domenica 19 giugno 2016

Islamofobia, Eurabia, sostituzione dei popoli, suicidio dell'Occidente: le nuove frontiere retoriche del liberalismo suprematista di destra nel libro "anticonformista", cioè protoliberale, di Millet


Un protoliberalismo, tuttavia, che è sufficientemente cacasotto e integrato da non chiedere lo sterminio [SGA].

Richard Millet: L’antirazzismo come terrore letterario, Liberilibri

Risvolto
Richard Millet denuncia l'attuale antirazzismo come nuova ideologia internazionale, il cui obiettivo è imporre una visione del mondo che demolisca le identità dei popoli, per sostituirle con una non-identità globale. Sostenuta dai gruppi di potere dominanti, dei quali fa parte anche la sinistra mondiale, questa ideologia agisce, in forme subliminali ma anche con interventi eclatanti, per mezzo di un capillare controllo. Chi tenti di sfuggire a questa dittatura viene immediatamente perseguito dagli adepti del «partito devoto». Vittima eccellente di questo perverso meccanismo, Millet è stato accusato di razzismo: subdola forma intimidatoria, che mira a paralizzare la libertà di espressione. A tale accusa Millet replica che l'antirazzismo è un terrorismo letterario, teso a ridurre al silenzio chiunque osi esprimersi in senso contrario ai paradigmi del politicamente corretto. Così, oggi, diventa una vera forma di persecuzione per imbavagliare i dissidenti, la letteratura e la libertà di pensiero. 

Renato Cristin è professore di Ermeneutica filosofica all'Università di Trieste, è stato direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Berlino e direttore scientifico della Fondazione Liberal. 
Tra le sue pubblicazioni: Apologia dell'ego. Per una fenomenologia dell'identità (2011); Memento Gulag (a cura), (2006); La rinascita dell'Europa. Husserl, la civiltà europea e il destino dell'Occidente (2001); Fenomeno storia. Fenomenologia e storicità in Husserl e Dilthey (1999); Europa al plurale (con S. Fontana), (1997); Heidegger e Leibniz. Il sentiero e la ragione (1990). 

Richard Millet (Viam, Francia, 1953) Ro­manziere e saggista, è uno dei più au­to­­revoli scrit­tori francesi contemporanei. Di lui, Liberilibri ha già pubblicato nel 2014 Lingua fantasma. Elogio letterario di Anders Breivik. Tra le sue numerose opere ricordiamo: Le sentiment de la langue (1986); La gloire des Pythre (1995); L’Accent impur (2001); Dévorations (2006); La confession né­ga­tive (2009); L’Enfer du roman (2010); La fiancée libanaise (2011); Esthétique de l’ari­dité (2012); Arguments d’un désespoir contemporain (2013); Chrétiens jusqu’à la mort (2014); Solitude du témoin (2015); Tuer (2015); Le sommeil des objets (2016). 
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Libero 18 giu 2016 FRANCESCOBORGONOVO RIPRODUZIONE RISERVATA
Sugli scaffali delle librerie italiane, probabilmente ben nascosti, si annidano tre volumi pericolosissimi. No, non si tratta di riedizioni di testi di propaganda nazista: i libri che oggi spaventano gli intellettuali per bene non hanno nemmeno il privilegio di essere accostati al Male Assoluto: sono semplicemente ignorati, o liquidati come paccottiglia populista, in modo che passino inosservati. Ma chi avesse il coraggio di acquistarli e, soprattutto, di leggerli, vi troverebbe dentro verità incendiarie.
Il primo è Il suicidio francese (Damiani) di Eric Zemmour. Ne abbiamo già parlato, raccontando il modo in cui descrive la morte auto-procurata dell’Europa. Il secondo è Un samurai d’Occidente (Settimo Sigillo ) di Dominique Venner. È il testamento spirituale dello storico d’Oltralpe, che nel 2013 scelse di togliersi la vita, abbandonando l’Europa «devirilizzata», la «civiltà multimillenaria» che svilisce se stessa. «L’Europa dei popoli è in sonno», scrive, «schiacciata dal peso della sua dismisura e delle sue divisioni fratricide, senza contare le imprese incessanti per snaturarla».
Invasione migratoria, sottomissione all’islam aggressivo, morte del pensiero critico, sradicamento della tradizione. Eccole, le pesti che affliggono il nostro continente boccheggiante. I tre intellettuali finissimi e coraggiosi di cui parliamo hanno infilato il dito nella piaga individuando le medesime patologie. E dire che questi pensatori provengono da storie e culture diversissime. Il polemista ebreo Zemmour; l’accademico tradizionalista cristiano Venner. Infine l’ultimo, forse il più penetrante: Richard Millet, autore di un volumetto straordinario ora in uscita per Liberilibri: L’antirazzismo come terrore letterario.
Saggista raffinato, Millet è stato l’editor più apprezzato di Parigi. Poi qualcosa è cambiato. Millet ha cominciato a sbriciolare i miti del politicamente corretto. Ha scritto un provocatorio Elogio letterario di Anders Breivik, si è scagliato contro le baggianate sull’integrazione, ha denunciato il declino della letteratura francese (ed europea) che passa attraverso lo smantellamento dalla lingua. Insomma, è diventato un reac: un reazionario, un fascio. Gallimard lo ha “dimissionato”, il bel mondo culturale d’Oltralpe lo ha trattato come un paria, e leggendo il suo libro si capisce perché.
Dovremmo dedicargli una statua. Portarlo in processione per ciò che ha avuto il fegato di scrivere. E per come lo ha fatto: con frasi che sono un inno allo splendore della lingua, un balsamo per l’intelligenza. Ecco perché il suo pamphlet è il più pericoloso fra quelli citati: dice la verità. «Non c’è in Francia più razzismo di quanto ci siano frutti d’oro ai rami degli alberi e l’ideologia antirazzista ha bisogno di inventarlo per giustificare il terrore permanente che esercita su tutti, a partire dagli scrittori, ai quali rimane solo la scelta fra la collaborazione (a cui acconsente la maggioranza, soprattutto gli indignati) e il rifiuto di questo terrore. Opporsi a questa ideologia dominante equivale a indossare un abito di infamia».
Il termine «antirazzismo» va inteso in senso lato: è il fanatismo con cui oggi le famigerate minoranze sono difese anche quando non sono in pericolo, a danno della maggioranza, cioè dei comuni cittadini europei. «In un mondo dai valori interamente rovesciati», prosegue Millet, «e in cui la parola vietata “razza” diventa l’ossessiva metafora della donna, dell’omosessuale, dell’obeso del “giovane”, dell’animale ecc., gli antirazzisti si dedicano, in nome del Diritto, a ciò in cui sono i razzisti più violenti: linciaggio mediatico, condanna giudiziaria, distruzione dell’uomo libero».
Razzista è chi s’oppone all’accoglienza indiscriminata; chi denuncia la sottomissione all’islam; chi critica gli atteggiamenti aggressivi di qualunque minoranza, che sia quella dei gay militanti o delle femministe battagliere o degli attori neri che pretendono la candidatura agli Oscar. «L’antirazzismo contemporaneo non è altro che una manifestazione isterica e al tempo stesso fredda dell’odio degli altri», sentenzia Millet. «Viene dunque dichiarato razzista, oggi, colui che contesta non l’eguaglianza delle razze e delle etnie, ma il Nuovo Ordine politico-razziale dispiegato, nei Paesi europei, dal capitalismo mondializzato, con la collaborazione attiva del complesso mediatico-culturale». L’immigrato diventa «la figura nobile per eccellenza», ma solo se viene «da Paesi extraeuropei, in particolare musulmani».
Se tutte le razze sono uguali, una è più uguale delle altre: quella bianca, «colpevole, esclusivamente, di tutti i mali, e promessa a scomparire (…) nella blanda colorazione del meticciato universale sostenuto dal partito devoto». L’immigrato va venerato, specie se rifiuta di «assimilarsi» (parola meravigliosa, assimilazione, che dovrebbe sostituire ovunque l’ingannevole «integrazione»); l'europeo invece deve estinguersi. Questo è il dogma dell’antirazzismo, questa è la nuova dittatura. Solo pochi ribelli si sono opposti, tra cui Zemmour, Venner e Millet. Diversi, diversissimi. Eroi.

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