frattura che ripropongono le divisioni che quegli accordi avevano composto solo virtualmente.
Secondo l’accordo, l’area che chiamiamo Medio Oriente veniva divisa in due parti pressoché uguali. La zona a Nord, denominata banalmente «A» dove si trovano Libano e Siria, cadeva sotto l’influenza francese; la zona «B» con Giordania e Iraq, andava invece alla Gran Bretagna. La Palestina, dove sarebbe poi nato lo Stato di Israele rimaneva fuori dall’intesa. Sulle mappe di allora e le carte geografiche di oggi i confini sono effettivamente delle linee dritte, come si era brutalmente espresso Sykes a proposito della ideale linea di divisione: «Dalla A del porto di Acri all’ultima K di Kirkuk». 
Francia e Gran Bretagna si impegnavano a non cedere a terzi nessuna porzione del loro territorio, a non fare nulla senza un’intesa reciproca. C’era il disegno dichiarato di favorire la nascita di uno Stato arabo o una confederazione di Stati arabi. Su questa operazione Londra si era impegnata direttamente con le armi e attraverso il lavoro diplomatico e avventuroso del leggendario colonnello Thomas Edward Lawrence, detto Lawrence d’Arabia, presso lo sceicco di La Mecca Hussein al-Hashimi. L’uno e l’altro vennero traditi dalla volontà occidentale di dividere gli arabi e dal timore di veder crescere una potenza egemone nella regione. Lawrence si ritirò nella campagna inglese a scrivere memorie e morì nel 1935 in un incidente di motocicletta tuttora denso di sospetti.
La guerra di oggi dello Stato islamico contro questo vecchio nemico ideale rappresentato dagli accordi Sykes-Picot non fa che riprodurre la logica di tutti conflitti che si sono svolti nel deserto: la conquista di vie di comunicazione e risorse naturali, l’acqua tradizionalmente e - oggi - il petrolio. Uno schema strategico che l’Isis ha tentato di riprodurre anche altrove, in Libia per esempio. La guerra sarà ancora lunga, nel momento stesso in cui si compiono i cento anni dell’intesa che ha segnato la storia del Medio Oriente, gli Stati nazionali disegnati dalla matita dei due militari diplomatici di allora appaiono come fantasmi su una carta geografica che muta di giorno in giorno.
Il giudizio della Storia su quell’accordo è naturalmente contraddittorio. Fu un’intesa segnata dalla cultura coloniale e imperialista e la storia insegna che gli interventi per regolare dall’esterno conflitti etnici e tribali non sono destinati alla lunga durata. La realpolitik dice invece che, per quanto inaccettabile sia, la divisione con riga e squadra non ha evitato le tensioni ma ha consentito di governare in una gabbia istituzionale le dinamiche endemiche di quell’universo tribale. E mai come oggi, da quelle parti, la Storia è in movimento.
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