martedì 14 giugno 2016

Ancora sul Mein Kampf



LogoIl “Mein Kampf” nelle edicole è solo marketing? Intervista a Stefano Azzarà 
sinistra.ch Portale svizzero di informazione progressista 13 giugno 2016 di Aris Della Fontana 
L’11 giugno “Il Giornale” è apparso nelle edicole con allegato il celeberrimo Mein Kampf hitleriano. Le discussioni – come c’era d’aspettarselo – sono immediatamente montate, e molti si sono detti scandalizzati. Sinistra.ch ne parla con Stefano Azzarà, ricercatore di Storia della Filosofia presso l’Università di Urbino. Concentrando il suo lavoro sul confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche dell’età contemporanea, lo studioso italiano – di orientamento hegelo-marxista – si anche è occupato del filone di pensiero conservatore: ha lavorato, per esempio, su alcuni saggi di Arthur Moeller van den Bruck – autore pressoché sconosciuto in Italia –, come anche su Friedrich Nietzsche e su Martin Heidegger. Stefano Azzarà è ricercatore di Storia della Filosofia all’Università di Urbino. 

1. Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, ha giustificato questa scelta editoriale sostenendo che non bisogna «aver paura di storicizzare» e che, in quest’ottica, il Mein Kampf va letto al fine di comprendere il nazismo. Crede alla sincerità di queste intenzioni? Oppure è un’operazione di marketing? 
La seconda che ha detto, con qualche elemento della prima. Per quello che capisco, si tratta prevalentemente di una questione di marketing. Tuttavia questo non basta: c’è da chiedersi perché il Giornale pensi di realizzare questa operazione proprio con questo libro. C’è perciò anche un aspetto culturale, oltre che economico. Un aspetto che si spiega con la rilettura revisionistica della storia del Novecento alla quale già da molti decenni il Giornale cerca di “educare” il proprio pubblico...

Mein Kampf in edicola, scherzare con il fuoco
L'iniziativa de Il Giornale. La scelta di Sallusti non offende solo la sensibilità degli ebrei, come si sente dire da più parti, ma il buonsenso di tutte le persone civili. Al di la della illeggibilità di un testo infarcito delle farneticazioni di un tribuno da operetta che sfruttava il disorientamento di un popolo, ciò che impressiona oggi è l’ingenuità della sua riproposizione come se in esso si trovasse anche l’antidoto ai veleni di cui esso stesso è portatore. di Enzo Collotti il manifesto 14.6.16
La trovata de Il Giornale di distribuire il Mein Kampf per aumentare le vendite è semplicemente indecente. Non si capisce se è una trovata spregiudicata o se vuole essere un ammiccamento morboso ad uso di un pubblico sicuramente non avvezzo a bocconi così forti.
Certo non è una lettura neutrale, e il proposito di farne l’introduzione ad una serie di pubblicazioni sul nazismo non rende l’idea meno perversa. Essa sfrutta l’appeal che continua ad avere il Führer in virtù dell’attrazione del mostro ma senza fornire gli strumenti per neutralizzarlo.
È un po’ scherzare con il fuoco, come se in un frangente in cui tornano virulenti populismi e razzismi nelle più diverse matrici ci fosse ancora bisogno di normalizzare l’orrore offrendolo in pasto agli ignari lettori fuori dal contesto in cui il Führer lo concepì e a distanza di quasi un secolo dalla sua originaria pubblicazione.
Un anacronismo, si direbbe, se non fosse che c’è ancora qualcuno che pensa a pulizie etniche, a muri di separazione, a gerarchie di razza, ad egoistici esclusivismi e che potrebbe trovare in un simile oggetto incoraggiamento e argomenti.
Al di la della illeggibilità di un testo infarcito delle farneticazioni di un tribuno da operetta che sfruttava il disorientamento di un popolo uscito dalla sconfitta, dalla catastrofe economica e dalla demoralizzazione e che prometteva con freddo calcolo l’assassinio di milioni di esseri umani, ciò che impressiona oggi è l’ingenuità della sua riproposizione come se in esso si trovasse anche l’antidoto ai veleni di cui esso stesso è portatore.
Il fatto singolare è che mentre in Germania, come cercheremo di spiegare in altra sede, si procede con cautela a ristampare con un’edizione «critica», corredata da un autorevole e anche troppo pignolesco commento di accompagnamento, il testo incriminato, in Italia senza troppi complimenti lo si distribuisce quasi gratuitamente e senza troppo curarsi della sua correttezza non dico filologica ma neppure logica.
Si tratti di una consapevole provocazione o di una operazione mirata e sicuramente male architettata, l’iniziativa de Il Giornale non offende solo la sensibilità degli ebrei, come si sente dire da più parti, ma il buonsenso di tutte le persone civili che sono messe a confronto con uno dei capolavori del pensiero perverso senza essere necessariamente preparati a svelenirne il contenuto.
Sarebbe vano invocare censure, dovremmo contare solo sulle capacità di ciascuno di esercitare la propria censura interna e di avere una cultura e un’educazione storica e politica superiori a quella dei media che insieme al buon senso insidiano la buona fede e la curiosità dello sprovveduto lettore attratto dall’apparente novità nel singolare quanto orrido messaggio.

Mein Kampf Leggerlo mi aprì gli occhi sulle radici dell’odio
di Carlo Rovelli Corriere 14.6.16
Il Giornale propone in edicola copie del libro di Hitler, Mein Kampf . Ci sono ragioni per essere offesi o disgustati da questa scelta, e Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale , lo dico apertamente, non è persona che mi piace. Eppure mi sono trovato d’accordo con lui quando, forse un po’ goffamente, ha provato a difendere la sua provocazione dicendo che per combattere un male bisogna conoscerlo. Ho letto Mein Kampf qualche tempo fa, e effettivamente mi ha insegnato delle cose: cose che non mi aspettavo. Provo a riassumerle.
Il nazismo è stato un feroce scatenarsi di aggressività. Dalla notte dei lunghi coltelli alla disperata difesa di Berlino, ha cavalcato la violenza estrema. La giustificazione ideologica immediata per la brutalità e la violenza era la superiorità della razza e della civiltà germanica, l’esaltazione della forza, la lettura del mondo in termini di scontro invece che di collaborazione, il disprezzo per chiunque fosse debole.
Questo pensavo, prima di leggere Mein Kampf . Il libro di Hitler è stato una sorpresa perché mostra cosa c’è alla sorgente di tutto questo: la paura. Per me è stata una specie di rivelazione, che mi ha d’un tratto fatto comprendere qualcosa della mentalità della destra, per me da sempre difficile da cogliere. Una sorgente centrale delle emozioni che danno forza alla destra, e all’estrema destra sopratutto, non è il sentimento di essere forti: è la paura di essere deboli. In Mein Kampf , questa paura, questo senso di inferiorità, questo senso del pericolo incombente, sono espliciti. Il motivo per cui bisogna dominare gli altri è il terrore che altrimenti ne saremo dominati. Il motivo per cui preferiamo combattere che collaborare è che siamo spaventati dalla forza degli altri. Il motivo per cui bisogna chiudersi in un’identità, un gruppo, un Volk, è per costruire una banda più forte delle altre bande ed esserne protetti in un mondo di lupi. Hitler dipinge un mondo selvaggio in cui il nemico è ovunque, il pericolo è ovunque, e l’unica disperata speranza per non soccombere è raggrupparsi in un gruppo e prevalere.
Il risultato di questa paura è stata la devastazione dell’Europa, e una guerra con un bilancio totale di 70 milioni di morti. Cosa ci insegna questo? Penso che quello che ci insegna è che ciò da cui bisogna difendersi per evitare le catastrofi non sono gli altri: sono le nostre paure degli altri. Sono queste che sono devastanti.
È la paura reciproca che rende gli altri disumani e scatena l’inferno. La Germania umiliata e offesa dall’esito della prima guerra mondiale, spaventata dalla forza della Francia e della Russia, è stata una Germania che si è autodistrutta; la Germania che, imparata la lezione sulla sua pelle, si è ricostruita come centro di collaborazione e di resistenza alla guerra è una Germania che è fiorita. A me questo insegnamento suona attuale.
Forse ora nel mondo la paura reciproca sta aumentando, non lo so, ma a me sembra che noi siamo i primi ad alimentarla.
Chi si sente debole ha paura, diffida degli altri, difende se stesso e si arrocca nel suo gruppo, nella sua pretesa identità. Chi è forte non ha paura, non si mette in conflitto, collabora, contribuisce a costruire un mondo migliore anche per gli altri. Pochi libri svelano questa intima logica della violenza come Mein Kampf .

Mein Kampf Non è un libro normale, è un inno allo sterminio
di Donatella Di Cesare Corriere 14.6.16
Hitler non si addice alle edicole. La scelta di «regalare» Mein Kampf come allegato deve essere condannata con grande fermezza da una società civile. Quali che siano i motivi reconditi che possono aver spinto il Giornale a diffondere il libro di Hitler, si tratta di una scelta gravissima, irragionevole e ingiustificabile.
Questo fatto — come ha dichiarato Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme — è «senza precedenti». Non stupisce che la stampa internazionale abbia dato rilievo alla notizia. Dalla Frankfurter Allgemeine a Die Welt e al Washington Post , per citare solo alcune testate, lo sconcerto è unanime. E ci si chiede come mai, nell’Italia di oggi, Hitler possa tornare a essere popolare.
Il «regalo» è giunto sabato scorso — per gli ebrei alla vigilia di Shavuot, la festa in cui si ricorda il dono della Torah, il Libro dei libri. Triste coincidenza, dunque, che nelle edicole di un Paese europeo, coinvolto nello sterminio, girasse la «Bibbia del nazismo». Né si può sorvolare su una coincidenza inquietante: solo pochi giorni fa è stata finalmente approvata la legge contro il negazionismo.
Vuoi per richiamo morboso, vuoi per banale interesse, nelle edicole l’allegato è esaurito. Questa sarebbe una operazione culturale? Distribuire il secondo volume del testo di Hitler, intitolato La mia battaglia , nella vecchia edizione Bompiani del 1937? Non è una edizione critica: non ci sono né note, né commenti. Non può farne le veci la breve e discutibile introduzione di Francesco Perfetti, il quale sembra ignorare il successo ottenuto, persino nel mondo accademico tedesco, dall’«antisemitismo della ragione» propugnato da Hitler. L’edizione critica, pubblicata in Germania nel gennaio del 2016, è costituita da due volumi di 2.000 pagine e corredata da ben 3.500 note.
Ma arriviamo al punto. I campioni dell’ultraliberalismo hanno gridato alla censura e si sono appellati alla necessità di leggere Hitler come «documento storico». Qui è bene chiarire: Mein Kampf non è un libro come un altro. Non può essere paragonato ad altri libri antisemiti che hanno propagato e propagano ancor oggi le teorie del complotto. Mein Kampf è il libro che contiene il primo progetto di sterminio planetario del popolo ebraico.
Chi lo ha letto lo sa. E sa giudicare la gravità incommensurabile di quelle pagine che preludono all’annientamento. Per Hitler gli ebrei sono gli «stranieri», che cancellano i confini — quelli geografici e quelli tra i popoli. Distruggono gli altri per dominare il mondo; la loro «vittoria» sarebbe «la ghirlanda funeraria dell’umanità», decreterebbe la fine del cosmo. Il pericolo maggiore viene indicato nella possibile fondazione di uno «Stato ebraico». Perché non ci deve essere luogo alcuno, per gli ebrei, nel mondo. Di qui l’annientamento.
Dare allora queste pagine da leggere senza una guida critica? Certo che occorre conoscere Mein Kampf . E chi responsabilmente si occupa della Shoah lo legge e lo fa leggere. Non era necessario che il Giornale degradasse la cultura italiana per avvertirci che il male si deve conoscere. Noi il male non lo dimentichiamo. Ma siamo convinti che uno studio critico, come quello che d’altronde già si compie in molte università e scuole italiane, sia la strada giusta per conoscere il passato e per guardare con più consapevolezza al futuro.

