giovedì 5 maggio 2016

Armstrong: metafisica analitica come noia cosmica

Che cos'è la metafisicaDavid M. Armstrong: Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico, Carocci

Risvolto
Nelle poche e intense pagine del suo ultimo libro, il grande filosofo australiano David M. Armstrong, scomparso nel 2014, ci introduce nei segreti della metafisica contemporanea. Stati di cose, proprietà, leggi di natura, verità e fatti negativi, possibilità e necessità, classi, mente e tempo: tutti i principali temi di cui oggi si discute in metafisica sono trattati con la chiarezza e l'illuminante semplicità che erano caratteristiche dell'autore. Una vera e propria "metafisica sistematica", una delle poche oggi in circolazione, che in questa edizione italiana è tradotta e introdotta da Franca D'Agostini. 




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La nuova filosofia realista riscopre la metafisica 
David Armstrong e David K. Lewis ripropongono una versione moderna della “scienza degli universali” recuperando Aristotele 

Che cos’è la metafisica? Martin Heidegger riteneva che la questione fosse molto complessa, e il suo Was Ist Metaphysik? (1929) è un testo piuttosto complicato, con il celebre sbocco nel «nulla che, esso stesso, annienta (nichtet)». Altri avevano però opinioni diverse. Per esempio, Gustavo Bontadini, come ricorda il suo allievo Giuseppe Barzaghi, pensava che un onesto trattato di metafisica potesse e dovesse essere brevissimo, non più di dieci pagine. 
Il mondo in breve
La metafisica contemporanea, materia estremamente raffinata e specializzata, sembrerebbe confermare la complicazione più che la semplicità. Ma forse non è esattamente così. Forse l’intuizione di Bontadini ha ancora buone ragioni di credibilità. Se non altro, perché un’idea che la filosofia tradizionale condivide con la più avanzata filosofia analitica contemporanea è l’idea che la metafisica è lo studio della realtà in cui viviamo e di cui siamo fatti. E se così è, un simile studio dovrebbe essere semplice, come semplice è il fatto dello stare qui, ora, nel mondo: l’essere deve potersi dire in breve, e senza «annientamenti» o «oltrepassamenti». 
La sfida di una «metafisica in breve» è accolta e, io credo, vinta, dall’ultimo libro di David M. Armstrong, Sketch for a Systematic Metaphysics, ora tradotto con il titolo Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico (Carocci), in uscita il 5 maggio. Scomparso nel 2014, a 88 anni, Armstrong è stato il più illustre esponente del realismo australiano, e uno dei grandi metafisici del Novecento. In un centinaio di pagine, con la chiarezza e l’illuminante semplicità che gli erano caratteristiche, Armstrong ci introduce nel linguaggio e nei problemi della metafisica contemporanea, presentando anzitutto la sua posizione, ma in costante confronto con le posizioni altrui.
Stati di cose, proprietà, leggi di natura, possibilità e necessità, causalità e verità, fatti totali e fatti negativi, tempo, classi, mente: nel breve testo vengono affrontati tutti i problemi della discussione filosofica di oggi intorno alle strutture fondamentali della realtà. Così il libro non è soltanto la presentazione delle idee metafisiche dell’autore, ma anche un rapido ed esaustivo percorso nelle riflessioni dei filosofi contemporanei su ciò che è reale, ciò che non lo è, ciò che potrebbe esserlo, e ciò che non potrebbe in alcun modo esserlo.
Ha scritto Ted Sider, in Writing the Book of the World (2011) che la metafisica analitica contemporanea è stata fatta da «due David»: David Armstrong, e David K. Lewis. I due autori certamente hanno lanciato ipotesi metafisiche ardite e ingegnose. 
Realtà parallele
Armstrong ha rilanciato il realismo aristotelico sugli universali, una teoria decisamente fuori moda (e già parecchio discussa nel medioevo), mostrando che, inaspettatamente, sembra essere molto più sensata della teoria secondo cui tutto ciò che esiste è particolare. Lewis è soprattutto noto come teorico del «realismo modale», ossia l’idea che i mondi possibili esistono, ci sono, esattamente come esiste e c’è il nostro mondo: per esempio da qualche parte c’è il mondo in cui JF Kennedy non è stato ucciso, ma è vissuto a lungo serenamente; c’è un mondo in cui Prince è ancora vivo, e magari non fa la rock star, ma l’impiegato di banca o il cameriere in un fast food. Quel che è interessante e sorprendente dei due autori è che entrambi sono stati naturalisti radicali, cioè per loro la realtà è fisica, materiale: dunque gli universali per Armstrong appartengono al mondo dello spazio-tempo, e i mondi possibili per Lewis sono sistemi spazio-temporali distinti dal nostro mondo, ma concreti e reali esattamente come lo è il mondo attuale. 
