lunedì 20 giugno 2016
I normanni in Inghilterra e nel Sud d'Italia: Giuseppe Galasso
I normanni Perché il Sud non è diventato l’Inghilterra
Entrambe le terre furono conquistate dai Normanni Croce pensava che in Gran Bretagna avessero operato meglio. Ma in
realtà erano troppo rozzi per svolgere la stessa funzione
civilizzatrice nel Mezzogiorno d’Italia
di Giuseppe Galasso Corriere La Lettura 19.6.16
Bnedetto Croce consigliò a Giovanni Laterza nel 1927 di far tradurre in
italiano la Storia d’Inghilterra di Albert Frederick Pollard
dell’università di Londra. Egli non conosceva quel libro, ma ne
conosceva l’autore come dotto e serio studioso. E ciò rende ancora più
interessanti le affinità e spesso identità di vedute fra Croce e
Pollard, in specie su qualche punto, come il periodo normanno in
Inghilterra e nel Mezzogiorno.
«Per quasi due secoli — scrive Pollard — dopo la conquista normanna, non
v’è storia del popolo inglese. V’è, in larga misura, una storia
dell’Inghilterra, ma è la storia di un governo straniero». Un inglese
non poteva vantarsi delle glorie di Guglielmo il Conquistatore e dei
suoi successori normanni e angioini, che erano glorie «non più inglesi
di quanto non sia indù il governo attuale (quello coloniale inglese,
allora, ndr ) dell’India». I nomi inglesi erano per un paio di secoli
scomparsi dalla storia d’Inghilterra: «Dalle liste dei sovrani, dei
ministri, dei vescovi, conti e sceriffi», sostituiti «da nomi che
cominciano con “fitz” e sono distinti da un “de”». Perfino «la lingua
inglese rimase sotterrata e divenne parlata incolta di contadini», e
«non vi era interesse per l’anglosassone da parte di un’aristocrazia che
scriveva latino e parlava francese».
Le simpatie di Pollard vanno, invece, tutte al periodo pre-normanno, al
lungo e faticoso processo per cui Juti, Angli e Sassoni, dopo aver
invaso la Britannia romana nel V secolo, avevano costituito una realtà
storica instabile e mal delineata, ma tale da potersi dire, per lui, che
«quanto di grande e di buono v’è in Inghilterra sia d’origine
anglo-sassone».
Non diverso è il giudizio di Croce sul periodo normanno nel Mezzogiorno,
e come Pollard al seguente periodo inglese angioino, così Croce lo
estende al seguente periodo meridionale svevo. «Non sembra lecito — egli
scrive — identificare la storia della monarchia normanno-sveva con la
storia dell’Italia meridionale», poiché «essa fu rappresentata sulla
nostra terra e non generata dalle sue viscere» e «la nostra storia non
può esser quella a cui abbiamo offerto il teatro, ma l’altra, grande o
piccola che fosse, che si svolse nella nostra coscienza e nei nostri
travagli, nelle nostre menti e nei nostri cuori, opera della nostra
volontà». E che «alla politica e civiltà normanno-sveva fece difetto il
carattere indigeno e nazionale», si vede per Croce anche dal fatto che
«i Normanni misero fine alla libertà delle città marinare e delle altre
città, specialmente pugliesi», mentre «i re svevi, per la linea politica
che seguivano e per l’esperienza dell’indomabilità dei comuni
settentrionali, repressero con severissimo rigore ogni accenno di
formazione comunale».
Come Pollard agli Anglo-Sassoni, così Croce riserva tutte le sue
simpatie al Mezzogiorno pre-normanno, di cui parla con commozione e con
grato ricordo dei suoi «nuclei nazionali» presso i Longobardi o ad
Amalfi, a Napoli, nelle città pugliesi: una storia più modesta, ma più
propria, di cui i meridionali possono legittimamente vantarsi, laddove a
torto si gloriano delle imprese di Roberto il Guiscardo o di Ruggero II
d’Altavilla o di Federico II di Svevia, protagonisti, gloriosi bensì,
ma di un’altra storia: la storia delle loro dinastie e delle genti a cui
appartenevano.
La corrispondenza tra le tesi di Pollard e quelle di Croce è, dunque,
evidente. Quanto alla loro accettabilità, l’asserita mancanza di storia
propria di un popolo in qualsiasi periodo non può essere postulata in
principio, e, comunque, non si riscontra nella storia meridionale tra XI
e XIII secolo.
Si trattava, in effetti, di giudizi non nuovi per l’Inghilterra. Per il
giudizio crociano le cose sono più complesse. A prescindere comunque da
analogie e diversità, Croce stesso confrontava comunque direttamente la
storia normanna d’Inghilterra e quella del Mezzogiorno. «È stato
almanaccato — scrive — più volte sul problema del come mai il regno di
Ruggiero e quello di Guglielmo il Conquistatore, fondati da uomini della
stessa razza, ordinati allo stesso modo, tenessero così diverso cammino
e avessero così diversa fortuna, splendida questo e misera l’altro: ma
la ragione è evidente, perché in Inghilterra i baroni adottarono presto
fini generali e difesero interessi di tutta la loro classe e poi di
tutto il popolo e questo chiamarono alleato nell’opera di mantenere
bensì un potere regio, di cui sentivano la necessità, ma di piegarlo e
foggiarlo a uso della nazione». Perciò, nonostante le diversità etniche
«e il contrasto di conquistatori e conquistati, si formò sin da allora
una nazione inglese. Nella monarchia normanno-sveva non accadde lo
stesso: un popolo, una nazione non nacque, non ci fu nemmeno un nome
unico nel quale le varie popolazioni si riconoscessero come subietto:
siciliani, pugliesi, longobardi, napoletani erano tutti nomi parziali;
popolani e borghesi non fecero pesare la loro propria volontà, e i
feudatari solo in maniera individualistica e contraria allo Stato...
