venerdì 20 maggio 2016

Nuit Debout & turismo politico: italiani più pronti che mai a fare la rivoluzione, ma in Francia



Ad ogni pisciata di passero, il Manifesto e Toni Negri vedono inusitate novità teoriche e organizzative e dichiarano aperta la rivoluzione ma alla fine per fortuna si limitano ad assaltare il buffet [SGA].

La sinistra francese è in un vicolo cieco
di Massimo Nava Corriere 19.6.16
Nel maggio di trentacinque anni fa, François Mitterrand portava a una storica vittoria la sinistra unita. Il suo fortunato slogan, la «forza tranquilla» aveva convinto i francesi che fosse possibile l’alternativa al gaullismo e alla destra, in un Paese tradizionalmente conservatore ed elitario.
Di quella svolta epocale e di un modello di alleanza e prospettiva politica, resta, oltre alla memoria, uno scenario di macerie, fatto di sconfitte elettorali in serie, frammentazione in correnti e rivalità, ininfluenza culturale, marginalità nella società francese. È stato calcolato che il partito socialista ha oggi meno della metà degli iscritti del partito repubblicano (gli ex gollisti di Sarkozy e Juppé) e meno iscritti delle società di appassionati di bridge e ping pong.
Il quinquennato di François Hollande, che qualche esegeta ha paragonato - per astuzia e disinvoltura - proprio a Mitterrand, si sta risolvendo in una disfatta, senza riuscire a condurre in porto nessuna delle riforme annunciate, di cui peraltro la Francia avrebbe disperatamente bisogno per raddrizzare i conti pubblici e riprendere a crescere.
Eletto «per difetto», ossia per opposizione a Sarkozy più che per adesione convinta degli elettori, Hollande ha bruciato giorno dopo giorno il consenso e oggi si ritrova al minimo storico per un presidente, con soltanto il 16 per cento di opinioni favorevoli. Uno «score» che sarebbe più basso se i francesi non ne avessero apprezzato la presenza sulla scena internazionale e le misure d’emergenza per la lotta al terrorismo.
Il destino di Hollande si sposa a quello della sinistra e del partito socialista in particolare. La rottura con i verdi e con il partito comunista si è consumata da tempo. Più recentemente, si è registrata la presa di distanze da parte di Emmanuel Macron, il ministro dell’economia, che ha di fatto sbattuto la porta per fondare un proprio movimento d’ispirazione riformista e che coltiva ambizioni da premier, magari in coppia con il più accreditato pretendente all’Eliseo, Alain Juppé. Negli ultimi giorni infine, una parte consistente del partito socialista ha deciso di non votare la legge di riforma del mercato del lavoro, versione emendata del nostro Jobs act, giungendo a promuovere una mozione di censura contro il «proprio» governo.
Lo scontro sulla legge è tracimato dall’Assemblea alla piazza, con manifestazioni e scioperi, soprattutto del pubblico impiego, che rinnovano lo psicodramma francese del Paese irriformabile e del potere di blocco di sindacati minoritari e categorie superprotette. Di questo scontro, cercano di approfittare le componenti più radicali o tradizionali, da Arnaud Montebourg a Martine Aubry, con il risultato di rendere ancora più problematica la rotta del presidente. La crisi del partito socialista risente delle difficoltà di tutte le sinistre di governo, ma in Francia sembra finita nel vicolo cieco per il continuo rinvio dell’aggiornamento programmatico e ideologico già compiuto dai maggiori partiti socialdemocratici europei.
Gli studenti protestano, i sindacati paralizzano, ma la protesta è sterile e ha solo l’effetto di peggiorare l’immagine del governo e esasperare gli animi di una Francia che assiste impotente al continuo ripetersi di un film già visto. Un modello sociale e statuale non più compatibile con le risorse disponibili ha creato masse di emarginati e di scontenti, di giovani precari e di assistiti, mentre la ristretta area dei garantiti (soprattutto nel settore pubblico) fa resistenza ai tentativi tardivi di riforme e un numero crescente di giovani diplomati e laureati decide di emigrare.