Il respiro del pensiero
Simili posizioni possono sembrare bizzarre. Vere e proprie avventure speculative. Ma ad Armstrong e a Lewis si deve anche un rinnovamento profondo dello stile filosofico, una novità che interessa non soltanto le scelte teoriche, ma il modo stesso di praticare e concepire la filosofia. È ancora presto per valutare ciò che la metafisica dei «due David» ha dato effettivamente allo sviluppo della metodologia filosofica contemporanea. Ma c’è almeno una idea che entrambi condivisero, e misero in pratica nei loro scritti: l’idea che la filosofia non è il luogo delle impossibilità, della «fine» di questo di quello, e neppure del «nuovo» a ogni costo: convinzioni, queste, che bloccano la ragione e la rendono sommamente irragionevole. 
Invece, in entrambi gli autori la filosofia per così dire «respira», diventa ricerca libera e avventurosa; non abbandona il suo antico linguaggio, la tradizione, e la semplicità, ma riesce, come diceva Paul Valéry, a «far cantare le idee». 



Che cos’è la metafisica? Martin Heidegger riteneva che la questione fosse molto complessa, e il suo Was Ist Metaphysik? (1929) è un testo piuttosto complicato, con il celebre sbocco nel «nulla che, esso stesso, annienta (nichtet)». Altri avevano però opinioni diverse. Per esempio, Gustavo Bontadini, come ricorda il suo allievo Giuseppe Barzaghi, pensava che un onesto trattato di metafisica potesse e dovesse essere brevissimo, non più di dieci pagine. 
Il mondo in breve
La metafisica contemporanea, materia estremamente raffinata e specializzata, sembrerebbe confermare la complicazione più che la semplicità. Ma forse non è esattamente così. Forse l’intuizione di Bontadini ha ancora buone ragioni di credibilità. Se non altro, perché un’idea che la filosofia tradizionale condivide con la più avanzata filosofia analitica contemporanea è l’idea che la metafisica è lo studio della realtà in cui viviamo e di cui siamo fatti. E se così è, un simile studio dovrebbe essere semplice, come semplice è il fatto dello stare qui, ora, nel mondo: l’essere deve potersi dire in breve, e senza «annientamenti» o «oltrepassamenti». 
La sfida di una «metafisica in breve» è accolta e, io credo, vinta, dall’ultimo libro di David M. Armstrong, Sketch for a Systematic Metaphysics, ora tradotto con il titolo Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico (Carocci), in uscita il 5 maggio. Scomparso nel 2014, a 88 anni, Armstrong è stato il più illustre esponente del realismo australiano, e uno dei grandi metafisici del Novecento. In un centinaio di pagine, con la chiarezza e l’illuminante semplicità che gli erano caratteristiche, Armstrong ci introduce nel linguaggio e nei problemi della metafisica contemporanea, presentando anzitutto la sua posizione, ma in costante confronto con le posizioni altrui.
Stati di cose, proprietà, leggi di natura, possibilità e necessità, causalità e verità, fatti totali e fatti negativi, tempo, classi, mente: nel breve testo vengono affrontati tutti i problemi della discussione filosofica di oggi intorno alle strutture fondamentali della realtà. Così il libro non è soltanto la presentazione delle idee metafisiche dell’autore, ma anche un rapido ed esaustivo percorso nelle riflessioni dei filosofi contemporanei su ciò che è reale, ciò che non lo è, ciò che potrebbe esserlo, e ciò che non potrebbe in alcun modo esserlo.
Ha scritto Ted Sider, in Writing the Book of the World (2011) che la metafisica analitica contemporanea è stata fatta da «due David»: David Armstrong, e David K. Lewis. I due autori certamente hanno lanciato ipotesi metafisiche ardite e ingegnose. 
