Lo studio firmato da Francesco Ademollo e Mario Vegetti mostra come la cifra più profonda del pensatore greco sia una curiosità totale. Nella convinzione che affrontare sfide sia essenziale
lunedì 30 maggio 2016
L'Aristotele di Mario Vegetti e Francesco Ademollo
FRANCESCO ADEMOLLO MARIO VEGETTI: Incontro con Aristotele. Quindici lezioni EINAUDI Pagine 304, e 22
Risvolto
Un volume che introduce il lettore a una
comprensione critica, mai passiva, dell'edificio
di pensiero costruito da Aristotele, nella sua
complessità, nel suo senso d'insieme, e anche
nelle questioni che esso lascia aperte.
Aristotele è stato il maggiore testimone di quell'appassionato desiderio di
conoscenza che egli, nelle prime righe della Metafisica, riconosce come una
tensione comune a tutti gli uomini, come un segno precipuo della loro umanità.
Di fronte al suo immenso sforzo di soddisfare questo desiderio, per sé
e per la tradizione cui apparteniamo, è difficile non provare quell'emozione
che accompagna sempre l'incontro con le grandi esperienze dell'intelligenza
umana, e, nel nostro caso, con l'imponenza di un'impresa del pensiero
che si stenta a concepire come dovuta al lavoro di un solo uomo. Questo libro
si propone di introdurre il lettore nel laboratorio intellettuale in cui questa
impresa è stata realizzata. Il suo scopo è di condurre a una comprensione
critica dell'edificio di pensiero costruito da Aristotele, nella sua complessità,
nel suo senso d'insieme, e anche nelle questioni che esso lascia
aperte. «Incontrare Aristotele» significa dunque disporsi a un ascolto non
pregiudicato e non «scolastico» della sua lezione: una lezione che è ancora
in grado di parlarci e di suscitare consenso o dissenso, di non lasciarci
indifferenti di fronte a quello che è stato uno dei maggiori sforzi filosofici
di comprensione del mondo che la nostra tradizione ci abbia trasmesso.
Il maestro di nodi chiamato AristoteleLo studio firmato da Francesco Ademollo e Mario Vegetti mostra come la cifra più profonda del pensatore greco sia una curiosità totale. Nella convinzione che affrontare sfide sia essenziale
di Mauro Bonazzi Corriere La Lettura 29.5.16
Quando Dante arriva nel Limbo e vede la «filosofica famiglia»,
Aristotele è la figura di più alto rilievo: «Tutti lo mirano, tutti onor
li fanno». Non era un elogio di circostanza, ma una presa di posizione
decisa in favore di un filosofo fino a poco tempo prima guardato con
sospetto, accusato di sostenere teorie incompatibili con la verità
cristiana. Il suo fascino era troppo forte, la forza dei suoi
ragionamenti ineccepibile: Aristotele è colui che ha mostrato di cosa è
capace la mente umana, articolando tutte le conoscenze in un sistema
completo, che rispecchia la struttura del mondo.
Aristotele stesso, del resto, che non peccava certo di modestia, aveva
esaltato a più riprese l’importanza del suo progetto, convinto che
grazie a lui il sapere umano avesse (quasi, bontà sua) raggiunto la
perfezione.
Conoscere altro non è che organizzare, disporre ogni cosa al suo posto,
fare ordine, in modo che le parti e il tutto si tengano e la verità
possa finalmente trionfare. Aristotele «il maestro di color che sanno»,
appunto, come si ripete ogni volta che lo si nomina. Il problema, però, è
che quando si celebra troppo si finisce per imprigionare il celebrato
in un’immagine di maniera, trasformandolo in una statua: alto sul suo
piedistallo, con lo sguardo severo, in una posa seriosa, intento a
ripetere qualcosa che non interessa più a nessuno. Anche questo è
successo ad Aristotele, che probabilmente non se ne sarebbe troppo
preoccupato, continuando a fare quello che ha sempre fatto: indagare,
cercare, analizzare. Perché, come Francesco Ademollo e Mario Vegetti
mostrano nel libro Incontro con Aristotele (Einaudi), questa è la cifra
più propria del suo pensiero, un’inesauribile curiosità per tutto quello
che ci circonda, e un piacere quasi fisico per la ricerca e la
scoperta.
Il sistema, scrivono i due autori, «costituiva semmai un orizzonte
tendenziale di unificazione»; ma quello che davvero appassiona
Aristotele è affrontare i problemi e cercare di risolverli. Non c’è
niente che non meriti un po’ di attenzione e di tutto Aristotele
s’interessò, senza distinguere tra alto e basso, nobile o volgare.
