giovedì 16 giugno 2016

Il Bloomsday. Joyce e la matematica

Quando Joyce prendeva ripetizioni di matematica 

Oggi è il Bloomsday, il giorno in cui si svolge l’“Ulisse”, storia costruita su leggi non solo letterarie

PIERGIORGIO ODIFREDDI Corriere 16/6/2016
Dei diciotto capitoli del suo “Ulisse”, Joyce diceva di preferire il penultimo, intitolato “Itaca”, da lui chiamato affettuosamente «il brutto anatroccolo». In una lettera lo descrisse come «un catechismo matematico », in cui «tutti gli elementi si risolvono nei loro equivalenti fisico-cosmici». In un’altra lettera aggiunse che “Itaca” era «una sublimazione matematico-astronomico-fisico-meccanico- geometrico-chimica di Bloom e Stephen». E in una terza lettera concluse che «l’episodio dovrebbe essere letto da chi è fisico, matematico, astronomo e molte altre cose».
Com’è tipico dell’Ulisse, anche in
Itaca l’azione è minimale. I due protagonisti, il ventiduenne Stephen Dedalus e il trentottenne Leopold Bloom, dopo che il primo è incorso in una rissa con un soldato e il secondo l’ha soccorso, arrivano al numero 7 di Eccles Street, dove la giornata di Bloom, quel 16 giugno, era iniziata la mattina e si conclude la notte. I due bevono una tazza di cioccolata, chiacchierano e fanno pipì in giardino. Poi Stephen se ne va, Leopold scambia qualche parola con la moglie Molly e si addormenta vicino a lei.
Come avrebbe detto Thomas Eliot, questo è il modo in cui finisce l’azione dell’Ulisse: non con uno scoppio fragoroso, ma in un respiro assonnato. Nell’ultimo capitolo ci saranno soltanto i pensieri soggettivi di Molly, registrati nel suo famoso “monologo interiore”.
Itaca è invece un dialogo oggettivo. Si compone di 309 domande e risposte. Contiene i cataloghi completi degli argomenti trattati da Stephen e Bloom, dei contenuti dei mobili della casa (scaffali in cucina, biblioteca in salotto e cassettiere in camera da letto), degli eventi della giornata di Bloom, della lista delle sue spese, degli amanti di Molly, eccetera.
Joyce si era coscienziosamente preparato, prima e durante la stesura del capitolo, ingurgitando un gran numero di testi di divulgazione scientifica. In particolare, la Storia dei cieli dell’astronomo Robert Ball (1900), La scienza e l’ipotesi del matematico Henri Poincaré (1902) e l’Introduzione alla filosofia della matematica del logico Bertrand Russell (1919).
Per quanto riguarda Russell, nel febbraio del 1921 Joyce aveva chiesto all’amico Frank Budgen in un lettera: «Trovami su una bancarella, per un penny o al massimo due e un quarto, un qualunque testo di matematica, algebra, trigonometria o geometria euclidea, per quanto stracciato, sporco, imbrattato, sgualcito, macchiato, cancellato, sbiadito, con le orecchie, senza copertina, senza data, anonimo, non riveduto e corretto».
Come e da chi gli sia invece arrivata l’Introduzione alla filosofia matematica non si sa, ma certo è che i taccuini riportano molte annotazioni tratte da una buona parte di quel libro. Ad esempio, questa: «Nei paesi cristiani la relazione marito-moglie è uno a uno, in quelli musulmani uno a molti, in Tibet molti a uno. La relazione padre-figlio è uno a molti, quella figlio-padre molti a uno, ma quella primogenito-padre uno a uno». E l’uso trasfigurato che Joyce ne fa in Itaca è il seguente: «Dall’inesistenza all’esistenza venne a molti e fu come uno ricevuto. Nell’esistenza con l’esistenza era con ciascuno come ciascuno con ciascuno. Dall’esistenza alla non-esistenza andato, sarebbe stato da tutti come nessuno percepito».
Nello stesso spirito, quando Bloom entra nel letto e rileva alcuni indizi del tradimento della moglie, alla domanda sul «perché avrebbe sorriso se avesse sorriso » la risposta è: «Riflettendo che ciascuno che entra immagina di essere il primo a entrare mentre è sempre l’ultimo termine di una serie precedente oltre che il primo termine di una successiva, in cui ciascuno immagina di essere il primo, l’ultimo, l’unico e il solo, mentre non è né il primo né l’ultimo né l’unico né il solo in una serie che si origina in e si ripete all’infinito».
Ma in alcune parti del capitolo la matematica interviene in maniera ben più diretta e sostanziale. Già nel primo scambio la domanda riguarda i «percorsi paralleli di Bloom e Stephen», e la risposta cita Euclide: «Camminando a ritmo rilassato attraversarono diametralmente insieme la rotonda davanti alla chiesa di San Giorgio, essendo la corda in un cerchio sempre più corta dell’arco sotteso». In seguito, quando si salutano di fronte alla porta di casa, i due antieroi «stanno perpendicolarmente di fronte alla stessa porta ma da parti opposte della sua base, e le linee delle loro braccia accomiatantisi si incontrano in un qualche punto e formano un qualche angolo minore della somma di due retti».
Stranamente, Itaca abbonda anche di errori. Alcuni sono semplici sviste, come l’aggiunta in bozze di MXMIV invece di MC-MIV per 1904. O la confusione tra centinaia e migliaia in «il freddo dello spazio interstellare, migliaia di gradi sotto la temperatura di congelamento, ovvero allo zero assoluto di Fahrenheit, Centigradi o Réaumur».
Altri sono errori di comprensione, come quando Joyce riporta le età di Bloom e Stephen in vari anni, tenendo conto delle loro relative date di nascita nel 1866 e 1882, ma deduce scorrettamente che «il rapporto cresce e la differenza diminuisce all’aumentare del numero degli anni futuri», mentre invece il rapporto delle età diminuisce e tende a 1, e la differenza rimane costante e pari a 16.
Infine, alcuni errori sono forse intenzionali e funzionali al tentativo di rappresentare letterariamente la crisi di incertezza dei fondamenti che scuoteva la matematica a cavallo tra Ottocento e Novecento. D’altronde, come Joyce fa dire a Stephen in Scilla e Cariddi a proposito di Shakespeare: «Un uomo di genio non fa errori. I suoi errori sono volontari e sono i portali della scoperta».
Un esempio potrebbe essere l’individuazione di un «rapido ma insicuro mezzo di opulenza» nella «soluzione del secolare problema della quadratura del cerchio, con un premio governativo di un milione di sterline», alla quale Bloom aveva dedicato ben quattro anni. Senza sapere che non poteva esserci nessun premio in palio, visto che il problema era già stato risolto negativamente da Ferdinand Lindemann nel 1882: per combinazione, l’anno stesso della nascita di Joyce e Stephen.
Dopo 309 domande e risposte,
Itaca termina in maniera consona al “catechismo matematico” che si proponeva di essere. L’ultima sua domanda è infatti: «Dove? ». E l’ultima risposta è un semplice punto: cioè, non una frase o una parola del linguaggio, ma un ente geometrico. Oltre che un puro ente semiotico: proprio quello che mancherà completamente nell’ultimo e successivo capitolo, scritto appunto senza “punteggiatura”.
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