Realtà parallele
Armstrong ha rilanciato il realismo aristotelico sugli universali, una teoria decisamente fuori moda (e già parecchio discussa nel medioevo), mostrando che, inaspettatamente, sembra essere molto più sensata della teoria secondo cui tutto ciò che esiste è particolare. Lewis è soprattutto noto come teorico del «realismo modale», ossia l’idea che i mondi possibili esistono, ci sono, esattamente come esiste e c’è il nostro mondo: per esempio da qualche parte c’è il mondo in cui JF Kennedy non è stato ucciso, ma è vissuto a lungo serenamente; c’è un mondo in cui Prince è ancora vivo, e magari non fa la rock star, ma l’impiegato di banca o il cameriere in un fast food. Quel che è interessante e sorprendente dei due autori è che entrambi sono stati naturalisti radicali, cioè per loro la realtà è fisica, materiale: dunque gli universali per Armstrong appartengono al mondo dello spazio-tempo, e i mondi possibili per Lewis sono sistemi spazio-temporali distinti dal nostro mondo, ma concreti e reali esattamente come lo è il mondo attuale. 
Il respiro del pensiero
Simili posizioni possono sembrare bizzarre. Vere e proprie avventure speculative. Ma ad Armstrong e a Lewis si deve anche un rinnovamento profondo dello stile filosofico, una novità che interessa non soltanto le scelte teoriche, ma il modo stesso di praticare e concepire la filosofia. È ancora presto per valutare ciò che la metafisica dei «due David» ha dato effettivamente allo sviluppo della metodologia filosofica contemporanea. Ma c’è almeno una idea che entrambi condivisero, e misero in pratica nei loro scritti: l’idea che la filosofia non è il luogo delle impossibilità, della «fine» di questo di quello, e neppure del «nuovo» a ogni costo: convinzioni, queste, che bloccano la ragione e la rendono sommamente irragionevole. 
Invece, in entrambi gli autori la filosofia per così dire «respira», diventa ricerca libera e avventurosa; non abbandona il suo antico linguaggio, la tradizione, e la semplicità, ma riesce, come diceva Paul Valéry, a «far cantare le idee». 



Che cos’è la metafisica? Martin Heidegger riteneva che la questione fosse molto complessa, e il suo Was Ist Metaphysik? (1929) è un testo piuttosto complicato, con il celebre sbocco nel «nulla che, esso stesso, annienta (nichtet)». Altri avevano però opinioni diverse. Per esempio, Gustavo Bontadini, come ricorda il suo allievo Giuseppe Barzaghi, pensava che un onesto trattato di metafisica potesse e dovesse essere brevissimo, non più di dieci pagine. 
Il mondo in breve
La metafisica contemporanea, materia estremamente raffinata e specializzata, sembrerebbe confermare la complicazione più che la semplicità. Ma forse non è esattamente così. Forse l’intuizione di Bontadini ha ancora buone ragioni di credibilità. Se non altro, perché un’idea che la filosofia tradizionale condivide con la più avanzata filosofia analitica contemporanea è l’idea che la metafisica è lo studio della realtà in cui viviamo e di cui siamo fatti. E se così è, un simile studio dovrebbe essere semplice, come semplice è il fatto dello stare qui, ora, nel mondo: l’essere deve potersi dire in breve, e senza «annientamenti» o «oltrepassamenti». 
La sfida di una «metafisica in breve» è accolta e, io credo, vinta, dall’ultimo libro di David M. Armstrong, Sketch for a Systematic Metaphysics, ora tradotto con il titolo Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico (Carocci), in uscita il 5 maggio. Scomparso nel 2014, a 88 anni, Armstrong è stato il più illustre esponente del realismo australiano, e uno dei grandi metafisici del Novecento. In un centinaio di pagine, con la chiarezza e l’illuminante semplicità che gli erano caratteristiche, Armstrong ci introduce nel linguaggio e nei problemi della metafisica contemporanea, presentando anzitutto la sua posizione, ma in costante confronto con le posizioni altrui.
Stati di cose, proprietà, leggi di natura, possibilità e necessità, causalità e verità, fatti totali e fatti negativi, tempo, classi, mente: nel breve testo vengono affrontati tutti i problemi della discussione filosofica di oggi intorno alle strutture fondamentali della realtà. Così il libro non è soltanto la presentazione delle idee metafisiche dell’autore, ma anche un rapido ed esaustivo percorso nelle riflessioni dei filosofi contemporanei su ciò che è reale, ciò che non lo è, ciò che potrebbe esserlo, e ciò che non potrebbe in alcun modo esserlo.
