venerdì 27 maggio 2016

La continuità neoliberale e neobonapartista dall'Ulivo di Prodi e D'Alema al PD di Renzi e Boschi

Quando il Pds di Occhetto voleva una riforma stile Renzi

L’ex ministro Mussi: ma la nostra proposta era equilibrata

di Amedeo La Mattina La Stampa 26.5.16
Oggi la stragrande maggioranza dei sostenitori del No al referendum costituzionale militava nei partiti dell’Ulivo e in particolare nel Pds che nel programma di governo prevedeva il superamento del bicameralismo paritario. Già nel 1994 gli eredi del Pci proponevano, accanto ad un’Assemblea nazionale, una «Camera delle Regioni». In più si ipotizzava una sorta di premierato forte attribuendo al presidente del Consiglio «il potere di nomina e di revoca dei ministri». Potere che nella riforma di Renzi non c’è (continua a rimanere in capo al presidente della Repubblica). Eppure l’allora segretario del Pds Achille Occhetto è schierato per il No, come Fabio Mussi e Cesare Salvi che è stato relatore sulla forma di governo nella Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema.
Perché adesso sono contrari a una riforma che, per certi versi (vedi appunto i poteri del premier), è acqua fresca rispetto a quella immaginata tanti anni fa? «Acqua fresca un corno», sbotta Mussi. L’ex ministro ed ex capogruppo Pds ferma l’auto sull’Aurelia e spiega con la sua notoria verve che è «infantile piluccare un po’ di monocameralismo di Berlinguer e Ingrao, che erano proporzionalisti accaniti, e un po’ di tesi dell’Ulivo». «Le nostre proposte, dal Pds all’Ulivo fino alla Bicamerale avevano un equilibrio. Qui - dice Mussi - il Senato è il massimo della confusione, il potere del premier con l’Italicum non ha eguali in Occidente. Il voto di lista e il premio di maggioranza consente a chi ottiene il 25% dei voti al secondo turno di prendersi tutto il cucuzzaro. E magari al ballottaggio va a votare solo la metà degli elettori. È la distruzione della democrazia parlamentare. E poi - si chiede Mussi - Renzi è sicuro di vincere le elezioni?».
Dunque, nessuna contraddizione tra il No e le proposte del passato. Se c’è poi una cosa che Occhetto non sopporta è di passare per conservatore. Anzi, «il mio programma del ’94 dimostra esattamente il contrario. Era un modello molto più avanzato di quello voluto da Renzi. Proponevo un monocameralismo vero e una Camera delle Regioni elettiva con una chiara definizione delle competenze, come punto di unificazione di un sistema federale. Era una riforma organica e radicale, anche nella forma di governo: si immaginava una legge elettorale a doppio turno che realizzasse gli stessi obiettivi conseguiti con l’elezione diretta del sindaco. Altro che conservatori contro rinnovatori!». Basta con questa campagna referendaria manichea: «Renzi chiede un plebiscito su di lui e schiaccia tutti quelli che sono per il No nel campo conservatore. Io lo so che dentro il fronte del No ci sono veri conservatori, ma sono gli stessi che erano contro di me allora. Non voglio essere confuso con loro».
Rottamati sì, conservatori no. E soprattutto la vecchia guardia della sinistra (molti di loro sono vicini a Sel) vuole che si parli del merito, non a colpi di anatemi e accuse. E Salvi sul merito vuole rimanere per ricordare che le proposte della sinistra che arrivano dagli anni Novanta fino ad oggi, passando per la Bicamerale, prevedevano o un Senato delle Regioni modello tedesco o eletto direttamente. «Il bicameralismo di oggi non corrisponde a nessuno di queste ipotesi. Il Senato non è rappresentativo delle Regioni ma dei partiti: i consiglieri regionali sono espressione dei partiti non dell’istituzione Regione». Per Salvi «la riforma è scritta male, non funzionerà, è il frutto di troppe mediazioni politiche. Ho l’impressione che la stessa esigenza di governo non verrà realizzata». 


