lunedì 30 maggio 2016
L'iconoclastia nell'Islam ieri e oggi
Maria Bettetini: Distruggere il passato. L’iconoclastia dall’Islam» all’Isis, Raffaello Cortina Editore, Milano, pagg. 136, € 12
Risvolto
Non si accontentano di bruciare le
bandiere, annientare i simboli di chi considerano nemico: i seguaci del
nuovo “Califfato dello Stato Islamico” distruggono dalle fondamenta
tutto ciò che non sia stato creato da loro. Verso i siti archeologici e
le opere d’arte si comportano come con i prigionieri: stuprano, vendono,
bombardano.
Questo agile volume indaga le ragioni di tale efferata
iconoclastia. Da sempre le immagini hanno avuto difficoltà a convivere
con le fedi religiose, ma che cosa è accaduto nel mondo islamico? Quali
sono state, nei secoli, le ragioni per nascondere o mostrare, velare o
indicare? Che senso si può dare alla distruzione e alla compravendita di
questo Islam che non è “integrale”, ma è diverso dai precedenti, è
radicalmente e disumanamente nuovo?
Leggi anche qui qui e qui
Iconoclastia L’Islam che non immagini
di Maria Bettetini Il Sole Domenica 29.5.16
Ancora in tempi recenti l’Isis ha diffuso le immagini della distruzione
delle mura di Ninive a opera di efficienti bulldozer. Per fortuna si
tratta di mura in gran parte ricostruite, per fortuna – paradossale a
dirsi - nell’Ottocento francesi e inglesi rubarono bassorilievi e
sculture, di cui oggi possiamo godere nelle sale del Louvre e del
British Museum. Ma perché tanto accanimento, perché colpire con
brutalità i siti archeologici che raccontano il passato dell’umanità
tutta? Maria Bettetini ha studiato le radici religiose e filosofiche di
questa nuova iconoclastia, e ne ha tratto un agile libello di cui diamo
un’anticipazione.
Tutte le religioni hanno dovuto e dovranno fare i conti con le immagini.
A dire il vero anche tutte le filosofie, perché chiunque commerci con
la verità non può tacere del falso, o dell’immagine del vero, che sono
due cose a volte da intendere come distinte, a volte sovrapponibili.
Quindi, sia che la verità risulti imposta da una fede, o indagata dalla
fatica del pensiero, oppure dagli sforzi dell’ascesi, o dichiarata
inaccessibile, al pari si dovrà argomentare di immagini e finzioni. Se
la religione ebraica ha fermamente delimitato il tema, mantenendosi alla
lettera del primo dei dieci comandamenti, e quindi praticando
un’aniconia senza sconti, se il cristianesimo ha per duemila anni
aborrito o amato le immagini, a seconda dell’epoca e delle decisioni dei
papi, degli imperatori, dei riformatori, allora l’Islam avrà una
posizione che dovrà tenere conto degli altri due monoteismi. L’Islam,
infatti, si propone come una religione che prende il meglio dai
monoteismi che lo hanno preceduta, e sublima la loro storia e i loro
valori in un monoteismo ultimo, dopo il quale non sarà da attendere
altra rivelazione o altro progresso. Non è quindi “altro” rispetto a
ebraismo e cristianesimo, e questo dato di fatto storico e teorico
basterebbe a mostrare l’inconsistenza della contrapposizione tra
“Occidente” e “Oriente, ossia i fedeli dell’Islam”.
Qual è dunque l’atteggiamento di questa religione di fronte alle immagini?
Il tema non verte solo sul rapporto tra vero e finto o vero e falso, ma
anche su quello tra spirito e materia. Noi oggi, infatti, intendiamo per
immagine qualcosa che faticheremmo a definire “oggetto”, realtà
materiale. Conviviamo ogni giorno con milioni di “cose” fatte di materia
evanescente e fuggevole, fatte di realtà virtuale. Già qualche anno fa
avevo avanzato l’ipotesi per i nostri tempi di immagini cannibali e di
iconoclastia light: la grande quantità che ha invaso il nostro
quotidiano, grazie a tablet, smartphone, computer sempre più potenti e
facili da usare, fa sì che nessuna delle immagini che ci scorrono
davanti agli occhi si fermi davvero nella nostra mente e lasci
un’impressione al nostro cuore. Sono tante, ma scappano via presto, o
noi le cestiniamo presto. Magari invadono la memoria dei mezzi, alla
quale affidiamo tutte le immagini, sollevandoci anche dallo scrupolo
dell’oblio di qualche volto, o panorama, o monumento. Non ci tangono
però, perché questo accumulo è in verità una rottamazione, un abbandono.