Logica vorrebbe che della crisi della sinistra approfitti la destra. Nella realtà francese, le cose sono più complicate, non solo perché la destra è a sua volta divisa da feroci rivalità. La crisi della «gauche» comporta soprattutto lo spostamento del suo elettorato operaio e popolare verso l’astensionismo e verso il Front National di Marine Le Pen, oggi saldamente il primo partito del Paese. La crescita del Front condiziona il quadro politico in vista delle presidenziali ed è la più pesante minaccia in un’Europa già sconvolta da spinte centrifughe e movimenti populisti e xenofobi. 

Hollande, le proteste e la riforma del lavoro
di Stefano Montefiori Corriere 18.5.16
«Non cederò», ha ripetuto ieri mattina François Hollande alla vigilia delle nuove manifestazioni contro la legge El Khomri sul mercato del lavoro. Il presidente francese in realtà ha già ceduto sulla sostanza, perché la riforma è stata modificata e svuotata degli aspetti più significativi. Ma si tratta di una questione di principio e Hollande, che si gioca in questi mesi la possibilità di presentarsi come candidato a un secondo mandato presidenziale, non può lasciare il campo dell’intransigenza e del riformismo liberale nelle mani del suo premier Manuel Valls o del ministro dell’Economia Emmanuel Macron.
Allo stesso modo l’estrema sinistra non vuole abbandonare la lotta, anche se la riforma è già passata grazie al meccanismo costituzionale dell’articolo 49-3, che permette di approvare un progetto di legge senza l’approvazione parlamentare. Così ieri, nella sesta giornata di mobilitazione indetta dai sindacati, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Parigi e in tutta la Francia contro misure che a loro dire confermano l’orientamento neo-liberale del governo socialista. Secondo il ministro dell’Interno erano 68 mila, 220 mila secondo il sindacato Cgt. In ogni caso 87 persone sono state fermate, secondo uno schema ormai consueto che prevede molti manifestanti pacifici e piccoli gruppi di «casseur» che cercano lo scontro con la polizia.
Le forze dell’ordine si sentono prese di mira e reagiscono manifestando a loro volta: oggi scenderanno in place de la République a Parigi, il luogo di solito occupato dal movimento anti-governativo della Nuit Debout, per protestare contro il clima di odio verso gli agenti. È uno degli aspetti più tristi di questa stagione di crisi sociale in Francia: dopo gli attentati del gennaio 2015 la gente fermava per strada i poliziotti e li abbracciava, ringraziandoli, perché si sentiva protetta dal loro lavoro. Neanche un anno dopo, i rappresentanti della forza pubblica sono nemici da colpire.


Les italiens in piazza a inseguire la rivoluzione “Qui abbiamo scoperto che i giovani contano”
Studenti e ricercatori, sono gli stranieri più numerosi “Da noi il sistema ci ha escluso”
di Anais Ginori Repubblica 18.5.16
PARIGI. Mattia era venuto per studiare matematica alla Sorbona. Si è ritrovato a sognare la rivoluzione. Il suo cellulare non smette di squillare, nuovi avvisi per cortei, riunioni, azioni lampo. «Ogni tanto devo spegnere per combinare qualcosa anche all’università». Mattia, 27 anni, è uno dei tanti italiani dentro a Nuit Debout, il movimento nato contro la riforma del lavoro ispirata in parte dal Jobs Act di Matteo Renzi, secondo stessa ammissione del premier francese Manuel Valls. La protesta che si è vista poco o niente in Italia durante l’approvazione della legge, va in scena a oltranza in place de la République. «A differenza del nostro paese, i francesi hanno uno Stato sociale solido, che vogliono difendere», osserva Adele, 24 anni, arrivata da Livorno con il programma Erasmus. «I giovani sono i grandi esclusi dal sistema italiano», aggiunge Michele, 26 anni, dottorando in Fisica. La piazza dell’undicesimo arrondissement è una ribalta sempre affollata. «È paradossale trovare in Francia un protagonismo politico che ci è mancato», continua Mattia seduto sulla scalinata con gli altri amici.