Renzi vuole la tregua, le condizioni di Bersani
Il premier: abbassare i toni - Ma l’ex leader alza la posta: elezione diretta del Senato e doppio turno di collegio La riforma del Senato. Boschi ricorda i vantaggi dell’Italicum: si superano i veti dei piccoli partiti La Cgil boccia la riforma ma non si schiera per il «no»di Emilia Patta Il Sole 26.5.16
ROMA «Spero che prima o poi le polemiche di questi giorni finalmente si abbasseranno. E a quel punto, diradata la nebbia, si scorgerà finalmente il panorama. Si potrà cioè entrare nel merito e discutere di una riforma che certo non è una riforma perfetta, ma è un grande passo in avanti». L’invito ad abbassare i toni sul referendum confermativo sulla riforma del Senato e del Titolo V viene da dove meno te lo aspetti: a parlare non è il presidente emerito Giorgio Napolitano, né il presidente del Senato Pietro Grasso, ma è lo stesso Matteo Renzi. Che - evitando ormai da qualche giorno di personalizzare troppo il tema riforme con il mantra “se perdo me ne vado” - invita a ragionare del merito del superamento del bicameralismo e del riordino delle competenze tra Stato e Regioni con una delle sue e mail, questa volta scritta durante una pausa tecnica in Siberia durante il viaggio per il Giappone. «Poche chiacchiere: solo in Italia abbiamo questo bicameralismo paritario. E solo in Italia abbiamo una classe politica così numerosa e così costosa. Vedrete che voteranno sì anche tante persone che magari non mi sopportano o alle politiche no voteranno mai il Pd». Chiaro l’obiettivo, dunque, di questo primo tentativo di spersonalizzare il confronto sulle riforme: prendere il “sì” anche di parte degli elettori di Forza Italia e del Movimento 5 stelle.
Eppure l’invito di Renzi a fermare le polemiche sembra arrivare nel giorno sbagliato, dal momento che proprio ieri l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, in un’intervista a “Radio anch’io”, ha alzato l’asticella delle “condizioni” della minoranza del partito per l’appoggio alla riforma Boschi a un livello quasi di non ritorno: «Io sono intenzionato a votare “sì” al referendum. La riforma non è la panacea di tutti i mali, non è questa svolta epocale, ma prevalgono gli aspetti positivi», premette Bersani. Ma alla domanda se sia invece tentato di votare “no” risponde «non sbaglia»: «Se le cose vanno avanti così fra quattro mesi ci troviamo tra le macerie del campo democratico. Renzi deve tener conto delle obiezioni non irragionevoli del no... Renzi dovrebbe annunciare una proposta di legge per l’elezione diretta del Senato e la disponibilità a modificare l’Italicum. Serve il doppio turno di collegio. Non si può scambiare un ballottaggio con il doppio turno».
Ecco, non siamo più alla richiesta di modificare l’Italicum introducendo il premio di coalizione invece che di lista. Si propone tutt’altro modello, che è quello storicamente proposto dal Pd ma inviso a tutti gli altri partiti e quindi impossibile da approvare dal momento che il Pd non ha la maggioranza in Parlamento. Tra l’altro il doppio turno di collegio alla francese era una delle tre proposte messe sul tavolo della trattativa con gli altri partiti della maggioranza e con Fi (gli altri due erano il modello spagnolo e il modello cosiddetto dei “sindaci” da cui poi è derivato l’Italicum). Tentativo già fatto, insomma. E ora che l’Italicum è legge, quella di Bersani appare più come una provocazione che come  una reale proposta, e l’obiettivo sembra essere quello di tenere alta la tensione interna almeno fino alle amministrative (i ballottaggi ci saranno il 19 giugno). A Bersani risponde indirettamente la ministra per le Riforme e per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, che durante un convegno organizzato alla Sapienza di Roma dal costituzionalista Stefano Ceccanti ricorda come con l’Italicum si supereranno «i veti dei partiti più piccoli, causa nei passati 70 anni di gran parte della instabilità del sistema italiano».
In chiaroscuro, infine, la posizione assunta dalla Cgil con un documento approvato dal comitato direttivo: pur bocciando il Ddl Boschi («norme incongrue e inefficaci»), il più grande sindacato non ha annunciato il “no” al referendum bensì l’impegno «a promuovere un’informazione di massa e momenti di confronto per favorire una scelta partecipata e consapevole». Nel clima surriscaldato di questi giorni in fondo non è una cattiva notizia per il premier. 

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