lunedì 13 giugno 2016

Figure minori del trasformismo intellettuale di massa

«Perchè noi ultracomunisti oggi siamo berlusconiani»

«Lotta Continua si avvicinò a Craxi per la delusione del compromesso storico e per soldi. Il problema della giustizia? I giornalisti non le toghe»

Libero 13 giu 2016 GIANCARLOPERNA
È un tipo per intenditori, Andrea Marcenaro, che non va mai preso come appare ma interpretato. Se parla sul serio, probabilmente sta scherzando. Se scherza, è serio. Succede però che sia davvero serio quand’è serio, scherzoso quando scherza e che alla fine non ti raccapezzi e, nonostante la premessa, lo prendi come viene.
Funambolico è la giusta descrizione di questo giornalista, classe 1947, che da quindici anni con la sua rubrica sul Foglio, Andrea’s version, delizia ogni giorno schiere di lettori fino al rimbambimento. In venti righe li sommerge di battute, invenzioni linguistiche, frecciate al personaggio di turno, preferibilmente un detestato giustizialista. «Non sarà facile essere fulminante ogni giorno», dico a Marcenaro che mi accoglie nel suo appartamento romano dei Prati, in un villino novecentesco che fa molto buona borghesia. «Non voglio atteggiarmi a martire -risponde con una cadenza in cui trapelano tracce di Genova, la sua città-, ma trovare ogni volta una battuta che strappi un sorrisetto, è dura. Poi si capisce subito se è venuta di getto o sei stato lì tre ore per una cacatina». Avverto subito che ho deciso di scrivere per intero le parole un po’ audaci di Andrea evitando l’ipocrisia di parafrasarle, c..zo, st..zo, ecc. Un omaggio che gli faccio per l’innocenza con cui le pronuncia.
«Prima del Foglio -osservo- in tanti anni di giornalismo, da Lotta Continua dei tuoi sciagurati esordi, fino ai settimanali in cui abbiamo lavorato insieme -Europeo, Epoca, Panoramanon ti eri mai prodotto in corsivi come Andrea’s version. Chi ha intuito che avresti dato il meglio di te nel motteggio?». «Fu una gentilezza di Giuliano Ferrara (padre fondatore del Foglio, ndr). Non ero stato bene e per non farmi affaticare con articoli sterminati, si inventò per me la rubrichetta», racconta. «Come capì che era nelle tue corde?». «Stronzate ne avevo sempre dette, soprattutto a cena dove spesso stavamo insieme. Mi ha chiesto di trasferirle sulla carta», ride.
Immaginarlo a tavola con Ferrara mi riporta a un quarto di secolo fa, quando seguivamo insieme i congressi politici in giro per l’Italia. All’epoca, Andrea era spiccicato a Marco Columbro, noto personaggio tv. Stesso ciuffo biondo e baffetti, con un sorriso furbo da pigliafondelli. Ogni volta che entravamo in un ristorante, era immancabilmente scambiato per l’altro. Gli osti erano estasiati per l’illustre presenza e i clienti facevano ressa al nostro tavolo. Andrea stava al gioco e ci metteva del suo. Firmava autografi e inventava di sana pianta aneddoti di vita televisiva. A mia scienza, non ha mai scroccato un pasto ma avrebbe potuto tranquillamente farsi pagare per il clima di festa che creava nel locale. E dire che questo amabile spirito aveva debuttato, fine Anni ’60, in forma di ceffo da evitare. Era infatti un lotta continuista delle truppe di Adriano Sofri.

Sei l’ennesimo Lc finito nei giornali. Com’è che avete infarcito il nostro mondo?

«Che cazzo avremmo dovuto fare? Morire? In Lc c’erano ragazzi svegli che volevano fare la rivoluzione. Poi, capito che la rivoluzione è una stronzata e avendo letto qualche libro, si sono messi a fare i giornalisti. In altri Paesi, sono diventati ministri degli Esteri (allusione a Joschka Fischer, sodale tedesco di Andrea, ndr)».

Siete diventati grandi firme e direttori. Una lobby.

«Tanto potente che il capo della lobby è finito per anni in galera».

In che rapporti sei col pregiudicato Sofri?

«Ottimi. Ci sentiamo raramente. Ma quando ci vediamo, è volentieri. Almeno, per me».

Se, come dite, non è lui il mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, chi è?

«E lo chiedi a me? Sono sempre stato convinto che il delitto è maturato in un ambiente di sinistra. Poi chissà».

La giustizia ha accertato le responsabilità di Sofri.

«Sofri è incolpevole per tabulas. Uno che per tre volte è stato assolto e per quattro condannato, significa solo che le prove non ci sono».

Erri De Luca, uno di voi, promise di dire la verità su Calabresi. Non l’ha mai fatto.