Da due mesi e mezzo fanno insieme le ore piccole. “Les italiens” sono gli stranieri più numerosi delle notti in piedi, seguiti da spagnoli e tedeschi. Si sente parlare con accento milanese nella mensa, dove i ragazzi cucinano solo vegano. C’è una ragazza di Roma nella commissione logistica che si occupa delle strutture mobili. «Qualcuno scherza sul fatto che abbiamo preso il potere », dice Mattia. Con Adele e Michele gestisce la pagina Facebook in italiano del movimento che ha anche “Radio Debout”, “Tv Debout” e il giornale online “Gazette Debout”. In piazza, verso la rue Turbigo, è stato allestito un grande schermo, CinéLuttes, sul quale vengono proiettati documentari sulle lotte sindacali degli anni Settanta e Ottanta.
Inutile cercare un filo conduttore tra lo stand di esperanto, la commissione sulla presenza militare francese in Africa, il dibattito sull’islamofobia o la scrittura di una nuova Carta dei diritti universali. «Anche questa è politica», sostiene Mattia. A parte qualche eccezione, come l’economista Frédéric Lordon e il regista François Ruffin, il movimento continua a essere senza leader e molto variegato nella sua composizione. Un’indagine interna ha decretato alcune caratteristiche: età media 31 anni, un terzo di laureati, un quinto di disoccupati.
«È bello non essere omogenei », dice Adele che ha partecipato a varie azioni, come l’occupazione di un liceo per accogliere migranti. «C’è un’oggettiva convergenza delle lotte, in particolare sul tema delle frontiere, significativo anche per noi espatriati », spiega Michele.
Non è ancora emerso uno slogan per riassumere Nuit Debout che nel manifesto online parla di un generico «riprendere la parola». Forse ha ragione il mentore Lordon quando dice: «Non rivendichiamo nulla». «Abbiamo individuato problemi comuni a cui vanno date risposte globali», sintetizza Mattia. Tre parole d’ordine: frontiere, precarietà, spazio pubblico. A rallentare l’emergere di proposte concrete, c’è il meccanismo di voto ancora in via di definizione. La commissione Democrazia — incaricata di organizzare le modalità di partecipazione — è suddivisa in quattro gruppi di lavoro, alcuni sottogruppi. I tre italiani ormai partecipano poco alla lunga assemblea generale che si riunisce ogni giorno alle diciotto. «È un po’ dispersiva», dice con eufemismo Mattia che preferisce concentrare le energie alla commissione internazionale da dove è partito l’appello “Global Debout” di domenica scorsa. L’adesione nelle piazze italiane è stata finora sottotono.
Verso mezzanotte i poliziotti cominciano a chiedere di andar via. Il rapporto con gli agenti rimane teso. «Questa piazza pacifica è stata più volte sgombrata in modo violento», dice Michele. La presenza di casseurs, gli infiltrati, viene minimizzata. «Non vogliamo dividerci tra buoni e cattivi». A poche centinaia di metri c’è il Bataclan. Secondo Adele la lotta contro il terrorismo è diventata un alibi «per una repressione indiscriminata». Mattia ammette: «L’uso della violenza è un tema molto dibattuto tra noi».
Tra qualche settimana la contestata Loi Travail potrebbe essere approvata con un “passaggio in forza” (una fiducia senza voto) del governo sul parlamento diviso. «È una nostra vittoria », dicono gli italiani. Nuit Debout dovrà trovare altri obiettivi. Adele: «Questa piazza non esaurisce il movimento». Michele: «Ci sono persone che sono venute a manifestare per la prima volta, qualcosa è stato seminato ». Vista da place de la République l’Italia sembra davvero lontana.


