domenica 19 giugno 2016

La legge sulla Verità Storica di Stato


L’alibi di un decreto legge per non fare nulla 

Negazionismo/intervento. La battaglia contro la rimozione della Shoah non può fermare la ricerca storica

Gabriele Proglio Manifesto 18.6.2016, 18:44 
Da pochi giorni il negazionismo è reato. La condanna, prevista nella modifica della legge Mancino, può arrivare fino a sei anni di reclusione. Le camere hanno ignorato l’accademia: non è stata data alcuna importanza alle opinioni di numerosi docenti, quasi tutti concordi sull’inutilità e sulla pericolosità del ddl. Anzi, la discussione parlamentare è stata l’occasione per mostrare i muscoli intorno a un termine. «Pubblicamente» è stato infatti sostituito con la frase «se la propaganda, ovvero l’istigazione e l’incitamento commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra». 
Carlo Ginzburg aveva già avvertito delle pericolosità del ddl: per principio, ossia perché è inammissibile imporre per legge un limite alla ricerca, a prescindere dal contenuto; e per opportunità, ovvero perché i negazionisti sono in cerca di un «martirio» a buon mercato, trasformando i tribunali in casse di risonanza per le loro tesi infami. Anche Marcello Flores, sulla rivista del Mulino, ha ribadito quanto sia sbagliata e controproducente una soluzione penale a un problema culturale ed educativo. 
Aggiungo alcune altre questioni,: chi deciderà come impiegare questa norma? Quale sarà il significato attribuito al termine «genocidio»? Il lemma nasce dall’incontro di ghénos, che in greco sta per stirpe, e caedo, dal latino «uccidere». Come sarà impiegato fuori dalle radici europee e oltre i confini del Vecchio Continente? E soprattutto, come verrà utilizzata la legge? Le possibilità sono due: l’oblio o i processi. In entrambe gli effetti saranno devastanti. Nel primo caso la legge sarà l’alibi per il disinteresse della classe dirigente per non aver realizzato politiche culturali. I silenzi saranno riempiti da nuove forme di razzismo. La politica dirà: «noi abbiamo fatto la legge»; risponderà il popolo: «noi non siamo razzisti, ma». Nel secondo caso, i processi porteranno i negazionisti in tribunale, imponendo sulla storia la verità di Stato. 
A pochi giorni dall’approvazione del ddl, il «Giornale» ha rieditato il Mein Kampf, regalandolo ai suoi lettori. Angelo d’Orsi ha parlato di «banalizzazione del male», proprio su queste colonne, mentre Manuela Consonni ha rilevato l’attacco alla memoria della Shoah. Aggiungo che Sallusti, nel suo editoriale, usa l’immaginario della Shoah, e non parla invece di fatti storici, per affrancare la destra dall’essere – come scrive – «il male che ritorna». Implicito è il riferimento alle posizioni sull’immigrazione. Come dire: non siamo gli eredi del male europeo per antonomasia, perché lo condanniamo; ma proprio per questo, siamo «legittimati» ad assumere posizioni sempre più intolleranti, rimanendo nel solco della democrazia. In mezzo a una retorica pomposa, però, Sallusti afferma una mezza verità. Scrive: «non si gioca su una simile tragedia». Infatti quella del «Giornale» è, prima di tutto, un’operazione commerciale, e, come tale, è un affare serissimo: l’occasione sensazionalista è costruita scientemente per fare cassa. 
L’approvazione del ddl è solo la punta dell’iceberg. Il paese, infatti, da anni ha seri problemi con le politiche della memoria. Non parliamo della Resistenza, serbatoio mitologico per numerose forze politiche, ma anche alibi, per molti, per affrancarsi dalle responsabilità del passato fascista; non parliamo della contrapposizione tra giorno della memoria e del ricordo; né nelle velleità di fare, a Predappio, un museo del Fascismo efficacemente disattivate dagli interventi di numerosi storici (Lupo, Levis Sullam, Schwarz e Foa). Trattare questi argomenti esigerebbe spazio e tempo. Diciamo, invece, di come si torni alla Shoah, non come fatto storico ma come mito, per leggere il presente: chi paragonando l’ebreo al migrante che solca il Mediterraneo, creando cortocircuiti di memoria su eventi profondamenti diversi; chi, come Sallusti, per assumere posizioni sempre più razziste e xenofobe. Le politiche della memoria dovrebbero evitare la commemorazione, l’istituzionalizzazione dell’evento storico; dovrebbero divulgare e rendere accessibile a tutti, non solo agli studenti, quel passato. Un giorno, poi, bisognerà anche decostruire le eventuali rimozioni, i silenzi e le amnesie. Ma c’è anche un’altra Italia: di storici, di ieri e di oggi, che indagano le tante sfaccettature del passato; dei treni della memoria; di docenti che coinvolgono gli studenti in progetti educativi. 
L’angelo di Walter Benjamin è, oggi, uno zombi. Rovista tra le macerie, alle periferie di un mondo in cui l’apocalisse si manifesta quotidianamente, da Montecitorio a Lampedusa. Cerca tracce del passato, frammenti di vita: come un rabdomante scandaglia il suolo. Il bottino della giornata lo venderà al mercato della cultura. Il vento che un tempo spirando creava la storia è appaltato al miglior offerente. È la metafora di un paese in cui le politiche della memoria sono in balìa di feudi, di impulsi schizofrenici, di speculazioni ideologiche e di mercato.

Nessun commento: