venerdì 17 giugno 2016

La denazificazione - e la colonizzazione - della Germania in una mostra


A tavola con i cucchiai senza croci uncinate 
Mostre. Al Museo degli Alleati, una rassegna sulla denazificazione del paese a partire dal 1945, tra vita quotidiana, riuso degli oggetti e processi popolari

Rossella Martinelli Manifesto 17.6.2016, 0:05 
All’ingresso del cine-teatro americano Outpost, costruito nel negli anni ’50 nello stile internazionale del primo dopoguerra, si trova ancora oggi il cartello luminoso «non entrare durante l’esecuzione dell’inno nazionale» rivolto ai soldati americani e alle loro famiglie. Siamo infatti a Zehlendorf, il ricco quartiere di villette che fu zona di occupazione Usa sino all’unificazione. Di fronte al cinema era la sede del comando militare; sul largo viale alberato della Clayallee non era difficile veder sfilare ancora negli anni ’80 i carri armati americani non lontano dalla F.U., la «Libera Università» costruita come contraltare all’antica Humboldt di Berlino-Est. Nel ’98 l’Outpost è diventato «Museo degli Alleati». Voluto da Inghilterra, Francia e Stati Uniti insieme con il Bundestag per una sorta di par condicio, forse, con il «Museo Russo-tedesco» allestito tre anni prima nel massiccio edificio di Karlshorst in cui i tedeschi firmarono nel 1945 la resa. 
Oggi la memoria collettiva è dominata dall’immagine di Kennedy che in piena guerra fredda dichiarava al mondo intero «Ich bin ein Berliner», ma la liaison tedesco-americana non è sempre stata tale. Lo evidenzia la mostra Who was a nazi? Denazificazione in Germania dopo il 1945 che esamina, per la prima volta in una sede espositiva, un capitolo meno frequentato della storia tedesca, circoscritto ai tre anni di gestione da parte degli Alleati. 
Già durante guerra, ai soldati americani veniva imposto il «divieto di fraternizzazione» con tedeschi di ogni età, tutti criminali in potenza. Nel film Your job in Germany lo si motiva con la teoria della loro predisposizione genetica alla guerra, incarnata da Bismark fino al culmine hitleriano. Un «autoindottrinamento» tale, per usare le parole dello stesso responsabile Usa della propaganda, da rendere sconvolgente l’impatto con la realtà: «Attraversare la frontiera è uno shock. Anche nella Germania nazista le mucche hanno quattro zampe, l’erba è verde e le bambine con le trecce si raccolgono attorno ai carri armati…». 
Questo è l’inizio del vasto programma di «denazificazione» e «demilitarizzazione» del III Reich concordato da Roosevelt, Churchill e Stalin a Yalta ed esteso poi a Potsdam agli obiettivi di «democratizzazione» e «decentralizzazione». L’eliminazione di simboli e tracce del nazismo dalla vita quotidiana è avviata con successo subito dopo la fine della guerra. Cucchiai, cinture, bandiere riadattate a vestiti per bambini: da tutti viene eliminata la croce uncinata, in un momento in cui la distruzione delle città tedesche e la mancanza di case e cibo impongono il riuso di qualunque oggetto ancora integro. Anche lo spazio pubblico è ridefinito, abbattuti i monumenti hitleriani, rinominate le strade, banditi gli oltre 15mila testi di «letteratura da eliminare». 
Si rivela meno facile la revisione politica di un’intera società penetrata capillarmente dal nazionalsocialismo, di cui gli otto milioni e mezzo di iscritti al partito sono solo la punta d’iceberg. La primissima operazione è l’internamento senza processo – «automatic arrest» – di tutti i funzionari del Nsdap, dei membri delle SS e della Gestapo negli stessi Lager che molti di loro hanno concepito. Parallelamente, parte l’inefficace campagna di «rieducazione» della riluttante società civile con manifesti e film sui Lager, mostrati nei luoghi pubblici o di lavoro. In più di una località accade, come a Nammering in Baviera, che a ex ufficiali SS venga ordinato di disseppellire dalla fossa comune le salme degli 800 prigionieri morti nel trasporto per Dachau, e agli abitanti del paese a dare loro sepoltura nel cimitero. E mentre i riflettori internazionali sono puntati sul Processo di Norimberga, nei quattro settori si passa ad accertare le responsabilità legali dell’«uomo comune». 
Il passaggio a questa seconda fase si basa sull’esperienza italiana dopo lo sbarco alleato in Sicilia del ’43 – e questa è una delle novità della mostra. Lì il maggiore Usa Aldo Raffa, politologo all’University of Georgetown, aveva stilato un questionario per accertare i gradi di appartenenza al partito fascista. Trasferito poi a Francoforte come membro dello Shaef di Eisenhower, Raffa riceve l’incarico di redigere una scheda analoga, che estesa a 131 domande diventa tormentone e simbolo di questi anni. 
Secondo una direttiva del ’46, i dati così raccolti devono servire a inquadrare gli esaminati in 5 categorie: Rei principali (già internati automaticamente), Colpevoli (attivisti, militaristi e beneficiari) da licenziare, Meno compromessi, di cui si «consiglia» il licenziamento, Simpatizzanti, autorizzati a mantenere il posto di lavoro ed Esonerati (persone dei gruppi precedenti riconosciute poi innocenti dal tribunale popolare). Il procedimento mira a omologare una prassi attiva già da mesi nei quattro settori ma con esiti disomogenei: più pragmatica presso inglesi e francesi, rigida e moralizzatrice tra gli americani, veloce presso i russi. Eppure, di lì a pochissimo il Comando alleato passa il testimone ai tribunali popolari tedeschi e lo scenario cambia ulteriormente. 
Introducendo la possibilità per gli accusati di presentare a discolpa testimonianze di amici, vicini, preti, si innescano meccanismi di corruzione e caccia al «Persilschein», «certificato sbiancato col detersivo». Interessantissmi i percorsi giudiziari di gente comune ricostruiti all’Outpost. Mentre a Norimberga si chiamano in causa «ordini superiori», questi uomini e donne iscritti al Nsdap si dicono invece spinti solo da «inesperienza politica», «paura», «costrizione», mai da convinzioni personali. La maggioranza dei procedimenti si viene a chiudere man mano con il neutro responso di «Simpatizzante». 
Cosa è accaduto? Per Usa, Inghilterra e Francia, il primario slancio di rinnovamento si allenta di fronte allo svuotamento delle campagne e alla mancanza di personale qualificato in aziende e ministeri, tribunali, scuole, aggravati dai licenziamenti della «denazificazione». In qualche caso plateale, saranno gli stessi americani e russi a richiedere la prestazione di ex-nazisti specializzati in armi speciali. Con il precipitare degli eventi, infine – il blocco di Berlino, la guerra fredda – alle potenze occidentali si impongono altre priorità. 
Intanto, nasce la Repubblica Federale Tedesca e il suo parlamento legifera nel ‘51 la chiusura definitiva della denazificazione. Come Gorge Grosz aveva rappresentato meglio di ogni altro la Germania Guglielmina, spetta all’incisore Max Radler nel ’46 fornire sul giornale Simplizissimus la sintesi visiva migliore di quegli anni. Accanto all’immagine di un congegno che inghiotte caproni ed espelle pecore sotto l’egida degli Alleati, del governatore bavarese e della Chiesa cattolica, Radler scrive: «Montoni neri della casa bruna / sarete riabilitati senza pena / come candidi agnelli riemergerete / Già sappiamo: implicati non siete! / (i colpevoli sono sempre gli altri)».

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