Guerriglia in piazza a Parigi contro il Jobs act di Hollande
di Leonardo Martinelli La Stampa 18.5.16
Ancora una giornata di proteste ieri in tutta la Francia contro la legge El Khomri, il Jobs Act in salsa francese. E ancora poliziotti con i caschi e gli scudi anti-sommossa da una parte, a lanciare gas lacrimogeni in piena Parigi. E, dall’altra, i manifestanti che si proteggevano con i fazzoletti sulla bocca e gli occhiali da piscina sugli occhi. Alcuni di loro, vicino alla metropolitana di Vavin, in uno dei quartieri più chic della città, hanno lanciato oggetti contundenti e pietre, divelte dal pavé delle strade, contro le forze dell’ordine.
E François Hollande? Per una volta non è stato a guardare. Accusato di essere troppo debole nei confronti del movimento, ieri mattina, prima che iniziasse la sesta giornata nazionale di proteste in poco più di due mesi, ha preso la parola alla radio Europe 1: «Non cederò su questo progetto di legge». Che prende il nome dalla ministra del Lavoro, Myriam El Khomri, e punta a introdurre maggiore flessibilità e a rendere più facile il licenziamento di tipo economico. La scorsa settimana, all’Assemblea nazionale, visto che non potevano disporre della maggioranza assoluta dei consensi, necessaria per far passare la legge, il premier Manuel Valls e Hollande hanno deciso di ricorrere a una procedura d’urgenza (quella dell’articolo 49.3 della Costituzione), che permette di approvare la legge senza il voto in aula. Prevedono di fare lo stesso al Senato e, in seguito, all’Assemblea nazionale, per la seconda lettura.
«49.3: vergognati Valls, Partito socialista di destra», urlavano ieri i manifestanti per le strade di Parigi e delle maggiori città francesi. In un certo senso Hollande aveva già risposto loro la mattina. «Questa legge passerà - ha detto -, perché è stata discussa, c’è stata concertazione, è stata anche corretta». In effetti sono state eliminate varie misure contestate dai sindacati, tanto che il Medef, la Confindustria francese, ritiene che la El Khomri sia ormai praticamente inutile. Solo una delle due grandi organizzazioni dei lavoratori, la Cfdt, la più moderata, è favorevole alla legge. L’altra, la Cgt, equivalente della Cgil italiana, è invece la colonna vertebrale delle proteste, assieme ad altri sei sindacati (Fo-Force ouvrière, Fsu, Solidaires, Unef, Unl e Fidl). Hanno organizzato la giornata di ieri e ne prevedono già un’altra domani. E, intanto, sono all’origine degli scioperi di diverse categorie, iniziati ieri e che andranno avanti per tutta la settimana. Oggi è la volta delle ferrovie: circoleranno due Tgv su tre, i treni ad alta velocità, ma è previsto che solo il 50% di quelli regionali sarà operativo.
Quali le prospettive di questo movimento? Ieri, secondo le autorità, sono scese in piazza in tutta la Francia 68 mila persone, che sono meno delle 390 mila del 31 marzo scorso. Ma che rappresentano sempre un numero elevato. Ieri, a causa delle violenze, ormai una costante, ci sono stati anche 87 manifestanti fermati dalla polizia. Cosa ne pensano i francesi? Secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto Bva, il 54% appoggia le proteste.

Loi travail, manifestazioni e scioperi in tutta la Francia
Lavoro. Dopo il sì sulla fiducia all’Assemblea il Jobs act arriva blindato in senato. Vietati i cortei ad alcuni oppositori. Due francesi su tre contrari alla riforma. Il governo senza maggioranza ricorre ancora all’art. 49.3 di Anna Maria Merlo il manifesto 17.5.16
PARIGI Settimana calda per il governo. Oggi, è giornata di manifestazioni in tutta la Francia, sempre contro la Loi Travail, che è stata fatta passare con la forza (dell’articolo 49.3) all’Assemblée la scorsa settimana e adesso arriva al Senato, dove il voto è previsto per metà giugno, per poi tornare all’Assemblea. Domani, scendono in piazza – e proprio in place de la République, luogo-simbolo della Nuit Debout – i poliziotti del sindacato molto a destra Alliace, per protestare contro i casseurs che urlano alle manifestazioni «tutti odiano la polizia».
