mercoledì 18 maggio 2016

Ripubblicati i saggi di Verrecchia su Wagner

Copertina di Il cantore filosofoAnacleto Verrecchia: Il cantore filosofo, scritti su Wagner, a cura di Marco Lanterna, Clinamen, 80 pagine, 12,50

Risvolto
«Il più grande epigono di Schopenhauer è stato indubbiamente Wagner, anche in campo strettamente filosofico». Con gesto inconfondibile, Verrecchia sgombra l’orizzonte da annosi errori e luoghi comuni, costringendo Nietzsche – finora l’unico erede “riconosciuto” di Schopenhauer – in “un cantuccio piagnucoloso”. L’ammirazione per Wagner traspare bene da tutti gli scritti di Verrecchia, ma egli aveva dedicato un intero saggio al musicista filosofo, innovativo interprete di Buddha e Schopenhauer. Quel saggio – pimpante e dottissimo – è rimasto rocambolescamente inedito e secretato fra le carte della sua biblioteca. Nel darlo oggi a nuova luce sono stati aggiunti, a mo’ di medaglione wagneriano, alcuni elzeviri apparsi su «La Stampa» affini per tema e sfolgorio stilistico. Così – dopo Bruno, Schopenhauer e Nietzsche – Verrecchia chiude con piglio magistrale il giro delle proprie passioni di studio: culmine di pessimismo e libero pensiero.
Il Wagner eretico di Verrecchia fatto sparire dalla Rizzoli
Libero 18 May 2016 GIANCARLO PERNA RIPRODUZIONE RISERVATA
C'è tutto Anacleto Verrecchia (1926-2012) in questo manoscritto ritrovato e che, fresco di stampa, diventa opera postuma. Nome solenne che l'avrebbe fatto scoppiare in una delle sue belle risate.
Verrecchia è stato un trascinante biografo di pensatori a lui cari -Arthur Schopenhauer, G.C. Lichtenberg e Giordano Bruno su tutti- e di Friedrich Nietzsche, che aveva invece preso a bersaglio. Per trascinante, intendo che ha reso contemporanei questi illustri antenati, trattandoli da vivi. Leggendolo, pare di essere faccia a faccia con quei grandi, tra balzi di genio e meschinità quotidiane. Verrecchia, come nessuno, dialoga empaticamente con i suoi beniamini restituendoci in carne e ossa spiriti monumentali che i biografi prima di lui hanno lasciato smorti sulla carta.
Ora l'editore Clinamen di Firenze ci mostra Verrecchia, germanista di formazione, alle prese con un nuovo personaggio, Richard Wagner, tratteggiato in poche e sapide paginette. Sapevo del suo gusto per le chilometriche saghe del titanico tedesco, cui dedicava ore di ascolto nella sua casa di Torino o di Cervo, sul mare ligure. Ignoravo però che lo avesse collocato nel pantheon dei suoi spiriti affini, né immaginavo ne avesse scritto, salvo sporadici articoli sulla Stampa alla cui terza pagina collaborò decenni. Il cantore filosofo, scritti su Wagner (a cura di Marco Lanterna, 80 pagine, 12,50 euro), ha un storia curiosa. Il nucleo centrale risale al 1983 come prefazione alla biografia wagneriana di Martin Gregor-Dellin. Lo scritto fu però rifiutato dal committente, l'editore Rizzoli, - vedremo il perché- e dimenticato. Ogni tanto, preso dall'uzzolo, Verrecchia frugava tra le carte per recuperarlo. Sparito. Pensò allora di avere lasciato la prefazione mancata a Vienna, dove l'aveva redatta nel periodo in cui era addetto culturale della nostra ambasciata di lassù (fu anche a Berlino), e ci mise una pietra sopra. Solo dopo la morte, Silvana, la moglie, ne ha ritrovata copia in un tiretto. E sono cominciati i guai. Anacleto, infatti, che già scriveva malvolentieri a macchina -figurarsi al computer! - aveva conservato la stesura manoscritta. Uno scarabocchio, con rispetto parlando. Così, si è fatto avanti il curatore dell'edizione e amico di Anacleto, Marco Lanterna, unico iniziato, per antica consuetudine, a quei misteri grafologici. Sapiente italianista, come i lettori vedranno dalle note illuminanti e dall'apparato critico, Lanterna ha decrittato i geroglifici e ci ha regalato un impeccabile Wagner verrecchiano. Ossia, del tutto controcorrente. Più sbarazzino, a volte irriverente (come quando allude all'onanismo di Nietzsche), filosofo profondo quanto grande musicista, circondato di cure dalla moglie, Cosima Liszt, il cui Diario è il viatico per farsi un' idea del grande marito.

E con questo, ho già rivelato perché l'editore bocciò la prefazione: il contrasto tra la seriosa biografia del prof. Gregor-Dellin e la vivace interpretazione che Verrecchia dava di Wagner. Tanto distante da farla sembrare un controcanto. Come quando Anacleto -che del mondo tedesco conosce ogni piega- irride alla definizione di «hegeliano» che Gregor-Dellin attribuisce a Wagner. Un giorno -racconta traendo dai Diari di Cosima- il musicista indicò a un amico un passo di Hegel che lo aveva colpito. «Siccome non lo avevo capito, lo pregai di rileggerlo e allora fummo in due a non capire. Lo rilesse tre, quattro volte, finché ci guardammo in faccia e cominciammo a ridere come matti: quella fu la fine della Fenomenologia» (dello Spirito, massima opera hegeliana, ndr). Dunque, per nulla patito delle astrusità di Hegel, il vero amore filosofico di Wagner fu un altro. Io vi anticipo il nome -Schopenhauerma se volete i deliziosi ricami di Verrecchia sul rapporto intellettuale tra i due non potete che rivolgervi alla fonte. Anacleto Verrecchia

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