domenica 19 giugno 2016

Il nazismo, la legge del sangue e il nostro sguardo distorto

La legge del sangue
Gli storici non riescono ancora a darsi ragione del consenso di massa verso le brutalità naziste, ma mai - nemmeno per un secondo - si interrogano su come fosse possibile che negli Stati Uniti la gente andasse ai linciaggi come allo spettacolo del circo. Gli storici dovrebbero riflettere anzitutto su se stessi [SGA].

Johann Chapoutot: La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti. traduzione di Valeria Zini, Einaudi, pagg. 472, euro 32

Risvolto
I fondamenti, le forme, i modi di funzionamento del credo nazista come prodotto avvelenato di tutta la cultura e società tedesca. Una cartografia integrale dei saperi e delle credenze che fecero da architrave alla politica dello sterminio.
Sono stati scritti migliaia di libri - riflessioni teologico-religiose, indagini storiche, interrogazioni filosofiche, analisi psicopatologiche - eppure, per molti aspetti, l'enigma del nazismo resiste alla gran parte degli sguardi che su di esso vengono gettati. Possediamo descrizioni minuziose della nefasta impresa di «governo biopolitico» allestita dal nazismo; ma continuiamo a non capire come un'intera società poté essere coinvolta, indotta ad agire, a essere complice o docile testimone dell'orrore. Il libro di Chapoutot tenta di risolvere tale enigma rendendo visibile qualcosa che fino a oggi era stato solo sfiorato, come se si trattasse di qualcosa di secondario e accessorio. Lo fa analizzando la formazione, i fondamenti e i modi di funzionamento del «discorso» nazista. L'autore esamina una messe impressionante di libri, articoli, documenti, anche iconografici e filmici, prodotti nell'arco di circa mezzo secolo in Germania da filosofi, giuristi, medici, antropologi, biologi, storici, etnologi, studiosi delle razze, chimici, e persino botanici o zoologi, cosí come registi o giornalisti. L'analisi dell'insieme della «cultura » nazista mostra come in essa tutto converga verso un focus fondamentale: la «legge del sangue». Un brusio interminabile, durato decenni, che diventa rumore sordo e inquietante, per trasformarsi alla fine nell'urlo agghiacciante e mostruoso che ha accompagnato il graduale insediamento e poi l'entrata a regime del nazismo. Una legge che diceva una sola cosa: occorre ritornare alle leggi fondamentali della natura, prima fra tutte quella del sangue, che prescrive la rigenerazione della razza attraverso politiche d'intervento sulla procreazione, la salute e la conservazione del «sangue tedesco», liberandolo da tutti i possibili agenti di contaminazione, al fine di rendere capace la pura razza ariana di combattere i nemici, di affermare la propria egemonia e di regnare sul mondo. Sulla base di questa ipotesi, Chapoutot dà vita a una sorta di cartografia integrale - la prima mai predisposta - dei discorsi, saperi e credenze che lentamente ma in modo inesorabile resero possibile e dotarono di significato il terrore, i crimini e le pratiche di sterminio che furono l'architrave della politica nazista.                    

È nel sangue l’anima nera del nazismo 
Il sacro mistero delle origini La garanzia perpetua dell’identità La purezza da preservare contro le contaminazioni. Un saggio di Johann Chapoutot sulle basi insieme eugenetiche e giuridiche di un’ideologia di morte

