venerdì 27 maggio 2016

Tradotta l'idea di socialismo senza socialismo di Axel Honneth

L'idea di socialismoAxel Honneth: L'idea di socialismo. Un sogno necessario, Feltrinelli

Risvolto
L’idea di socialismo aveva animato grandi conquiste sociali e politiche. Aveva mostrato che lottare è giusto, che cambiare è possibile. Poi le tragedie del comunismo l’avevano offuscata, e il benessere del capitalismo aveva surclassato le sue più rosee aspettative. Lo scenario del capitalismo contemporaneo ci ha bruscamente risvegliati dalle nostre confortevoli illusioni. La realtà del mondo neoliberista è fatta di stridente disuguaglianza economica, sfacciato sfruttamento del lavoro, illimitata precarizzazione delle esistenze. E così, a polarizzare il vissuto dei singoli e le parole di una politica in faticosa ripresa sono i bisogni di giustizia, uguaglianza, condivisione che avevamo disimparato ad avvertire, persino a nominare. Bisogni che l’idea di socialismo aveva messo al centro del suo sguardo sulla società e sull’uomo.

In queste pagine Axel Honneth, uno dei maggiori filosofi contemporanei, erede principale della prestigiosa Scuola di Francoforte, torna a fare i conti con l’idea di socialismo restituendocene una lettura nitida e coraggiosa, rigorosa e attualissima. Honneth la libera anzitutto dai suoi retaggi ottocenteschi, dai suoi legami con un mondo industriale tramontato, dai suoi debiti verso una mitologia della storia fatta di leggi infallibili e infondato ottimismo. E la cala nel nostro mondo, la mette a confronto con la complessità del nostro tempo, la fa dialogare con le leggi di un mercato che non demonizza ma anzi indica come inedito vettore di emancipazione. Soprattutto, Axel Honneth riporta l’idea di socialismo al suo nocciolo più antico e più urgente, quello di una libertà che si realizza nell’appartenenza e nel riconoscimento di tutti e di ciascuno. In una parola, il nocciolo di una libertà che fa rima con solidarietà.

 
“Sappiamo bene che cosa c’è di scandaloso nel mondo attuale. Ma non abbiamo la minima idea di come uscirne, di quale meta dovremmo darci. Io cercherò di mostrare che è nell’idea di socialismo che dobbiamo cercare. Nell’idea di socialismo c’è ancora una scintilla viva.”

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Sull’idea di socialismo di Axel Honneth
 di Marco Solinas 

Se ritorna la parola “socialismo”FRANCO MARCOALDI Restampa 12 6 2016
In libreria l’occhio subito cade sul titolo: L’idea di socialismo. Un sogno necessario (Feltrinelli). Suscita curiosità e desta simpatia l’audacia di chi tira fuori dal cilindro un termine tanto desueto, impolverato. E prova a dargli una nuova veste, rammentando alla sinistra che da che mondo è mondo la sua costitutiva ragion d’essere è quella di combattere per una società più decente e meno ingiusta. L’autore del saggio, oltretutto, non è l’ultimo venuto: parliamo del tedesco Axel Honneth, direttore del glorioso Istituto per la ricerca sociale di Francoforte. Il quale prende le mosse da una domanda quanto mai stringente: perché, crescendo ovunque e in modo esponenziale ogni forma di ingiustizia, non sorgono più come in passato forze strutturate protese a immaginare scenari politici ulteriori, diversi? Di qui la necessità di delineare una proposta che, a partire dai radicali mutamenti in atto, punti le sue fiches sul principio base di “libertà sociale”, teso a rinsaldare in ogni ambito azioni solidali e condivise. Durante la lettura, lo confesso, ogni tanto mi sono perso un po’ per strada, forse perché andavo colpevolmente in cerca di immagini semplici, scolpite, mentre invece la realtà è maledettamente complicata. Poi, all’improvviso, ecco la schiarita. Più precisamente, quando Honneth specifica che il sogno di socialismo da lui rivisitato si affida a una idea di società in cui «la libertà individuale prosperi non a dispetto, ma piuttosto grazie alla solidarietà». Giusto, giustissimo. E fa niente se questo lo aveva intuito già Spinoza, affidandosi a una magica paroletta: “interesse”. Per superare le angustie di un egoismo torvo e dilagante, basta tagliare quel vocabolo a metà — inter-esse — e subito si capisce che il mio bene sarà tanto più grande quanto più tutti, intorno a me, staranno meglio.