Ha scritto Ted Sider, in Writing the Book of the World (2011) che la metafisica analitica contemporanea è stata fatta da «due David»: David Armstrong, e David K. Lewis. I due autori certamente hanno lanciato ipotesi metafisiche ardite e ingegnose. 
Realtà parallele
Armstrong ha rilanciato il realismo aristotelico sugli universali, una teoria decisamente fuori moda (e già parecchio discussa nel medioevo), mostrando che, inaspettatamente, sembra essere molto più sensata della teoria secondo cui tutto ciò che esiste è particolare. Lewis è soprattutto noto come teorico del «realismo modale», ossia l’idea che i mondi possibili esistono, ci sono, esattamente come esiste e c’è il nostro mondo: per esempio da qualche parte c’è il mondo in cui JF Kennedy non è stato ucciso, ma è vissuto a lungo serenamente; c’è un mondo in cui Prince è ancora vivo, e magari non fa la rock star, ma l’impiegato di banca o il cameriere in un fast food. Quel che è interessante e sorprendente dei due autori è che entrambi sono stati naturalisti radicali, cioè per loro la realtà è fisica, materiale: dunque gli universali per Armstrong appartengono al mondo dello spazio-tempo, e i mondi possibili per Lewis sono sistemi spazio-temporali distinti dal nostro mondo, ma concreti e reali esattamente come lo è il mondo attuale. 
Il respiro del pensiero
Simili posizioni possono sembrare bizzarre. Vere e proprie avventure speculative. Ma ad Armstrong e a Lewis si deve anche un rinnovamento profondo dello stile filosofico, una novità che interessa non soltanto le scelte teoriche, ma il modo stesso di praticare e concepire la filosofia. È ancora presto per valutare ciò che la metafisica dei «due David» ha dato effettivamente allo sviluppo della metodologia filosofica contemporanea. Ma c’è almeno una idea che entrambi condivisero, e misero in pratica nei loro scritti: l’idea che la filosofia non è il luogo delle impossibilità, della «fine» di questo di quello, e neppure del «nuovo» a ogni costo: convinzioni, queste, che bloccano la ragione e la rendono sommamente irragionevole. 
Invece, in entrambi gli autori la filosofia per così dire «respira», diventa ricerca libera e avventurosa; non abbandona il suo antico linguaggio, la tradizione, e la semplicità, ma riesce, come diceva Paul Valéry, a «far cantare le idee». 




Che cos’è la metafisica? Martin Heidegger riteneva che la questione fosse molto complessa, e il suo Was Ist Metaphysik? (1929) è un testo piuttosto complicato, con il celebre sbocco nel «nulla che, esso stesso, annienta (nichtet)». Altri avevano però opinioni diverse. Per esempio, Gustavo Bontadini, come ricorda il suo allievo Giuseppe Barzaghi, pensava che un onesto trattato di metafisica potesse e dovesse essere brevissimo, non più di dieci pagine. 
Il mondo in breve
La metafisica contemporanea, materia estremamente raffinata e specializzata, sembrerebbe confermare la complicazione più che la semplicità. Ma forse non è esattamente così. Forse l’intuizione di Bontadini ha ancora buone ragioni di credibilità. Se non altro, perché un’idea che la filosofia tradizionale condivide con la più avanzata filosofia analitica contemporanea è l’idea che la metafisica è lo studio della realtà in cui viviamo e di cui siamo fatti. E se così è, un simile studio dovrebbe essere semplice, come semplice è il fatto dello stare qui, ora, nel mondo: l’essere deve potersi dire in breve, e senza «annientamenti» o «oltrepassamenti». 
La sfida di una «metafisica in breve» è accolta e, io credo, vinta, dall’ultimo libro di David M. Armstrong, Sketch for a Systematic Metaphysics, ora tradotto con il titolo Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico (Carocci), in uscita il 5 maggio. Scomparso nel 2014, a 88 anni, Armstrong è stato il più illustre esponente del realismo australiano, e uno dei grandi metafisici del Novecento. In un centinaio di pagine, con la chiarezza e l’illuminante semplicità che gli erano caratteristiche, Armstrong ci introduce nel linguaggio e nei problemi della metafisica contemporanea, presentando anzitutto la sua posizione, ma in costante confronto con le posizioni altrui.