EZIO MAURO Restampa 17 6 2016
Davanti a loro, nel giorno più importante, fiori, foglie e rami di quercia. Poi una torciera che raffigura la runa della vita, con una fiamma su ognuno dei due candelabri. In fondo, la bandiera con la croce uncinata e il busto del Führer. «Dio è qui, con la Germania e gli Avi: siete in balia del popolo eterno», ammonisce un ragazzo della gioventù hitleriana che parla per primo. E subito dopo una fanciulla della Lega delle Giovani Tedesche ricorda: «Può compiere questa unione solo chi è di sangue e anima puri». A questo punto, tenendosi per mano, gli sposi dicono sì e dai due fuochi ne accendono un terzo. Dopo averli dichiarati marito e moglie nel nome del Reich, l’ufficiale di stato civile pronuncia l’atto di fede nell’eternità del sangue germanico: «L’infinita catena dei vostri avi è davanti a voi perché il sangue che scorre nelle vostre vene un tempo apparteneva a loro. E già sentite i figli e i figli dei figli nati dal vostro
sangue che vi parlano per dirvi: siete un anello della catena, sappiate che la dovete trasmettere al pari dell’opera e del sangue». Una pausa e poi: «Tutti voi che siete qui riuniti, ascoltate il sangue che scorre in voi, e tacete».
C’è un vero e proprio verbale di matrimonio nazionalsocialista nel 1942, trovato a Posen da Edouard Conte e Cornelia Essner (ne riferiscono in Culti di sangue, Carocci) che spiega da un lato la paganizzazione dei rituali religiosi e dall’altro l’ossessione del sangue che sta all’origine di tutte le ossessioni naziste, contenendo in sé il mistero sacro delle origini, la garanzia perpetua dell’identità, la promessa perenne dell’eternità e del dominio negli spazi della terra e del tempo. Oltre all’angoscia della dissoluzione e della rovina che insegue il nazismo nel suo continuo muoversi tra la vita e la sua negazione, convinto dell’immortalità simbolica che il sangue assicura al popolo portando la sua sostanza fuori dal tempo, ma anche della fragilità a cui è esposta questa essenza collettiva: minacciata dal peccato della contaminazione che interrompe il ciclo del ritorno alla purezza delle origini, corrompe il popolo nella sua natura profonda e spezza la catena sacra degli antenati condannando gli avi senza più discendenti al buio del nulla nordico.
È un’autonarrazione mitologica e insieme biologica del ritorno alle origini, quando i germani vivevano nelle foreste in comunione con la natura scoprendo il divino che l’attraversa ovunque, nell’infanzia felice di una razza incontaminata che dava vita a un popolo innocente di cittadini- soldati. Qui è sepolto il segreto del sogno di dominio che il nazismo vuole risvegliare come un destino smarrito: una norma vitale ed eterna che detta l’azione, la politica, il costume e la morale e che diventa un imperativo nei secoli, quello di difendere la razza per proiettarla nella perennità. Per fare questo è necessario ritrovare il tempo felice delle origini per legare i vivi ai morti, procreando e combattendo per arrivare infine a regnare.
Non è soltanto follia ideologica. C’è un vero e proprio corpus di studi, di diritto, di scienze, di teorie che legano insieme il terrore e la biologia, l’eugenetica e la criminologia in una costruzione che cerca di dare un fondamento collettivo di senso all’impresa razziale del regime per reggere il peso impossibile del crimine con cui si realizza, scusandolo all’ombra di un dovere che discenda dalla storia. Oggi uno studio di Johann Chapoutot ( La legge del sangue, Einaudi) indaga proprio il meccanismo del «pensare e agire da nazisti» attraverso uno sforzo documentale enorme, con l’analisi di 50 filmati didattici e soprattutto 1200 articoli e discorsi di scienziati, accademici, studiosi che si ingegnano a dare una base scientifica alle teorie biopolitiche del partito.
Nella confusione di un’epoca travagliata, con la catastrofe della Grande Guerra, il tramonto dell’impero, il primo trauma da fine del mondo, l’unico punto certo è il fondamento della razza, cioè il sangue. «Gli Stati scompaiono, le classi mutano, i destini degli uomini si trasformano — dice Hitler — Qualcosa ci resta e ci deve restare: il popolo in sé e per sé, in quanto sostanza di carne e di sangue ». Il flusso biologico infatti non è individuale ma condiviso da una famiglia, dalla stessa comunità, dalla razza, è comune ai viventi, ai morti e ai non ancora nati, preservarlo è un dovere. Ma per recuperare la purezza ritornando all’origine il cammino della razza va ripulito dalle contaminazioni culturali che lo hanno indebolito e fiaccato: il monoteismo giudaico-cristiano prima di tutto, che insegna incredibilmente a porgere l’altra guancia a un popolo abituato a pregare non in ginocchio ma in piedi, con il palmo delle mani rivolto verso il cielo, e caccia il divino dal mondo disprezzando la natura, fino a ridurla ad una valle di lacrime. Poi il diritto romano che ha colonizzato giuridicamente la Germania, quindi i Lumi con il loro universalismo dei di- ritti, e infine la Rivoluzione Francese che predica un’uguaglianza «non compatibile con la vita reale », una libertà malintesa, una fraternità insensata perché «la poiana non avrà mai il suo nido insieme con il pipistrello». Decretato l’inganno dei diritti universali che aprono la strada «alla plebe cosmopolita», la sola realtà capace di meritare «che si viva e si muoia in suo nome» è la razza che serve la vita ubbidendo alle stesse leggi degli animali e delle piante, in una gerarchia nazista del vivente che colloca in alto gli ariani e tutti gli animali da preda, poi le razze miste, quindi gli slavi e i neri e al gradino più basso gli asiatici, con gli ebrei a parte, Unrasse, non razza. La politica che deriva da questa concezione non può che essere biologica perché ubbidisce alle leggi della vita così come il diritto assolve una funzione esclusivamente biologica liberando il popolo dagli incroci razziali per ricondurlo alle purezza. La razza germanica è biologicamente morale nella sua natura, la natura detta la norma e forma la cultura, perché infine è il sangue a imporre i suoi valori, spazzando ogni dubbio. La fedeltà, motto delle SS, è alla radice proprio questo, «fedeltà all’ordine della creazione divina, alle leggi della vita, alla voce del sangue».