Questo ci rende cattivi destinatari delle immagini che dovrebbero
scioccarci, nelle intenzioni del terrorismo. Quando non siamo
direttamente coinvolti per amicizia o parentela, vista una vittima di
bombardamento, viste tutte. Vista una statua assira presa a picconate,
viste tutte.
Dobbiamo invece tentare di riflettere, non per piangere lacrime a
comando, ma per comprendere il significato dell’accanimento contro il
passato, nella “persona” di ciò che è sopravvissuto per centinaia,
migliaia di anni. Sono oggetti ed edifici in pietra, in nobile metallo,
protetti anche dall’involontaria sepoltura delle aree desertiche. Sono
materia da punire. Come accennato, il faticoso e dibattuto rapporto tra
l’immateriale e il materico deve per forza essere affrontato da
qualunque filosofia o religione. Se anche il Buddhismo, che aborre ogni
forma di latria che non sia quella verso il tutto che l’universo è,
senza distinzioni, se anche il Buddhismo conserva un dente e un dito
dell’Illuminato, e le sue sharira, gemme derivate dalla cremazione, sono
suddivise e venerate in tutto il mondo, e trasportate con amore in
“viaggi” non diversi da quelli della Vergine di Fatima in visita alle
parrocchie, allora non potremo non tenere conto del problema della
materia, cercando di studiare la violenza, l’accanimento dello Stato
Islamico contro le reliquie di un passato da uccidere.
Dove trovano i soldati dell’Isis la giustificazione a distruggere siti
archeologici, monumenti, retaggi di importanti civiltà estinte, e a
vantarsene pure? Come dall’Islam si è arrivati a quella sua caricatura
che è l’Isis? Si potrebbero dare delle risposte frettolose: si tratta di
civiltà pagane, idolatre; il vero musulmano (che significa “fedele”)
segue l’esempio del suo Profeta, che distrusse gli idoli del santuario
di Mecca. Poi, dal punto di vista sociologico e antropologico, si
potrebbero citare i proventi derivati dalla vendita dei reperti sul
mercato archeologico clandestino, più che mai florido. Anche se chi
riceve sovvenzioni dalle ricchissime famiglie dell’Arabia Saudita,
vendendo una statua si limita ad arrotondare per le spese personali.
Potremmo lasciare da parte le spiegazioni frettolose (se pur non campate
per aria) e invece cercare di conoscere, dal punto di vista della
storia delle idee, come un uomo di quarant’anni, discendente da una
buona famiglia di Mecca, abbia potuto mettere in piedi una religione
nuova ma fondata su ebraismo, cristianesimo, zoroastrismo e sui riti
pagani preislamici. Quali idee abbiano cementato una nuova civiltà,
conducendo quindi a precisi atteggiamenti nei confronti delle immagini.
Come si cercherà di mostrare, uno dei nodi è nella contraddizione tra
una religione che intende il passato come epoca buia, propriamente
“dell’ignoranza” (jahiliyya) e però contemporaneamente del passato fa
suoi riti, profeti, dogmi (come la verginità di Maria!). Se tutto il
passato è errore, perché includerlo – se pur in parte - nella fondazione
dell’unico, nuovo, vero credo?
Cercheremo quindi di conoscere l’atteggiamento verso le immagini di chi,
nelle terre che poi diventeranno musulmane, ha adorato una o più
divinità, con o senza averne immagine, per poi immergerci nella parte
ovest della penisola arabica, nella seconda metà del sesto secolo d.C.
Le pagine di questo libro intendono costituire una sorta di guida
turistica, che introduce ai luoghi e ai personaggi dell’Islam e intorno
all’Islam, per studiarli e ascoltarli. Lo studio aiuta a liberarsi da
pregiudizi ed errori dettati quasi sempre da ignoranza e grossolanità.
L’auspicio è quello di aggiungere conoscenza alle menti di chi legge (e
prima di tutto di chi scrive), nella speranza che i dati permettano
quella tensione all’obiettività propria dell’onesto narratore, sia uno
storico, un reporter, un filosofo. La verità non è in questo libro, ma
alcune istruzioni per l’uso confidiamo di sì.
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