Stati di cose, proprietà, leggi di natura, possibilità e necessità, causalità e verità, fatti totali e fatti negativi, tempo, classi, mente: nel breve testo vengono affrontati tutti i problemi della discussione filosofica di oggi intorno alle strutture fondamentali della realtà. Così il libro non è soltanto la presentazione delle idee metafisiche dell’autore, ma anche un rapido ed esaustivo percorso nelle riflessioni dei filosofi contemporanei su ciò che è reale, ciò che non lo è, ciò che potrebbe esserlo, e ciò che non potrebbe in alcun modo esserlo.
Ha scritto Ted Sider, in Writing the Book of the World (2011) che la metafisica analitica contemporanea è stata fatta da «due David»: David Armstrong, e David K. Lewis. I due autori certamente hanno lanciato ipotesi metafisiche ardite e ingegnose. 
Realtà parallele
Armstrong ha rilanciato il realismo aristotelico sugli universali, una teoria decisamente fuori moda (e già parecchio discussa nel medioevo), mostrando che, inaspettatamente, sembra essere molto più sensata della teoria secondo cui tutto ciò che esiste è particolare. Lewis è soprattutto noto come teorico del «realismo modale», ossia l’idea che i mondi possibili esistono, ci sono, esattamente come esiste e c’è il nostro mondo: per esempio da qualche parte c’è il mondo in cui JF Kennedy non è stato ucciso, ma è vissuto a lungo serenamente; c’è un mondo in cui Prince è ancora vivo, e magari non fa la rock star, ma l’impiegato di banca o il cameriere in un fast food. Quel che è interessante e sorprendente dei due autori è che entrambi sono stati naturalisti radicali, cioè per loro la realtà è fisica, materiale: dunque gli universali per Armstrong appartengono al mondo dello spazio-tempo, e i mondi possibili per Lewis sono sistemi spazio-temporali distinti dal nostro mondo, ma concreti e reali esattamente come lo è il mondo attuale. 
Il respiro del pensiero
Simili posizioni possono sembrare bizzarre. Vere e proprie avventure speculative. Ma ad Armstrong e a Lewis si deve anche un rinnovamento profondo dello stile filosofico, una novità che interessa non soltanto le scelte teoriche, ma il modo stesso di praticare e concepire la filosofia. È ancora presto per valutare ciò che la metafisica dei «due David» ha dato effettivamente allo sviluppo della metodologia filosofica contemporanea. Ma c’è almeno una idea che entrambi condivisero, e misero in pratica nei loro scritti: l’idea che la filosofia non è il luogo delle impossibilità, della «fine» di questo di quello, e neppure del «nuovo» a ogni costo: convinzioni, queste, che bloccano la ragione e la rendono sommamente irragionevole. 
Invece, in entrambi gli autori la filosofia per così dire «respira», diventa ricerca libera e avventurosa; non abbandona il suo antico linguaggio, la tradizione, e la semplicità, ma riesce, come diceva Paul Valéry, a «far cantare le idee». 


In alto, di Atene uno dei più famosi e citati quadri di Raffaello (databile tra il 1509 e il 1511) Al centro, Platone indica il cielo e Aristotele la terra 


Che cos’è la metafisica? Martin Heidegger riteneva che la questione fosse molto complessa, e il suo Was Ist Metaphysik? (1929) è un testo piuttosto complicato, con il celebre sbocco nel «nulla che, esso stesso, annienta (nichtet)». Altri avevano però opinioni diverse. Per esempio, Gustavo Bontadini, come ricorda il suo allievo Giuseppe Barzaghi, pensava che un onesto trattato di metafisica potesse e dovesse essere brevissimo, non più di dieci pagine. 
Il mondo in breve
La metafisica contemporanea, materia estremamente raffinata e specializzata, sembrerebbe confermare la complicazione più che la semplicità. Ma forse non è esattamente così. Forse l’intuizione di Bontadini ha ancora buone ragioni di credibilità. Se non altro, perché un’idea che la filosofia tradizionale condivide con la più avanzata filosofia analitica contemporanea è l’idea che la metafisica è lo studio della realtà in cui viviamo e di cui siamo fatti. E se così è, un simile studio dovrebbe essere semplice, come semplice è il fatto dello stare qui, ora, nel mondo: l’essere deve potersi dire in breve, e senza «annientamenti» o «oltrepassamenti». 