Baroni e borghesi rimasero come estranei alla politica dei loro sovrani;
e non furono a fianco di Federico e di Manfredi nella lotta contro i
pontefici, come la Francia fu poi a fianco di Filippo il Bello contro
Bonifacio VIII. Invano tra i baroni meridionali si cercherebbero figure
che avessero qualche tratto della religiosità, dell’austerità, del
sentimento d’onore che si notano in un Simone di Montfort, e che
spiegano la fecondità delle agitazioni e ribellioni da costui guidate, e
ne fanno il martire di una causa nazionale. E dov’è poi, nella agitata e
folgorante storia della monarchia normanno-sveva, qualche traccia di
epica, di quell’epica che accompagna la coscienza del sorgere di un
popolo?».
Sulla coscienza e sull’azione nazionale del baronaggio inglese per
lunghi secoli è difficile che gli inglesi e i loro sovrani di quei
secoli avrebbero potuto concordare col giudizio crociano. Quale motivo
può, peraltro, aver indotto Croce all’accettazione così decisa di una
tesi, sulla quale difficilmente potrebbe convenire anche l’attuale
storiografia inglese, che si è sforzata di uscire del tutto fuori dal
dilemma del carattere nazionale o non nazionale del periodo normanno?
Per l’aspetto della conquista la storia inglese e la storia meridionale
di quel periodo presentano certo notevoli affinità. Così è soprattutto
per il rapporto tra momento militare e della violenza e momento politico
e della mediazione nell’organizzazione dei nuovi domini normanni. Anche
le differenze sono, tuttavia, evidenti. Basti pensare che Guglielmo I
si impadronì dell’Inghilterra con un paio di battaglie campali e con un
paio d’anni di campagne militari distruttive in alcune regioni.
Nell’Italia meridionale e in Sicilia occorsero, invece, decenni di
azioni politiche e militari perché il dominio normanno vi si stabilisse.
Soprattutto, poi, ogni confronto fra i due casi sottostà alla difficoltà
insuperabile delle profonde differenze di struttura storica dei due
Paesi. Da una parte, il Mezzogiorno pluriculturale e pluriconfessionale,
legato alle due aree più fiorenti del mondo medievale, quando l’Europa
ancora appariva barbara e infedele, la bizantina e la musulmana, con un
frazionamento politico per cui vi si distinguevano varie zone politiche
rivali, ma anche in stretto contatto fra loro; tutte partecipi di
commerci di ampio raggio; con una forte presenza di fenomeni cittadini
importanti (e, in qualche caso, Palermo, di grande rilievo). In un tale
paese poco avevano i Normanni da insegnare e molto da apprendere, come,
infatti, avvenne. È stato detto da tempo che la loro «bella monarchia»
assimilò e utilizzò i criteri dell’amministrazione bizantina e
musulmana. Il geografo del re Ruggero era un musulmano, Edrisi. I
mosaici di Monreale e di altri luoghi celebri della Sicilia normanna
sono di scuola bizantina e portano iscrizioni in greco, oltre che in
latino. E si potrebbe proseguire con questa interazione mediterranea di
cui si fa ancora grande merito al nipote di Ruggero II, Federico II.
Dall’altra parte, una Inghilterra anglosassone in condizioni materiali,
culturali e religiose del tutto diverse. Qui erano i Normanni a poter
giocare il ruolo di una aristocrazia colta e raffinata, espressione di
quella grande Francia che dal Mille fino a tutto il secolo XIII fu al
centro della vita, innanzitutto culturale, dell’Europa di allora. Poco o
nulla, rispetto a Sicilia e Mezzogiorno, il precedente mondo
anglo-sassone aveva da offrire ai conquistatori.
Tutto sommato, il punto di maggiore contatto fra le due esperienze
rimane l’introduzione normanna del feudalesimo in entrambi i Paesi (e
non è un caso che ne siano rimasti in entrambi due documenti fra i più
importanti della storia europea di allora, il Catalogus baronum in
Italia e il Domesday Book in Inghilterra, che danno l’impressione di una
maglia feudale più stretta e di un controllo regio più forte in
Inghilterra).
Le differenze, quindi, tra la Normandia inglese e quella italiana
abbondano. La differenza prospettata da Croce — in Inghilterra subito
una nazione anglonormanna, in Italia una dominazione dinastica — è,
tuttavia, davvero discutibile. Ed è da presumere perciò che Croce, il
quale non poteva non esserne in qualche modo consapevole, l’abbia
espressa in modo tanto drastico anche perché così egli avrebbe dato
maggiore evidenza e icasticità al suo giudizio sulla storia
normanno-sveva nel Mezzogiorno d’Italia (senza contare che vi può essere
entrata anche una sua certa visione idealizzata della storia inglese
nel suo complesso).
Croce non affermò, comunque, mai che da quell’inizio non «nazionale»
della monarchia meridionale dipendesse tutta la storia successiva del
Mezzogiorno, come spesso si è affermato e si afferma. Da grande storico
qual era, sapeva che nessuna storia è scritta una volta per sempre, e
che ogni generazione, ogni epoca ha i suoi particolari problemi e le
relative responsabilità.
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