Spogliata la vita di ogni metafisica, la religione di qualsiasi spiritualità, resta la nuda ritualità, che Himmler vuole convertire al culto della razza. Così i manuali delle SS codificano le forme dei candelabri rituali e le misure dei dolci per le feste, i simboli runici appaiono sui pugnali, i defunti vanno orientati verso l’eterno Nord, le corone funebri non avranno più fiori insignificanti ma rami di conifere tedesche, l’abete rosso, l’abete verde e il pino d’inverno, le foglie di quercia e di faggio d’estate. L’arcaico e l’antico si legano all’istinto, nel nome della natura primigenia e del sangue eterno, che va protetto per poter essere preservato e rinnovato nella trasmissione.
Nascono così nel 1933 i Tribunali di sanità ereditaria che ordinano la sterilizzazione obbligatoria — anche contro la volontà dell’individuo — di coloro la cui riproduzione non è desiderabile, pronunciando 400 mila sentenze in 12 anni. Il culto del sangue approda all’inumano. Che il ministro dell’Interno, Wilheim Frick, rovescia nel suo contrario: «L’aiuto sociale ai malati, ai deboli e agli inferiori rappresentava il vero crimine verso il popolo, perché portava alla sua fine. Esigere che individui difettosi non possano più generare altri scarti è l’atto più umano dell’umanità». E il giornale delle SS, Das Schwarze Korps, deride il vangelo di Matteo che chiama beati i poveri di spirito: «Nessun uomo ragionevole può sostenere l’esistenza di diritti per gli idioti nell’aldiqua. Nessuno, per contro, contesta loro i diritti che hanno nell’aldilà: il regno dei cieli è loro spalancato».
Separato dall’uomo e dalla coscienza, idolatrato come principio germinale, il sangue pretende sempre di più. Nell’autunno del 1939 Hitler firma l’ordine di far assassinare i malati ereditari, handicappati fisici e mentali. Di fronte alle proteste, il dottor Eugen Stahle, uno dei responsabili del piano, spiega che «là dove regna veramente la volontà di Dio, nel cuore della natura, non si trovano tracce di pietà per il debole e per il malato». E il medico, che tradisce il giuramento di Ippocrate? Basta pensare che il medico «non deve più servire la persona ma la vita eterna — dice Werner Kroll, dell’istituto sanitario governativo — : nel senso di un flusso sanguigno permanente, quel flusso che irriga il corpo del nostro popolo».
Così il corpo singolo non conta più, se non come strumento riproduttore di un corpo mistico collettivo, la salute non è più questione privata, l’individuo scompare ma poiché il destino è nel sangue, la sostanza vitale che lo lega alla razza e al suo divenire gli dà il senso dell’eternità. A questo punto, la biologia entra nella criminologia, ogni dissenso politico viene trattato come un errore biologico, il difetto biologico provoca una colpa giuridica: e viceversa. E biologicamente, attraverso il sangue, si arriva alla responsabilità penale dell’intera famiglia, alla detenzione collettiva. Leggete le antiche saghe nordiche, ammonisce Himmler: «Quando un uomo tradisce il suo sangue è malvagio, anticamente veniva annegato nelle paludi. Doveva essere tolto di mezzo, come noi sradichiamo le ortiche».
Per logica conseguenza, anche il nemico di guerra da ideologico diventa biologico, perché attenta all’eternità della razza e al suo destino di dominatrice. E i trattati internazionali come Versailles violano le leggi della natura — dice nel suo studio Chapoutot — proprio perché la diplomazia costringe la biologia ostacolando l’espansione del popolo più forte, segna una sproporzione intollerabile tra la terra tedesca insufficiente e il sangue germano ricco e creatore. La legislazione sul matrimonio verrà sconvolta, proprio perché il matrimonio è il laboratorio del controllo di Stato sulla trasmissione purificata del sangue. Ci sono esperimenti autorizzati di poligamia, per garantire la riproduzione, sposalizi in presenza di un solo coniuge per preservarla, macabre nozze col morto, favorite dal Führer. Le SS si muoveranno in tutta la Polonia occupata per cercare di «intercettare il sangue tedesco nascosto», con il ratto dei bambini strappati alle loro famiglie per farli “rinascere” in mezzo al loro vero popolo di sangue. Il sangue degli altri, dei popoli occupati, dovrà servire esclusivamente per il lavoro, con una nuova scuola elementare di soli 4 anni «per imparare a contare fino a 500 e a scrivere il proprio nome — promette Himmler — . Quanto alla lettura, non la ritengo indispensabile».
Fin qui porta il sangue, fino al momento in cui si spalanca l’abisso della “soluzione finale” per gli ebrei d’Europa. D’altra parte il nazismo era nato col culto del sangue. La decorazione più prestigiosa del regime era la medaglia all’Ordine del Sangue, il cimelio onorato dal Führer era la Blutfahne, la bandiera di sangue con la svastica del fallito putsch di Monaco nel 1923. Si capisce che Hitler nel marzo del ’45 confidi che «il popolo è perduto», perché la guerra ha sacrificato il sangue “migliore”, lasciando sopravvivere “gli infimi”. La sconfitta è del sangue, per i nazisti «l’unico vero tesoro del nostro popolo, l’unica certezza reale in un mondo dove tutto è finitudine e passaggio».
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