La sfida di una «metafisica in breve» è accolta e, io credo, vinta, dall’ultimo libro di David M. Armstrong, Sketch for a Systematic Metaphysics, ora tradotto con il titolo Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico (Carocci), in uscita il 5 maggio. Scomparso nel 2014, a 88 anni, Armstrong è stato il più illustre esponente del realismo australiano, e uno dei grandi metafisici del Novecento. In un centinaio di pagine, con la chiarezza e l’illuminante semplicità che gli erano caratteristiche, Armstrong ci introduce nel linguaggio e nei problemi della metafisica contemporanea, presentando anzitutto la sua posizione, ma in costante confronto con le posizioni altrui.
Stati di cose, proprietà, leggi di natura, possibilità e necessità, causalità e verità, fatti totali e fatti negativi, tempo, classi, mente: nel breve testo vengono affrontati tutti i problemi della discussione filosofica di oggi intorno alle strutture fondamentali della realtà. Così il libro non è soltanto la presentazione delle idee metafisiche dell’autore, ma anche un rapido ed esaustivo percorso nelle riflessioni dei filosofi contemporanei su ciò che è reale, ciò che non lo è, ciò che potrebbe esserlo, e ciò che non potrebbe in alcun modo esserlo.
Ha scritto Ted Sider, in Writing the Book of the World (2011) che la metafisica analitica contemporanea è stata fatta da «due David»: David Armstrong, e David K. Lewis. I due autori certamente hanno lanciato ipotesi metafisiche ardite e ingegnose. 
Realtà parallele
Armstrong ha rilanciato il realismo aristotelico sugli universali, una teoria decisamente fuori moda (e già parecchio discussa nel medioevo), mostrando che, inaspettatamente, sembra essere molto più sensata della teoria secondo cui tutto ciò che esiste è particolare. Lewis è soprattutto noto come teorico del «realismo modale», ossia l’idea che i mondi possibili esistono, ci sono, esattamente come esiste e c’è il nostro mondo: per esempio da qualche parte c’è il mondo in cui JF Kennedy non è stato ucciso, ma è vissuto a lungo serenamente; c’è un mondo in cui Prince è ancora vivo, e magari non fa la rock star, ma l’impiegato di banca o il cameriere in un fast food. Quel che è interessante e sorprendente dei due autori è che entrambi sono stati naturalisti radicali, cioè per loro la realtà è fisica, materiale: dunque gli universali per Armstrong appartengono al mondo dello spazio-tempo, e i mondi possibili per Lewis sono sistemi spazio-temporali distinti dal nostro mondo, ma concreti e reali esattamente come lo è il mondo attuale. 
Il respiro del pensiero
Simili posizioni possono sembrare bizzarre. Vere e proprie avventure speculative. Ma ad Armstrong e a Lewis si deve anche un rinnovamento profondo dello stile filosofico, una novità che interessa non soltanto le scelte teoriche, ma il modo stesso di praticare e concepire la filosofia. È ancora presto per valutare ciò che la metafisica dei «due David» ha dato effettivamente allo sviluppo della metodologia filosofica contemporanea. Ma c’è almeno una idea che entrambi condivisero, e misero in pratica nei loro scritti: l’idea che la filosofia non è il luogo delle impossibilità, della «fine» di questo di quello, e neppure del «nuovo» a ogni costo: convinzioni, queste, che bloccano la ragione e la rendono sommamente irragionevole. 
Invece, in entrambi gli autori la filosofia per così dire «respira», diventa ricerca libera e avventurosa; non abbandona il suo antico linguaggio, la tradizione, e la semplicità, ma riesce, come diceva Paul Valéry, a «far cantare le idee». 



Che cos’è la metafisica? Martin Heidegger riteneva che la questione fosse molto complessa, e il suo Was Ist Metaphysik? (1929) è un testo piuttosto complicato, con il celebre sbocco nel «nulla che, esso stesso, annienta (nichtet)». Altri avevano però opinioni diverse. Per esempio, Gustavo Bontadini, come ricorda il suo allievo Giuseppe Barzaghi, pensava che un onesto trattato di metafisica potesse e dovesse essere brevissimo, non più di dieci pagine. 