I confini del Mein Kampf risponde Corrado Augias
Repubblica 16.6.16
STIMATO signor Augias, ho letto che un giornale di destra italiano regala il libro di Hitler “Mein Kampf” dicendo che anche in Germania era stato fatto lo stesso. Non è vero. In Germania il famigerato libro non è stato pubblicato per 70 anni. Solo a gennaio di quest’anno, dopo l’estinzione dei diritti d’autore, il prestigioso Institut für Zeitgeschichte di Monaco e Berlino ha presentato un’edizione scientificamente commentata. Questa edizione è stata preparata da anni da un gruppo di storici specializzati. 1966 pagine, corredate da più di 3500 annotazioni che cercano di rendere in evidenza la storia del pensiero di Hitler, le radici, di correggere errori, spiegare riferimenti alla storia contemporanea. Soprattutto intraprendono un confronto tra il programma di Hitler e quello che è stato poi realizzato. In Germania l’edizione originale è costata 59 € (tascabile 16,90 €) ed è subito diventato un bestseller; solo all’inizio del mese di maggio, dopo sei mesi è uscito dall’elenco dei dieci libri più venduti. È importante sapere che in Germania la pubblicazione del libro di Hitler è stata preceduta da decenni di un dibattito profondo e vivace sull’opportunità di una sua pubblicazione. Quello che Il Giornale ha fatto adesso, è proprio quello che in Germania non si è voluto fare. Anche se non vedo che questo libro, incomprensibile e poco seduttivo, possa spingere qualcuno a imitare le gesta di Hitler, ma c’è una moralità che va difesa — soprattutto in questi tempi.
Sabine Heymann

HO LETTO la prefazione che lo storico contemporaneista Francesco Perfetti (Luiss, Roma) antepone per una dozzina di pagine al volume. Nonostante le dichiarate simpatie politiche del professor Perfetti, la presa di distanza dallo scritto di Hitler è abbastanza netta anche se un tema così sanguinoso avrebbe meritato ben altro approfondimento. Una cautela editoriale comunque fragile. Il volume riproduce in anastatica l’edizione fascista pubblicata (Bompiani) tra il 1934 e il 1937. C’è la breve prefazione allora scritta ad hoc dal Fuhrer e una “Vita di Adolf Hitler” redatta con molta enfasi. Il tono di questi contributi stabilisce la vera temperatura del volume delineando la figura di un eroe, come del resto l’asservimento dell’Italia fascista al Reich imponeva. Nulla quindi a che vedere con le cautele storico-critiche di ben altra serietà adottate in Germania dopo lungo dibattito. Non so perché il direttore de Il Giornale abbia preso una decisione di tale gravità. Sono state fatte molte ipotesi che vanno dalla simpatia personale per quei giorni al calcolo elettorale in vista dei ballottaggi. Si tratta di illazioni e non ho elementi per commentarle. So per certo che pubblicare un volume che ha avuto un tale peso criminale nella storia umana comporta una responsabilità morale (come sottolinea anche la signora Heymann) che la frettolosa edizione italiana, a voler essere benevoli, ignora: il 1937 è l’anno che precede la promulgazione delle leggi razziali il cui fondamento si trova in queste pagine.

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