Giovedì si ripete, nuova giornata di manifestazioni in tutto il paese. Sette sindacati, dalla Cgt a Solidaires, ma con l’esclusione della Cfdt (che ha negoziato con il governo per modificare la contestata legge El Khomri) vogliono la testa della riforma.
Nel paese, un ultimo sondaggio dice che due francesi su tre vorrebbero il ritiro del testo di legge, ma non per questo appoggiano il moltiplicarsi dei cortei di protesta.
Oggi, alle manifestazioni si uniscono gli scioperi. Da ieri sera, sono scesi in campo i camionisti, su un articolo specifico della legge: quello che permette, dopo un voto dei rappresentanti sindacali a livello di impresa, di abbassare il compenso per gli straordinari dal 25% attuale fino al 10%. Nei salari dei camionisti il peso degli straordinari è importante e quindi temono che il datore di lavoro ne approfitti e tagli i costi (tra mille e 3mila l’euro l’anno per camionista). Poi, sono annunciati scioperi nei trasporti (ferrovie, metropolitana), negli aeroporti e tra i marittimi.
A Parigi e a Nantes, la Prefettura ha vietato ad alcuni militanti di partecipare ai cortei: in particolare, a Parigi si tratta di militanti del Mili (Movimento inter-lotte indipendente) e dell’Afa (Action Antifasciste).
Hanno ricevuto una lettera del Prefetto, Michel Cadot, che evoca l’applicazione dell’articolo 5 dello stato d’emergenza e proibisce la loro presenza negli arrondissement dove passa il corteo (dalle 11 alle 20) e dalle 18 fino a mercoledì mattina a place de la République e dintorni. Descritti dal Prefetto come «gruppi di individui con il volto coperto e caschi», sospettati di essere all’«origine dei disordini» ai margini delle manifestazioni, hanno risposto in modo bellicoso: «Volete farci uscire dalla porta, rientreremo dalla finestra», affermano all’Afa, facendo temere per oggi un pomeriggio caldo nelle strade di Parigi.
Anche a un fotografo professionista è stata proibita la partecipazione al corteo di oggi a Parigi. L’avvocato che lo difende accusa la Prefettura di attentato alla libertà di stampa.
L’iter della legge El Khomri prevede un passaggio al Senato, dopo il ricorso al 49.3 all’Assemblée la scorsa settimana. Il voto al Senato sarà verso metà giugno. Qui, dove il Ps non ha la maggioranza, dovrebbe passare la prima versione del testo di legge, o qualcosa di molto simile, cioè il progetto che più si avvicina alle tesi degli imprenditori. Poi, la legge El Khomri ripasserà all’Assemblée all’inizio di luglio, dove ritroverà la versione della scorsa settimana e il governo dovrebbe nuovamente far ricorso al 49.3, perché non ha la maggioranza per affrontare una votazione aperta. La sinistra critica dovrebbe cercare di avere i numeri per presentare una «mozione di censura», che gli sono mancati la scorsa settimana. La confusione è enorme e tutte le ipotesi – anche quella della convocazione di elezioni anticipate – ormai sono aperte. La destra, intanto, fa a gara nel proporre lacrime e sangue, a cominciare da una riforma del lavoro che farà rimpiangere la legge El Khomri.
In questa situazione, a un anno dalle presidenziali, è già innescata la corsa alle candidature. Ieri, è riemerso l’ex ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg. In occasione di una marcia in montagna, diventata una tradizione annuale, Montebourg (che ormai lavora nel settore privato, come dirigente di Habitat), ha accusato il sistema politico di essersi trasformato in «una macchina per tradire» (le promesse elettorali).
Le Nuit Debout, in occasione del Global Debout di domenica 76 marzo (15 maggio), ha proposto di redigere The NoList, una lista delle società che vengono giudicate come non rispettose dei diritti (del lavoro, della salute, ambientali ecc.). I primi nomi che sono venuti fuori sono Coca Cola e McDonald’s.