Le regole della libertà nascono dal riconoscimentoSAGGI . «L’idea di socialismo» del filosofo tedesco Axel Honneth per Feltrinelli. Le proposte di rilancio di una politica di emancipazione sociale passano attraverso un sistema di diritti. Un’analisi sulle ragioni della sconfitta che evita la visione consolatoria di individuarle nel crollo del socialismo reale
Gianpaolo Cherchi Manifesto 27.5.2016, 0:04
La veloce transizione odierna verso forme di democrazia illiberale, accompagnata da un tutt’altro che anomalo ritorno del nazionalismo populista (soprattutto in seguito al recente boom elettorale del Fpoe in Austria, giunto dopo le vittorie delle destre sovraniste in Ungheria, Polonia e Francia), se da un lato sembra fare terra bruciata attorno ad ogni possibilità di trasformazione sociale, dall’altro ha reintrodotto la necessità di tornare a parlare di socialismo, con il recupero del termine da parte di Bernie Sanders, che lo ha posto al centro della sua campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali.
Trattato spesso come un relitto vergognoso del passato, e relegato per troppo tempo all’ambito ristretto e autoreferenziale del dibattito accademico, il socialismo sembra suscitare oggi un nuovo interesse, e la recentissima pubblicazione in italiano dell’opera di Axel Honneth, uno dei più acuti filosofi contemporanei e voce più autorevole dell’odierna Scuola di Francoforte, dal titolo L’idea di socialismo. Un sogno necessario (Feltrinelli, p. 154, euro 18), è da accogliere con curiosità e interesse. Il suo contributo giunge in un momento storico caratterizzato da un profondo iato fra la consapevolezza di ciò che risulta scandaloso e insostenibile nell’attuale condizione sociale e la contemporanea incapacità di presentare elaborazioni critiche che possano indicare una possibile direzione per una sua trasformazione.
Tale assenza di prospettive non può essere imputata unicamente alla fine della Guerra Fredda e al crollo dei regimi del socialismo reale, come vuole una interpretazione ormai classica e allo stesso tempo screditante del socialismo, che ancorando il nucleo di quell’idea all’esperienza storica dell’Unione Sovietica, riesce a trovare terreno fertile per decretarne la definitiva bancarotta non soltanto pratica ma anche teorica. La causa della sua inattualità deve essere ricercata, secondo Honneth, volgendo uno sguardo al passato, ritornando quindi alle elaborazioni teoriche di Owen, Fourier, Proudhon e Marx: in questo modo è possibile comprendere i motivi del deficit di appeal cui il socialismo è andato incontro, e comprendere quali siano le trasformazioni teoriche necessarie per far sì che esso possa tornare a persuadere i soggetti del fatto che ciò che oggi appare come assolutamente necessario e ineluttabile «potrebbe invece essere trasformato e migliorato grazie all’impegno collettivo».
Fin dalla sua elaborazione originaria il socialismo avrebbe infatti precluso a sé stesso la possibilità di un riconoscimento normativo nella misura in cui, in linea generale, i soggetti collettivi e i singoli avrebbero dovuto acquisire la libertà sociale solo ed esclusivamente mediante la loro produzione e collaborazione cooperativa, senza preoccuparsi della propria autodeterminazione individuale.
Il binario su cui si svolge il discorso di Honneth è dunque quello dell’intreccio fra le esigenze di trasformazione sociale da un lato e il loro riconoscimento normativo dall’altro. Già fin dalla pubblicazione di Capitalismo e riconoscimento (Firenze University Press), e ancor di più ne Il diritto della libertà (Codice edizioni), il filosofo aveva mostrato come le trasformazioni sociali debbano oggi essere giocate sul piano dei diritti, e dunque all’interno di un orizzonte di riconoscimento codificato da norme. Ne L’idea di socialismo Honneth tenta allora di applicare questa metodologia del riconoscimento normativo attraverso il recupero della filosofia del diritto hegeliana, per mezzo della quale vi sarebbe la «possibilità di pensare i diritti di libertà liberali non come ostacoli, ma piuttosto quali premesse necessarie di tutte quelle libertà sociali» cui il socialismo aspira e che, tuttavia, si sarebbe impedito da solo di realizzare.
Il quadro che emerge dall’analisi di Honneth è quello di un socialismo che deve guardare al sistema capitalistico come ad un’opportunità, come «una forma istituzionale trasformabile e in costante mutazione, di cui si possa testare la riformabilità anzitutto per mezzo di esperimenti reiterati». Il socialismo può essere ancora attuale (questa la conclusione cui Honneth perviene) solo se è in grado di rintracciare il futuro laddove «alcuni elementi dell’agognato progresso nella estensione della libertà sociale sono già precipitati in conquiste istituzionali, in modifiche legislative e in cambiamenti di opinione ormai forse stabilmente acquisiti».
Se l’appello alla sfera dei diritti non è nuovo nell’ambito della teoria socialista (basti pensare a Lefebvre), la proposta teorica di Honneth manifesta tuttavia i propri limiti nella misura in cui il meccanismo di riconoscimento normativo avviene unicamente attraverso una regolazione istituzionale, la quale deve tuttavia tenere ferme le esigenze di governamentalità del sistema. A gettare ulteriori dubbi sulla effettiva possibilità di riformare il sistema per via istituzionale vi è l’esperienza delle sinistre di governo, le quali hanno privilegiato in misura sempre maggiore l’impegno per i diritti civili a discapito della tutela dei diritti sociali, relegati sempre più sullo sfondo e progressivamente distrutti. Sarebbe perciò sufficiente una piccola rotazione di prospettiva per recuperare la possibilità critica di una trasformazione sociale, ovvero svolgendo la lotta per i diritti non sul terreno normativo del riconoscimento, ma su quello ben più decisivo e risolutivo di una resistenza votata all’affermazione e all’appropriazione.