«Non parlo volentieri di De Luca che rimpalla queste reticenze una settimana sì e una no. Sofri ora è libero. Vada dal magistrato e dica finalmente quel che sa. Chiarisca e non rompa più i coglioni». Oltre che scalatore, De Luca è? «Uno scalatore... Uno scrittore apprezzato da alcuni, meno da altri. Un biblista apprezzato da alcuni, meno da altri. Ma smetta comunque di rompere i coglioni».

Com’è che in diversi ex -tu, Liguori, Briglia, Panella, Capuozzo, per restare tra i colleghi- siete confluiti nel berlusconismo?

«Parlo per me. Ero diventato ferocemente nemico degli anticraxiani. A Bettino Craxi ci eravamo avvicinati perché Lotta continua a un certo punto fu finanziata dal Psi». Una faccenda di soldi. «Un’affinità politica. Eravamo con Craxi contro il compromesso storico e per la trattativa su Moro. La questione morale di Berlinguer ci parve ipocrita perché il Pci, mentre predicava, si finanziava con i trenta denari dell’Urss e le tangenti delle coop rosse».

Così, per li rami, da Craxi sei approdato al Cav.

«Al suo tentativo di chiudere la strada al Pci di Achille Occhetto per riformare il Paese in senso liberale».

Sprizzi anticomunismo, ma Lc non era comunista?

«Eravamo estremisti di sinistra. Mai però una costola del Pci, tipo il Manifesto».

Tu e altri ex, siete implacabili con le toghe. Riflesso della ribellione giovanile all’autorità?

«Inizialmente, era una battaglia sacrosanta. Oggi, un errore. È l’ora invece di prendersela con i trombettieri dei magistrati». Ossia? «I giornalisti. Se fossi una toga con decine di cronisti che pendono dalle mie labbra, continuerei e fare quello che mi pare non essendo controllato da nessuno». Dunque? «Invece dei magistrati vanno azzannati i loro turiferari che sulle confidenze dei tribunali hanno costruito carriere, stipendi, pigrizie. E che gridano al bavaglio se si cerca di tutelare il segreto istruttorio perché temono di perdere la sinecura».

Invece di Piercamillo Davigo dovremmo tenere sotto osservazione...

«Le varie Fiorenza Sarzanini (cronista Corsera, ndr). Comunque, un occhio su Davigo è sempre bene mettercelo. Ma sull’occhio che guarda Sarzanini & co è bene applicarci due lenti».

Per i tuoi articoli, hai avuto decine di querele dai magistrati.

«Da tutti quelli della Procura di Palermo e da tutti quelli della Procura di Milano». Anche la condanna al carcere. «Se mi avessero incarcerato davvero, avrei fatto tredici. Ci sarei stato poco, sarei uscito da eroe e avrei raddoppiato le collaborazioni giornalistiche. E con l’aureola, ci sarebbe forse scappata qualche avventura galante alla mia bella età». (Non finisce di dirlo che entra Franca, la moglie, ci guarda entrambi con commiserazione e se ne va).

Marcello Dell’Utri, malato e ultrasettantenne, è in galera per concorso esterno.

«Vergognoso. Il concorso esterno è una subdola invenzione. Come dice il giudice Carnevale: “Non si può mafiare un pezzettino. O si mafia o non si mafia”».

Che c’è all’origine del rapporto malato tra politica-toghe?

«Berlinguer, uomo rovinoso per il Paese, e la cosiddetta questione morale. Ha inchiodato due generazioni di politici a un’ipocrisia. Compito della politica è risolvere problemi e non, necessariamente, avere l’anima candida di papa Francesco». Il politico che più ti è piaciuto? «Craxi, salvo l’inclinazione filopalestinese e terzomondista. Mi dispiace perciò che una parte della sua discendenza abbia preso solo questo suo lato negativo».

Il Cav è sempre l’Amor nostro come lo chiami sul Foglio?

«Sempre, tanto più in questi giorni di ospedale. Lo sarà finché lo crocifiggono per le intercettazioni con le sue ragazze che rappresentano un decimo del serbatoio di Donald Trump, prossimo presidente degli Usa. Diventerà l’Amorissimo se continuano a bersagliarlo».

Matteo Renzi è un pericoloso dittatorello?

«Chi lo dice è in malafede o pazzo. Ha bisogno di un confessore o dell’ambulanza». Sulle Riforme? «Voto sì. E finalmente, la Costituzione più bella del mondo non sarà solo un arredo ma uno strumento efficiente».

Giorgia Meloni vuole intestare una strada di Roma a Giorgio Almirante.

«Per me va bene. A patto che ci vada ad abitare lei».

Tra un imam, un prete e un rabbino con chi parli più volentieri?

«Con l’imam o col prete».
E il rabbino che ti ha fatto?
«Poiché sogno di finire i miei giorni in quella meraviglia di Paese che è Israele, i rabbini ce li avrei sempre tra le palle».

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