La trasversalità e più fronti di lotta
La lezione francese - Nuit Debout. Precarietà e libertà di licenziare. Come in forme più gravi il Jobs act italiano e le leggi di Cameron di Ignazio Masulli il manifesto 20.5.16
Il movimento di massa in atto da quasi due mesi in Francia ha varie cose da dirci. Com’è noto, il motivo iniziale e principale della protesta è una legge che riduce ulteriormente i diritti dei lavoratori e ne aumenta la precarietà. Il punto di maggior contrasto è costituito dalla decisa spinta che la «Loi Travail» vuol dare alla contrattazione aziendale.
Non diversamente da quanto è avvenuto in altri paesi europei, in Francia quest’obbiettivo è stato perseguito anche in passato dal padronato, col deciso supporto dei governi di destra.
In particolare, la legge Fillon del 2004 stabiliva la possibilità di accordi aziendali stipulati in deroga a quanto previsto da quelli nazionali.
Ma, a questo proposito, occorre tener conto di due fattori. Il primo consiste nel fatto che il diritto del lavoro in Francia riconosce il principio per cui un accordo aziendale deve essere più favorevole ai lavoratori di quanto è previsto dal contratto nazionale di settore. E questo, a sua volta, non può essere meno favorevole del codice del lavoro. Sicché il tentativo di dare maggiore potere contrattuale ai datori di lavoro spostando il negoziato a livello aziendale va contro un principio non solo consolidato, ma giuridicamente formalizzato.
In secondo luogo, il tasso di sindacalizzazione, che oltralpe è piuttosto basso, trova compensazione nel fatto che circa il 90% dei lavoratori è tutelato dai contratti collettivi. Ed è quindi essenziale resistere su questo punto.
A questo va aggiunto un altro motivo di resistenza dovuto a nuove misure che, con il falso obiettivo di favorire l’inserimento nel mercato del lavoro, obbligano di fatto chi è in difficoltà ad accettare occupazioni poco appetibili e mal retribuite.
I francesi, che hanno già sperimentato gli effetti della “Grenelle Insertion” voluta da Sarkozy nel 2008, sanno bene che le analoghe misure imposte ora dal governo pseudo-socialista di Valls peggioreranno la competizione al ribasso nel mercato del lavoro. Ancora una volta, il risultato non può che essere l’aumento della precarietà.
Come non bastasse, la precarietà e mercificazione del lavoro, che ha già raggiunto punti limite, è addirittura generalizzata dal riconoscimento anche formale della libertà di licenziamento per motivi economici.
Il fatto che tutti e tre questi punti si riscontrino in forme anche più gravi nel Jobs Act italiano o negli ulteriori peggioramenti della legislazione sul lavoro varati da Cameron in Gran Bretagna, ma senza aver provocato reazioni massicce e persistenti come quelle cui stiamo assistendo in Francia pone alcuni interrogativi che meritano un’attenta riflessione.
Alla reazione contro la Loi Travail si sono aggiunti e intrecciati altri motivi di protesta, a cominciare da quello degli studenti.
Anche loro contestano le politiche neoliberiste e i tagli allo Stato sociale che, oltre a sanità e pensioni, tornano a colpire la scuola pubblica. In secondo luogo, pure in Francia si assiste ad un crescente divario tra i livelli di formazione raggiunti e le tipologie occupazionali cui è possibile accedere. Il che si connette con le difficoltà che i giovani incontrano nella ricerca del primo impiego e la prospettiva sempre più incombente di doversi adattare a lavori precari e sottoremunerati.
Certo, anche in altri paesi europei non sono mancati cicli di lotte che hanno affiancato lavoratori e studenti. Ma non c’è dubbio che in Francia tale alleanza è stata più persistente e si è riproposta con forza anche in anni recenti. Non si può dimenticare che proprio la spinta radicale di giovani e studenti ha costretto il governo di destra di Jean- Pierre Raffarin a ritirare il suo disegno di legge sul lavoro del 2003. Lo stesso è accaduto nel 2006, quando la protesta congiunta di studenti, lavoratori e sindacati ha obbligato il primo ministro Dominique de Villepin a rinunciare alla proposta di un “contratto di primo impiego”.