Il mondo in breve
La metafisica contemporanea, materia estremamente raffinata e specializzata, sembrerebbe confermare la complicazione più che la semplicità. Ma forse non è esattamente così. Forse l’intuizione di Bontadini ha ancora buone ragioni di credibilità. Se non altro, perché un’idea che la filosofia tradizionale condivide con la più avanzata filosofia analitica contemporanea è l’idea che la metafisica è lo studio della realtà in cui viviamo e di cui siamo fatti. E se così è, un simile studio dovrebbe essere semplice, come semplice è il fatto dello stare qui, ora, nel mondo: l’essere deve potersi dire in breve, e senza «annientamenti» o «oltrepassamenti». 
La sfida di una «metafisica in breve» è accolta e, io credo, vinta, dall’ultimo libro di David M. Armstrong, Sketch for a Systematic Metaphysics, ora tradotto con il titolo Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico (Carocci), in uscita il 5 maggio. Scomparso nel 2014, a 88 anni, Armstrong è stato il più illustre esponente del realismo australiano, e uno dei grandi metafisici del Novecento. In un centinaio di pagine, con la chiarezza e l’illuminante semplicità che gli erano caratteristiche, Armstrong ci introduce nel linguaggio e nei problemi della metafisica contemporanea, presentando anzitutto la sua posizione, ma in costante confronto con le posizioni altrui.
Stati di cose, proprietà, leggi di natura, possibilità e necessità, causalità e verità, fatti totali e fatti negativi, tempo, classi, mente: nel breve testo vengono affrontati tutti i problemi della discussione filosofica di oggi intorno alle strutture fondamentali della realtà. Così il libro non è soltanto la presentazione delle idee metafisiche dell’autore, ma anche un rapido ed esaustivo percorso nelle riflessioni dei filosofi contemporanei su ciò che è reale, ciò che non lo è, ciò che potrebbe esserlo, e ciò che non potrebbe in alcun modo esserlo.
Ha scritto Ted Sider, in Writing the Book of the World (2011) che la metafisica analitica contemporanea è stata fatta da «due David»: David Armstrong, e David K. Lewis. I due autori certamente hanno lanciato ipotesi metafisiche ardite e ingegnose. 
Realtà parallele
Armstrong ha rilanciato il realismo aristotelico sugli universali, una teoria decisamente fuori moda (e già parecchio discussa nel medioevo), mostrando che, inaspettatamente, sembra essere molto più sensata della teoria secondo cui tutto ciò che esiste è particolare. Lewis è soprattutto noto come teorico del «realismo modale», ossia l’idea che i mondi possibili esistono, ci sono, esattamente come esiste e c’è il nostro mondo: per esempio da qualche parte c’è il mondo in cui JF Kennedy non è stato ucciso, ma è vissuto a lungo serenamente; c’è un mondo in cui Prince è ancora vivo, e magari non fa la rock star, ma l’impiegato di banca o il cameriere in un fast food. Quel che è interessante e sorprendente dei due autori è che entrambi sono stati naturalisti radicali, cioè per loro la realtà è fisica, materiale: dunque gli universali per Armstrong appartengono al mondo dello spazio-tempo, e i mondi possibili per Lewis sono sistemi spazio-temporali distinti dal nostro mondo, ma concreti e reali esattamente come lo è il mondo attuale. 
Il respiro del pensiero
Simili posizioni possono sembrare bizzarre. Vere e proprie avventure speculative. Ma ad Armstrong e a Lewis si deve anche un rinnovamento profondo dello stile filosofico, una novità che interessa non soltanto le scelte teoriche, ma il modo stesso di praticare e concepire la filosofia. È ancora presto per valutare ciò che la metafisica dei «due David» ha dato effettivamente allo sviluppo della metodologia filosofica contemporanea. Ma c’è almeno una idea che entrambi condivisero, e misero in pratica nei loro scritti: l’idea che la filosofia non è il luogo delle impossibilità, della «fine» di questo di quello, e neppure del «nuovo» a ogni costo: convinzioni, queste, che bloccano la ragione e la rendono sommamente irragionevole. 
Invece, in entrambi gli autori la filosofia per così dire «respira», diventa ricerca libera e avventurosa; non abbandona il suo antico linguaggio, la tradizione, e la semplicità, ma riesce, come diceva Paul Valéry, a «far cantare le idee». 


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