martedì 31 maggio 2016

Gli scritti di Camillo Olivetti

Tre Scritti di Camillo OlivettiCamillo Olivetti: Tre scritti sulla fabbrica, la formazione e la solidarietà, postfazione di Carlo G. Lacaita, Edizioni di Comunità, pp. 62, euro 8

Risvolto
Tre scritti per comprendere le radici dell’impresa diventata grande sotto la guida di Adriano Olivetti ma che ebbe origine dal genio, dalla competenza tecnica e dal senso di responsabilità sociale di suo padre Camillo. Un’eredità di riflessioni sulla vita di una fabbrica, capace ancora oggi di ispirare e porre domande su quale sia il ruolo di un vero imprenditore.
“È necessario che i capi stiano in officina almeno un’ora in più degli operai per studiare il lavoro. La vita di chi si dedica all’industria con un certo grado di idealismo è ingrata e difficile”

CAMILLO OLIVETTI (1868-1943) – Attivista socialista, eclettico inventore e fine progettista, dopo aver insegnato ingegneria all’università di Stanford fondò nel 1908 a Ivrea la “Prima fabbrica italiana di macchine per scrivere”. Non rinunciò mai a occuparsi in prima persona delle questioni di progettistica e di formazione tecnica, fino alla morte avvenuta in clandestinità a Biella durante la guerra.
Le macchine pensanti di un innovatore 

SAGGI. Tre scritti di Camillo Olivetti per le edizioni di Comunità. Fabbrica, solidarietà e formazione: un progetto su basi umanistiche di un uomo del secondo '800 

Giacomo Giossi Manifesto 31.5.2016, 0:01 
Abituati ormai a programmi, relazioni, meeting, piani previsionali e grandi costruzioni narrative preparate da ingegnosi e abili reparti marketing stupiscono le leggere trentadue pagine che compongono nella forma di tre brevi scritti le basi o meglio le radici di quella che sarebbe diventata la più visionaria azione imprenditoriale del Novecento italiano ossia l’Olivetti; pensata immaginata e inventata da Camillo Olivetti, padre di Adriano. 
Camillo Olivetti nasce a Ivrea nel 1868 e ben presto rivela il proprio positivo eclettismo capace d’interpretare i tempi anticipandoli, vedendo nel germogliare dell’industrializzazione come delle idee socialiste il piano d’equilibro su cui impostare la propria impresa. Dopo la laurea Olivetti lavora in una fabbrica elettrotecnica di Londra, segue il proprio maestro Galileo Ferraris negli Stati Uniti dove diviene suo assistente alla Standford University. Quando nel 1908 fonda l’omonima impresa a Ivrea, Olivetti è un uomo maturo, con un’esperienza internazionale e privo di barriere ideologiche. La sua visione nasce dalla prassi, da una quotidianità in cui sorgono le idee fondanti di quel concetto di comunità di cui Olivetti e in particolare il figlio Adriano diverranno i portatori. 
Tre scritti sulla fabbrica, la formazione e la solidarietà (Edizioni di Comunità, pp. 62, euro 8, con una postfazione di Carlo G. Lacaita) è un volume fondamentale, chiaro e incisivo sul senso di fare impresa e di pensare la società. Una vera e propria agile narrazione capace di dialogare senza che vi si avverta la distanza storica, con i problemi e le contraddizioni contemporanei.
Camillo Olivetti costruisce un percorso dentro al quale gli elementi chiamati alla costruzione dell’impresa sono tutti necessari a uno sviluppo che può essere tale solo se diffuso e comune; solo se ognuno nel proprio ruolo viene messo in grado di accedere alle proprie responsabilità con pienezza e consapevolezza. Un miglioramento intellettuale obbligatorio e continuo che è sostanzialmente necessario per cogliere le sfide del futuro. Il centro del discorso di Olivetti pone dunque i diritti a priori, non è infatti pensabile discutere di una eventuale limitazione dei diritti in un ambito così prezioso come la produzione. Il lavoro dove si concentra il cuore dello sviluppo economico e quindi sociale e culturale di un’impresa al cui centro viene posto il ruolo ossia la capacità di chi ha maggiori responsabilità nell’organizzazione di saper valorizzare i vari elementi.
Olivetti non declina mai le persone alla loro funzione, ma fa esattamente il contrario immaginando un percorso, un movimento che non riduca mai gli spazi e le ambizioni dei singoli, ovviamente nella responsabilità di un’organizzazione che deve essere anche gerarchica e quindi capace di una produzione efficace di senso.
Uomo del secondo Ottocento, Olivetti vede nel Novecento un passaggio necessario che liberi l’industria da un conflitto sociale non perché causa di un rallentamento allo sviluppo, ma quale risposta efficace alle richieste e alle necessità di una comunità. 

Dei tre testi proposti forse proprio il terzo, che per certi versi è il più intimo e commovente, cioè quello dedicato alla commemorazione di Domenico Burzio, è quello che meglio racconta e spiega l’approccio necessariamente umanistico di Olivetti all’impresa.
In questo breve ricordo letto dall’ingegnere davanti a tutto il personale ritroviamo il percorso biografico di un amico e collaboratore essenziale. Un percorso che s’intreccia a quello del lavoro e dell’impresa quale inevitabile punto di arrivo, di liberazione di ambizioni e competenze reciproche. Domenico Burzio cresce all’interno dell’impresa Olivetti partendo da fuochista fino a raggiungere il ruolo di direttore tecnico. 

Chiaramente nelle parole di Camillo Olivetti c’è tutta la retorica di una comunità che si fa famiglia, di un’impresa che si fa grande madre capace di assolvere ai bisogni e alle necessità dei suoi componenti, ma non c’è mai lo sguardo benevolo del padrone.
Olivetti non ragiona in termini di beneficenza, ma di efficienza. In questo volume ritroviamo quanto sembra essere oggi tanto irraggiungibile (e per alcuni inaccettabile): una visione ovvia di crescita comune e solidale.

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