Quest’alleanza si ripropone oggi in nuove forme nel movimento Nuit Debout e si allarga ulteriormente collegandosi ad altri movimenti ed obiettivi di lotta.
Va sottolineato che non si tratta di un mero affiancamento di più soggetti sociali in lotta con obiettivi diversi e che trovano una solidarietà più o meno congiunturale. Il fatto rilevante consiste nell’individuazione di un nemico comune da battere. E non v’è esitazione nel riconoscerlo nei potentati economici, finanziari, tecno-militari e politici che esercitano uno strapotere senza precedenti nella maniera più parziale ed irresponsabile.
Si tratta, quindi di una trasversalità che connette più fronti di lotta. V’è la piena consapevolezza che le ragioni di crisi economica, malessere sociale, peggioramento dei sistemi di vita che si percepiscono più da vicino dipendono dagli stessi interessi e scelte dei gruppi dominanti che causano disastri ambientali, provocano guerre unilaterali e avventuriste, chiudono le frontiere a rifugiati e profughi.
È questa la trasversalità autentica e più significativa. Né si può dire che la mira è troppo alta. Da un lato, essa è coerente con l’analisi. Dall’altro, l’esperienza storica c’insegna che non ci si può proporre obiettivi di cambiamento effettivo, anche a breve, se non iscrivendoli in una prospettiva di mutamento più ampia e a lungo termine.
L’altro punto di forza di Nuit Debout consiste nell’auto-organizzazione. Da essa dipende la capacità di rigenerarsi e di trovare gli elementi di orientamento e di rotta al proprio interno. Non a caso, v’è il dichiarato rifiuto di una guida eteronoma e l’attenta difesa della propria autonomia.
Anche questo secondo aspetto contiene una sfida. L’auto-organizzazione, infatti, può mostrarsi efficace se si radica in ragioni profonde e tenaci di resistenza, se si nutre di una consapevolezza e volontà forte di cambiamento. A tali condizioni l’auto-organizzazione di un movimento può trovare anche forme nuove di consolidamento ed espressione politica.
Sono proprio questi due caratteri, della trasversalità e dell’auto-organizzazione, che consentono al movimento in atto in Francia di espandersi rapidamente e a macchia d’olio. Ed è su tali dinamiche e sulla loro capacità di dar corpo a nuove modalità di coalizione sociale ed azione politica che è utile riflettere da parte di quanti ritengono possibili risposte alternative alle tendenze di crisi del tardo capitalismo.

Loi Travail: le manifestazioni non si fermano
Francia. Ancora cortei, 400mila persone in piazza, malgrado le tensioni e il grave episodio della vigilia a Parigi contro una pattuglia della polizia. Valls ai sindacati: "interrogatevi sulla pertinenza" della protesta. Stato di emergenza votato fino a fine luglio di Anna Maria Merlo
PARIGI La Cgt propone una nuova giornata di protesta il 26 maggio, per aumentare la pressione e arrivare al ritiro della Loi Travail. Fo propende per una giornata di manifestazioni e di scioperi interprofessionali a giugno, quando il testo di legge arriverà in discussione al Senato (il 13, dove dovrebbe ritrovare la versione iniziale, quella prima della concertazione con la Cfdt, poiché qui è la destra ad avere la maggioranza). Ieri, secondo la Cgt in Francia sono scese in piazza almeno 400mila persone, numero in crescita rispetto a martedi’, primo appuntamento di protesta di questa settimana. Ieri, era la settima giornata di manifestazioni contro la riforma del lavoro in un po’ più di due mesi. I blocchi dei camionisti sono continuati, in particolare nell’ovest del paese, dove già alcune pompe di benzina sono a secco. Sciopero anche nelle ferrovie, seguito al 15% (secondo la direzione), a Orly è stato annullato circa il 15% dei voli. Il primo ministro, Manuel Valls, ha affermato ieri di essere “pronto a far levare i blocchi di porti, aeroporti e raffinerie”, minacciando l’invio della polizia. Valls ha messo in guardia i sindacati e chiesto loro di “interrogarsi sulla pertinenza” delle manifestazioni continue, dopo il grave episodio della vigilia, con l’aggressione di una pattuglia, dove c’erano due agenti, in Quai de Valmy, mentre c’era la manifestazione dei poliziotti contro l’”odio anti-flic”. Cinque persone erano ieri in stato di fermo, la Procura ha aperto un’inchiesta per “tentativo di omicidio volontario”. I sindacati rispondono che il governo vive “sulla luna”. Per Jean-Claude Mailly, segretario di Fo, basterebbe che il governo si mettesse a discutere, “ritirando i punti più controversi”, per far cessare le manifestazioni. Philippe Martinez, della Cgt, il progetto di legge “deve essere ritirato, la palla è ormai nel campo del governo”.
