lunedì 20 giugno 2016

Il mito delle radici storiche: Maurizio Bettini

Copertina RadiciMaurizio Bettini: Radici. Tradizione, identità, memoria, il Mulino, Bologna, pagg. 132, € 12

Risvolto
«l’appello alle radici porta solo a confondere la memoria privata con quella collettiva e l’antropologia con la nostalgia: e peggio ancora la storia con la politica, quando si grida alla difesa delle “radici” solo per guadagnare voti sfruttando i problemi creati dall’immigrazione»
Nel confondere memoria privata e memoria collettiva, antropologia e nostalgia, storia e politica, ciò che vorremmo è che il nostro mondo rimanesse quello che abbiamo conosciuto. Ci difendiamo dal cambiamento. Per questo si rivendica sempre l’importanza delle nostre radici culturali, mai delle altrui. Nelle «radici» pensiamo di trovare autenticità epurezza, ma le culture sono mutevolie complesse, non musei di sopravvivenze imbalsamate. Una pacata riflessione per metterci in guardia contro i ricorrenti appelli all’identità e alla tradizione in quanto ossessioni strumentali e fuorvianti.
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Cultura e identità come processi storici
Roberto Balzani Domenicale 19 6 2016
Maurizio Bettini torna alle radici. Aveva già proposto, per il Mulino, un’insieme di riflessioni acute (Contro le radici, 2012); ora, con Radici. Tradizione, identità e memoria, sempre per i tipi della casa editrice bolognese raddoppia la casistica, passando da Virgilio e dalla «topografia leggendaria» dei luoghi in Terra Santa alla sua Livorno, con il centro pieno d’immigrati, la cui immagine antica si stempera nella nostalgia; dalle pretese identità alimentari del Paese alle “radici culturali” che – a seconda dei casi – sono evocate per includere o escludere, senza soluzione di continuità. Vedi l’esempio delle famose radici cristiane, ora spese in chiave universalistica e solidaristica, ora brandite da leader politici contemporanei, come l’ungherese Orbàn, per evocare la necessità di arginare una nuova invasione musulmana. Come nel Seicento. 
Le pagine sull’alimentazione, a dimostrazione di una mappa gastronomica in perenne movimento, riassumono in pochi cenni il debito contratto con l’America e con l’Asia, soprattutto dal XVI secolo a questa parte: pomodori, peperoni e peperoncini, melanzane (acquisizione relativamente recente), per non dire del mais e della polenta, di cui Bettini ricostruisce un itinerario incredibile, dall’America centrale al Portogallo, dal Portogallo all’Angola, dall’Angola al Brasile. 
L’idea che informa questo agile e sapido volume, scritto con la consueta maestria, è fondamentalmente una: la distinzione fra lo studio di culture/identità come processi storici, differenziati e comparabili, e l’affermazione di culture/identità come valori centripeti, da usare come oggetti contundenti nello spazio agonistico delle relazioni politiche e sociali. 
Bettini, svelando la fragilità e il corto respiro dei luoghi comuni che si vorrebbero granitici, “eterni” o stabiliti da mitici eventi fondativi, ritorce la classica argomentazione relativista contro chi si erge a strenuo difensore di presunte, inossidabili civiltà. La sua è una vittoria facile: sotto il profilo intellettuale, ben poco resiste alla critica demolitrice degli stereotipi, come ha insegnato fra i primi Walter Lippmann subito dopo la Grande Guerra. 
Peccato però che i selezionatori di culture/identità a fini strumentali coltivino ben scarsi interessi per le medesime culture/identità di cui si proclamano banditori, come dimostrano in genere la superficialità e anche la scarsa erudizione di tante narrazioni ad usum delphini : a loro premono gli effetti, cioè il grado di condizionamento dell’opinione pubblica, qui e ora. Ragion per cui, nonostante le puntuali osservazioni e l’ironia di Maurizio Bettini – le cui pagine potrebbero essere prescritte come un rimedio omeopatico contro l’affievolirsi non già del senso delle radici, ma del buon senso – non è male consegnarsi, guardando al futuro con qualche preoccupazione, ai versi sempreverdi di Eugenio Montale: «La storia non si snoda / come una catena / di anelli ininterrotta. / In ogni caso / molti anelli non tengono». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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