lunedì 13 giugno 2016

John Searle e il realismo

“Le cose, non le idee” L’ultima lezione di Searle 
Nel suo nuovo saggio il grande studioso americano svela la centralità della percezione nell’analisi filosofica
MAURIZIO FERRARIS Restampa 13 6 2016
Che i tempi, in filosofia, stiano cambiando, è dimostrato da una circostanza significativa: l’ultimo libro di John Searle è dedicato alla percezione, proprio come il libro a cui Hilary Putnam stava lavorando negli ultimi anni di vita. Sebbene Searle sia nato nel 1932, Vedere le cose come sono (Raffaello Cortina) è un libro giovanissimo che ci porta in pieno Ventunesimo secolo, e insieme una guida a problemi che il Ventesimo secolo aveva dimenticato: come percepiamo, che rapporto c’è tra coscienza e mondo esterno, come è possibile percepire in modo inconscio, e, soprattutto, che cos’è la realtà, che resta il grande problema a cui (come diceva Putnam) non si può rispondere sensatamente se non ci si occupa di percezione. Che è proprio ciò che il secolo scorso ha dimenticato spesso e volentieri. Il Novecento si è occupato di Mente e di Linguaggio, pensando che la percezione non fosse affar suo. In questo assunto, la filosofia ereditava una convinzione più antica, che risaliva a Cartesio, agli empiristi e a Kant: e cioè l’assunto secondo cui noi non abbiamo rapporto con il mondo “là fuori”, ma solo con le nostre idee, o quantomeno con il mondo “per noi”. Si formulava così quello che il filosofo australiano David Stove ha chiamato nel 1991 «il peggior argomento del mondo» (e che Searle ribattezza «Cattivo Argomento»): poiché, ad esempio, se mangio un piatto di ostriche sono io che mangio un piatto di ostriche, allora quelle non sono ostriche “in sé”, ma solo “ostriche per me”.
Messo in questi termini sembra assurdo, ma basterà pensare a quanti filosofi sostengono che «non esistono soggetto e oggetto, esiste solo la relazione tra soggetto e oggetto ». Bene, questi filosofi stanno dicendo che le ostriche non esistono, e in effetti non esistono neanche loro, ma esiste solo un “mangiare l’ostrica”. Buon appetito, ma resta misterioso perché, poco dopo, sarà chiesto proprio a loro, e non — per esempio — all’ostrica, di pagare il conto.
Vedere le cose come sono non significa occuparsi della mente, ma del mondo. È la lezione che Searle aveva potuto ascoltare a Oxford, negli anni Cinquanta, dal suo maestro, John Austin, che in un libro memorabile, Senso e sensibilia (uscito postumo nel 1962) aveva portato l’attenzione sul fatto che la percezione è il nostro tramite non verso delle idee o immagini delle cose, ma con il mondo, quello che viene chiamato “realismo diretto”, e viene considerato ingenuo — quando invece non c’è ingenuità peggiore del credere che noi abbiamo rapporto solo con immagini delle cose.
Perché se così fosse non ci sarebbe differenza tra il sogno e la realtà, ossia, osservava Austin con i suoi soliti esempi bizzarri, tra il sognare di essere ricevuti dal Papa ed essere ricevuti dal Papa. È contro questo antirealismo che ha avuto libero corso nel Novecento che si è levata, in Italia, la lezione di Paolo Bozzi in libri come Fisica ingenua (1990). Una lezione destinata a restare quasi inascoltata, venendo dalla periferia dell’impero. Che oggi un grande della filosofia analitica, un professore di Berkeley riconosciuto in tutto il mondo, possa dire anche lui che il re è nudo, è un elemento che ha un inestimabile peso culturale.
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Il pregiudizio secondo cui non abbiamo un rapporto col mondo “là fuori” risale a Cartesio e poi a Kant

IL LIBRO
Vedere le cose come sono
di John Searle ( Raffaello Cortina pagg. 278 euro 25)

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