venerdì 27 maggio 2016

Prendere in giro il mondo dei frequentatori delle mostre d'arte

Tommaso Labranca: Vraghinarodaa. Viaggio allucinante fra creatori, mediatori e fruitori dell'arte, 20090.eu, pp. 308, euro 15


Santexuperine scalze nell’arte contemporanea

Labranca satireggia su frequentatori e animatori delle gallerie. Un mondo pieno di fuffa in cui per superare la noia dei pomeriggi domenicali si parla di massimi sistemi senza sapere nulla

Libero
27 May 2016 NICOLETTA ORLANDI
Il «Mondo dell’Arte Contemporanea» descritto da Tommaso Labranca nel suo nuovo libro Vraghinaroda lo conosco bene. Il mio ex marito aveva una galleria in via Margutta e un’altra a Trastevere. Se un giorno siamo andati davanti a un giudice per dirci addio, è stato proprio perché non ne potevo più di lui, delle Santexuperine Scalze, dei Charlie, dei curator, delle new urban family, degli Ai Weiwei e dei Vraghinaroda che danno il titolo al volume edito da 20090.eu (pp. 308, euro 15).
Chi sono? Nel suo viaggio allucinante fra creatori, mediatori e fruitori dell’arte, Labranca li racconta con ironia e pure disprezzo, lo stesso che provavo io dopo dieci anni di frequentazioni forzate dal sacro vincolo matrimoniale. Iniziamo dai Vraghinaroda, un’espressione russa che significa «nemici del popolo» (e del pop). I Vraghinaroda sono quelli che infestano l’arte con chiacchiere nebbiose, performance comiche e concettualismi fragili; si aggirano nel sottobosco di riviste, musei, biennali e gallerie; non hanno alcuna originalità teorica, nessun interesse onesto verso l’arte, nessuna reale preparazione nel settore; citano Deluze senza averlo mai letto («Circolano comodi estratti talmente incomprensibili da essere applicabili a tutto»), scrivono utilizzando virgolettati rubati a «Deridda o Guattari. L’importante è che siano contorti. L'importante è che siano francesi». Odiano il popolo, ma non quello rappresentato dal Quarto Stato: il popolo inteso come scarto, «chi non supera il vaglio, severissimo, delle proprie stolte convinzioni».
Poi ci sono i Charlie, artisti a 360˚: fanno installazioni, suonano il theremin, girano video, improvvisano performance aggressive davanti ai palazzi del potere, scrivono romanzi contro tutto, «dal governo alla sintassi»: «I Charlie», scrive Labranca, «sono tanti, troppi. Tra loro ogni tanto uno viene fuori e ha successo, ma non perde i difetti dei Charlie anonimi, anzi li amplifica. Per questo Banksy, Maurizio Cattelan, Bjork, i residuati di Mtv o il designer Fabio Novembre sono insopportabili. I Charlie», conclude, «credono di essere parte del Mondo dell’Arte Contemporanea. Il Mondo dell’Arte Contemporanea non esiste. I Charlie, purtroppo sì». Su Banksy, al quale Labranca dedica un intero capitolo, non sono d’accordo: il misterioso street artist di Bristol è l’anti Charlie per eccellenza. Rifugge la fama, nessuno conosce la sua vera identità, il suo volto. Opera di notte quando la città dorme e occhi indiscreti non guardano. Talvolta si maschera da pensionato o da turista ed entra nei musei famosi e appende i propri quadri con cartelli esplicativi annessi, come per dire che è il pubblico a determinare la fama e non i potenti, che dietro la cultura ci dovrebbe essere libertà. Sì, è vero che le New urban family hanno tutte una calamita con il suo Lanciatore di fiori ,ma di questo non gliene si può fare una colpa. Del resto tra le 13 icone artistiche che non mancano mai sul frigorifero di una New urban family ci sono Van Gogh, L’Urlo di Munch. Per le New urban family queste calamite servono a ricordar loro la «bellezza dell’arte». Secondo Labranca, infatti, le New urban family «sono composte da licantropi che mutano non a ogni luna piena, ma più frequentemente a ogni fine settimana»: da lunedì a venerdì parlano di attori di fiction, borse costose, diete, di colleghi che odiano, di calcio, di console e smartphone, poi, all’inizio dello shabbat, l’arte diventa una passione divorante che li spinge a percorrere centinaia di chilometri per vedere la grande mostra su Chagall a Padova per la abituale “passeggiata di bellezza”; in auto ascoltano il cd dei Modà e costringono i figli ai laboratori didattici nei musei per poi riempire la casa dei loro disegni.
Le Santexuperine Scalze sono invece sedicenti critiche che quando va bene hanno fatto scenografia a Brera, «disprezzano chi non condivide il mondo di zucchero filato che loro fanno coincidere con l’arte mescolando ad altri falsi impegni sociali più o meno medio-orientali» e sono state tutte a scuola sull’Asteroide B-612, quello del Piccolo Principe. «L’arte delle Santexuperine Scalze», scrive Labranca, «si esaurisce con il pellegrinaggio alla retrospettiva di Mirò. L’arte delle Santexuperine Scalze è Bellezza pura che ha due soli scopi: rimuovere le brutture di questo mondo e aiutare a superare la noia dei pomeriggi domenicali». In Vraghinaroda ci sono pure i
francofili beccati da Labranca in metro alle prese con le parole crociate facilitate; impiegati che sognano il grande salto nell’arte; falsi corrispondenti da Londra di prestigiose riviste che in realtà organizzano estemporanee per la Pro Loco; compilatrici di libri che ti spiegano cos’è l’arte contemporanea con stile da «Mamma Oca»; i cubi bianchi; gli spazi espositivi, i vernissage nelle fabbriche dismesse. Con tutti Labranca ha avuto in qualche modo a che fare. Anche coi «culidipietra ipersindacalizzati delle redazioni», ai quali di questi eventi culturali non interessa nulla, nemmeno il buffet. Ma non siamo tutti così, giuro.

Nessun commento: