mercoledì 15 giugno 2016

La collezione d'arte della famiglia Goodman e il nazismo


Simon Goodman: L’Orologio di Orfeo, Electa 

Risvolto
I nonni di Simon Goodman appartenevano a una delle dinastie di banchieri ebrei-tedeschi più ricche della Germania, e dopo l'avvento di Hitler al potere vennero deportati e uccisi nei campi di sterminio. Simon non seppe mai nulla del destino dei nonni e il padre si rifiutò spesso di raccontare cosa era realmente accaduto. Goodman scoprì casualmente la verità dopo avere messo mano alle carte e ai documenti di famiglia, fu allora che tutto cominciò. Divenuti una delle famiglie più facoltose di Germania, i Gutmanns (poi Goodman) misero insieme una delle collezioni d'arte più ricche d'Europa. Ricchi e forti, furono i primi obiettivi della crudeltà nazista e a partire dal 1919, sistematicamente, tutto gli venne tolto. Mentre il padre cercava in tutti i modi di recuperare i tesori perduti, Simon viveva a Londra, ignaro della terribile vicenda della sua famiglia. Fu la morte del padre a cambiare tutto, entrato in possesso dei diari e dei documenti, Simon scoprì ogni cosa e decise di seguire le orme paterne e mettersi a caccia di ciò che i nazisti gli avevano rubato: le opere si trovavano in mani private e in musei famosi. Il primo dipinto recuperato era un Degas nelle mani di un miliardario di Chicago. La causa messa in piedi da Goodman per tornare in possesso del dipinto fu un momento di svolta nella storia della legislazione americana sul tema, da allora molti altri capolavori sono stati rocambolescamente recuperati: Renoir, Botticelli, Guardi, statue e oggetti rinascimentali, fino ad arrivare a un pezzo unico nel suo genere, un orologio d'oro rubato da Goering, l'orologio di Orfeo. Una vera detective story: per rintracciare e recuperare le opere d'arte Simon Goodman ha spulciato documenti segreti, transazioni bancarie, contratti di vendita stipulati tra ufficiali nazisti e collezionisti conniventi, raccolte fotografiche, registri dei campi di concentramento.
 Un diario per fare ritorno alla luce 

SCAFFALE. L’Orologio di Orfeo di Simon Goodman per Electa 

Valentina Porcheddu Manifesto 15.6.2016, 0:01 
Quando nell’autunno del 1994, a casa di suo fratello Nick a Los Angeles, arrivarono alcuni scatoloni provenienti dalla Germania, Simon Goodman non immaginava che avrebbe scoperto – tra le carte del loro defunto padre – di quelle strabilianti rivelazioni destinate a cambiargli la vita. Eppure in mezzo ad appunti ingialliti, copie carbone di lettere, documenti governativi redatti in diverse lingue e vecchi cataloghi d’arte, si celava un segreto che Bernard Goodman aveva gelosamente custodito nelle pieghe della sua esistenza. Difficile dire se L’Orologio di Orfeo (ElectaStorie, pp. 368, euro 19,90) appartenga al genere del romanzo, o non sia piuttosto un dettagliatissimo diario scritto – a tratti lucidamente, a tratti in preda a un turbine emotivo – da Simon Goodman. Inglese di nascita ma discendente da una famiglia ebrea di nazionalità tedesca – Gutmann era il cognome originario –, l’autore è la voce narrante di una storia plurale che riuscirà caparbiamente a ricomporre senza che il padre gliel’abbia mai voluta raccontare. 
Ma le vicende di cui Simon viene a conoscenza frammento per frammento, non innescano soltanto un viaggio a ritroso. Le radici ritrovate generano infatti un’ardua e dolorosa battaglia giuridica, che ha per scopo la verità al pari del riscatto morale. Lo scenario in cui si muovono i personaggi spazia dalla Germania di fine XIX secolo all’avvento del nazismo, dai campi di concentramento di Theresienstadt e Auschwitz alle sale di prestigiosi musei americani, passando per terre di esilio quali Inghilterra, Olanda e Italia. Il filo conduttore de L’Orologio di Orfeo è una ricca collezione d’arte iniziata da Eugen Gutmann – fondatore della Dresdner Bank – e proseguita dai figli Fritz e Bernard che dal capostipite avevano ereditato agi e amore per la cultura. E se la tragedia dell’Olocausto colpì un intero popolo senza differenze di classe, una sorte funesta toccò anche al patrimonio artistico dei paesi coinvolti. Confiscati con le maniere forti, sottratti impunemente ai legittimi proprietari da mercanti d’arte senza scrupoli, dipinti, statue, arazzi, argenti e raffinate ceramiche alimentarono l’avida smania di Adolf Hitler e Hermann Göring. 
Parzialmente recuperati dai Monuments Men alla fine della Seconda guerra mondiale, alcuni capolavori fecero poi ritorno a casa, non senza ostacoli. A quasi cinquant’anni di distanza, di questa missione si farà carico anche Simon Goodman. Schiacciato ma non vinto dal ricordo dei suoi antenati, con la penna in una mano e una lacrima nel pugno, Simon andrà alla ricerca delle opere di Degas, Renoir e Botticelli, che un tempo allietavano lo sguardo dei suoi nonni nella residenza olandese di Boosbek. Con una scrittura che trabocca di particolari e per questo non sempre agevole, Goodman conduce il lettore attraverso le peripezie della sua vittoriosa impresa, consegnandogli un messaggio prezioso come l’orologio da tavolo appartenuto al suo bisnonno e che più che una discesa agli inferi segna il ritorno alla luce.

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