Alex Honneth, più Rawls che MarxSebastiano Maffettone Domenicale 19 6 2016
Axel Honneth, già allievo di Juergen Habermas e attuale Direttore della Scuola di Francoforte, ha scritto un breve saggio sulla necessità di concepire L’idea di socialismo come sogno necessario (come recitano rispettivamente titolo e sottotitolo del volume della cui edizione tedesca si è occupata Francesca Rigotti sulla Domenica del 15 novembre 2015). Il punto di partenza di Honneth è chiaro e a prima vista convincente: se la crisi del capitalismo attuale è quanto mai visibile e grave, come mai non ci sono movimenti antagonistici che abbiano una forza analitica e normativa paragonabile a quella della crisi stessa? La risposta, come si intuisce, consiste nella debolezza del socialismo perlomeno così come sulla scia di pensatori del passato quali Proudhon, Durkheim e soprattutto Marx lo avevamo concepito. Purtroppo, se la domanda e in generale l’approccio di Honneth sono –come detto- persuasivi, lo stesso non si può dire della sua proposta positiva. Nei quattro capitoli del libro, l’autore cerca di indicare le cause per cui il socialismo delle origini non ci convince (capitoli 1 e 2) e i motivi per cui invece un capitalismo adeguato ai nostri tempi potrebbe avere successo (capitoli 3 e4). L’idea di fondo è che il socialismo delle origini sia stato caratterizzato da un fondamentalismo economicistico e da una filosofia della storia metafisicamente orientata.
La congiunzione di economicismo e filosofia della storia avrebbe poi reso impossibile la costruzione di quella «comunità solidale» in cui si dovrebbe realizzare il socialismo della libertà come lo vuole Honneth. Tutto ciò è nel complesso ragionevole e storicamente evidente se si considera la difficoltà dei movimenti socialisti di avere rapporti fruttuosi con quelli radicali democratici. Le difficoltà nascono tuttavia quando dall’analisi storico-ricostruttiva si passa alla proposta positiva di un socialismo finalmente adatto ai nostri tempi.
Quest’ultimo dovrebbe imperniarsi su un alquanto opaco sperimentalismo storico che vede tra i suoi predecessori forse Castoriadis e Habermas ma sicuramente Dewey e Rawls. In buona sostanza, Honneth dice qui qualcosa di abbastanza scontato per la maggior parte dei suoi lettori, sarebbe a dire che il socialismo deve riconciliarsi con la democrazia e le istituzioni. In questo modo, più che eliminare il mercato capitalistico ne limiterebbe gli effetti politici. Questi ultimi sono innanzitutto di natura distributiva. E quindi, anche se non lo ammette mai esplicitamente, Honneth suggerisce che il nuovo socialismo che ci promette coincide in buona sostanza con una teoria della giustizia distributiva.
A conferma di questa tesi –leggendo l’indice dei nomi- troviamo dieci volte quello di Rawls e solo due quello di Habermas. El’exergo iniziale è preso da Walt Whitman poeta simbolo dei democratici americani. Per concludere, il nuovo socialismo di Marx assomiglia tanto a un left liberalism. A me non dispiace, ma francamente un po’poco per chi si aspettava un sogno socialista...
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