Trascorse vent’anni con Platone, discutendo di dialettica, astronomia e
metafisica; ma intanto raccoglieva le opinioni della gente comune,
convinto che tutti potessero offrire spunti utili per avanzare nella
comprensione dei problemi. E per le sue ricerche scientifiche non si
vergognò di frequentare allevatori, pescatori, cacciatori,
interrogandoli sulla respirazione degli uccelli o su come copulano i
polpi. Quando non ci pensava direttamente lui, inseguendo una rana in
uno stagno o scrutando con attenzione un embrione di pollo: i suoi
lavori zoologici (che costituiscono una parte consistente della sua
produzione scritta, non andrebbe mai dimenticato) sono pieni di
allusioni alle sue ricerche sul campo. «Non si deve nutrire un infantile
disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà
naturali vi è qualcosa di meraviglioso».
Filosofia non vuol dire del resto proprio questo, un amore ( philia )
per la conoscenza ( sophia ), tutta? «La natura offre grandissime gioie a
chi sappia comprenderne la causa, cioè sia autenticamente filosofo».
Così, ad avere la pazienza di leggerli (perché a volte ci vuole proprio
pazienza: i testi di cui disponiamo sono gli appunti personali delle
lezioni, non opere destinate alla pubblicazione), si scopre che gli
scritti di Aristotele sono pieni di problemi, domande, difficoltà —
piccole crepe nel poderoso edificio del sapere, insignificanti solo in
apparenza, soprattutto quando in discussione è l’uomo.
Si prenda l’anima. Da scienziato rigoroso quale era, Aristotele aveva
costruito un intero trattato per spiegare che l’anima esprime la vita di
un corpo, il fatto che un corpo vive: con buona pace del suo maestro
Platone non ha senso affermare che è immortale o separata dal corpo. Era
una tesi ragionevole, che rispondeva all’esigenza di collocare lo
studio dell’essere umano all’interno del sistema fisico. Ma davvero noi
siamo completamente riducibili al mondo fisico? Tutti i nostri pensieri
sono espressione di processi corporei? Platone lo aveva negato: siamo
anche altro. Coerentemente a quello che aveva sostenuto nelle pagine
precedenti del suo trattato, Aristotele avrebbe dovuto affermarlo. Forse
lo pensava pure. Ma non ne era sicuro e alla fine non si risolse,
tenendo aperte entrambe le possibilità.
Ha fatto male, obietterà qualcuno, perché il discorso risulta
incoerente. Ma forse abbiamo noi raggiunto una risposta esaustiva,
capace di eliminare tutti i dubbi? Del resto, il problema della ragione
umana è ancora più delicato. Noi siamo animali razionali (la
definizione, al solito, è di Aristotele). Disponiamo della ragione per
orientarci nel mondo e per regolare le nostre relazioni con gli altri
uomini: per conoscere e per agire. Sembrano affermazioni scontate; ma le
due attività spesso sono in contrasto tra di loro. Per agire, per
orientare le nostre azioni, abbiamo stabilito alcuni criteri regolatori:
il bene e il male, il giusto e l’ingiusto… Ma questi criteri non
sembrano prioritari mentre usiamo la nostra ragione per conoscere il
mondo che ci circonda. A volte non fa problema, ma a volte sì, e pure
tanto, quando si pensa ai tanti temi sensibili in discussione oggi,
dalla clonazione alla ricerca sugli embrioni. Cosa conta di più, allora,
la conoscenza o l’azione morale? Quando l’uomo realizza veramente la
sua natura di animale razionale: dedicandosi alla conoscenza o alla
politica? È il grande dilemma tra la vita attiva e vita contemplativa:
Aristotele lo ha posto e ancora oggi se ne discute.
Noi possiamo criticarlo per le sue esitazioni; di certo lui avrebbe
sorriso vedendoci annaspare nel momento in cui comprendiamo l’entità
delle questioni in discussione, quando ci rendiamo conto che quello che
sembrava scontato non lo era. È questa la grandezza di Aristotele, ieri
come oggi. Molte delle sue dottrine, dalla difesa della schiavitù al
geocentrismo o al finalismo, sono ormai superate. Altre probabilmente lo
diventeranno. Ma la lezione di metodo, l’onestà che lo porta a
segnalare i problemi che rimangono irrisolti e la pazienza con cui
continua a tornarci sopra sono la dimostrazione migliore di cosa è la
filosofia.
Non si tratta di negare la verità e neppure disperare della nostra
capacità di raggiungerla: soltanto, bisogna imparare a cercarla,
ragionando correttamente. «Quelli che vogliono trovarsi con le
difficoltà risolte prima devono averle affrontate bene, perché la
liberazione dalle difficoltà è la soluzione delle difficoltà che si sono
affrontate prima; ma non è possibile sciogliere i nodi che non si
conoscono e la filosofia aiuta appunto a vedere i nodi che si trovano
nelle cose». In un’epoca come la nostra, ossessionata dal bisogno di
risposte, sono parole che andrebbero meditate con attenzione.
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