Malgrado le violenze della viglia, a Parigi, c’è stato un corteo consistente, 100mila persone per la Cgt, 13-14mila per la polizia. La presenza della polizia è stata massiccia, una sfilata di decine di camionette prima del passaggio del corteo, strade chiuse da barricate di protezione lungo il percorso, da Nation a place d’Italie. Sul boulevard de l’Hôpital e poi in place d’Italie e dintorni ci sono stati momenti di tensione, sempre in testa al corteo, dove si sono concentrati i giovani più radicali, con il volto coperto. Vetrine spaccate (soprattutto di agenzie bancarie), lanci di oggetti, replica con lacrimogeni e granate assordanti da parte delle polizia presente in forza, un elicottero ha seguito, come al solito, la manifestazione dal cielo. A Parigi, ci sono stati 9 fermi di persone accusate di avere armi improprie e di aver lanciato oggetti contro le forze dell’ordine. Il ricorso alla violenza è giustificato da questi giovani: “hanno avuto quello che meritano”, spiega uno studente, riferendosi sia al servizio d’ordine dei sindacati, accusato di essere un “collabo” della polizia che ai poliziotti. “Il popolo non fa che rispondere con un’eguale violenza”, aggiunge lo studente. Un manifestante più anziano, sempre nella parte calda del corteo, spiega: “c’è l’esasperazione per non essere ascoltati” dal governo, che continua a dire che le legge sarà varata al termine di un iter parlamentare a colpi di 49.3 (cioè senza voto). Dietro, hanno sfilato nella calma i sindacati, evocando a tratti lo “sciopero generale”. Tra gli slogan più gettonati: “legge del padronato, 49.3, non li vogliamo”, “Hollande, Valls, Medef, casseurs del sociale”. Il caso del Cpe di dieci anni fa, il contratto di primo impiego votato, pubblicato sul Journal Officiel ma poi annullato, viene evocato come un precedente da ripetere oggi.
Manifestazioni anche in molte altre città, Saint-Nazaire, Le Havre, Rennes, Bordeaux, Montpellier, Clermont-Ferrand, Lione, dove ci sono stati due fermi. 19 persone sono state fermate a Rennes, dopo un tentativo di vandalismo nella metropolitana. A Nantes, dove il ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve, aveva proibito la manifestazione, c’è stato un corteo improvvisato al grido: “stato d’emergenza, stato di polizia, non ci impediranno di manifestare”. Intanto, ieri l’Assemblea ha confermato il voto già avvenuto al Senato, che prolunga lo stato d’emergenza per altri due mesi, fino a fine luglio, per coprire l’Euro di calcio, che inizia il 10 giugno, e il Tour de France, due appuntamenti considerati a rischio. Effetto del terremoto politico in corso: il gruppo Verde non esiste più all’Assemblea, la frattura tra pro e contro il governo è consumata. Sei deputati di Europa Ecologia hanno abbandonato e sono entrati nel gruppo socialista, ma conserveranno l’indipendenza di voto. 

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