sabato 4 giugno 2016

La Vita di Antonio di Atanasio di Alessandria

Copertina di 'Vita di Antonio'
Atanasio di Alessandria: Vita di Antonio, Città Nuova, pp. 147, € 19

Risvolto

Un classico della letteratura patristica sulla vita monastica.La biografia di S. Antonio - monaco nativo di Alessandria d'Egitto, vissuto tra il III e il IV secolo - è il best-seller della letteratura cristiana; è infatti una lunga lettera scritta (IV sec.) in greco dal vescovo Atanasio ai monaci d'Occidente al fine di indicare loro nella figura di Antonio Abate l'ideale monastico puro. La Vita, qui presentata nella prima vera traduzione italiana, è interessante per l'attualità del messaggio, mentre l'introduzione evidenzia l'importanza della trasmissione e della diffusione di idee anche in ambiti apparentemente molto lontani fra loro (ascetismo cristiano e yoga). Note di commento, ricchissime e puntuali, sotto vari aspetti - filologico, storico, esegetico e storico-religioso -accrescono il valore di questo volume.                   
SANT’ANTONIO L’ASCETA SEMPRE NUOVO

La Vita scritta da Atanasio
Corriere della Sera  4 giu 2016 Di Giorgio Montefoschi
La Vita di Antonio, redatta in greco nel IV secolo d.C. dal vescovo di Alessandria, Atanasio — presente in decine e decine di codici, tradotta subito nelle lingue orientali (come il copto, l’etiopico, il siriano, l’assiro, il georgiano) e più tardi in latino — ebbe, nella storia della letteratura cristiana, un immenso successo. Raccontava, per la prima volta, la storia di un monaco: di un uomo che, nato nel 251 d.C. in Egitto da una famiglia copta benestante, molto presto, seguendo l’esortazione di Gesù contenuta nel Vangelo di Matteo, aveva donato tutti i suoi beni ai poveri (sessanta ettari di un terreno fertile) e s’era ritirato lontano dal mondo, a praticare in solitudine l’ascesi e la preghiera. Dapprima, in un luogo ancora non molto lontano dalla città; quindi, per oltre quindici anni, in una tomba scavata in una roccia abbastanza vicina al Nilo; infine, nel deserto del mar Rosso, da dove poteva contemplare la montagna di Mosè.
Il racconto di questa solitudine — che oggi possiamo rileggere in una nuova traduzione dal testo greco a cura di Davide Baldi: Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio (Città Nuova, pp. 147, € 19) — è ancora di straordinaria attualità. Se, infatti, gli «episodi biografici» contenuti nella Vita sono, dal punto di vista narrativo, esigui come possono essere esigui gli episodi di un uomo che si consegna al nulla (sappiamo che Antonio aveva una veste fatta di pelle di pecora e null’altro; che digiunava o mangiava una volta sola al giorno e non si lavava mai; che ostruiva l’ingresso della sua cella con una pietra per non essere distolto dalla meditazione, ma che attorno a lui venivano a stare altri eremiti, e questo era l’inizio del monachesimo orientale; che guariva e faceva miracoli; e che due volte interruppe il suo romitaggio per recarsi ad Alessandria, una volta a sostenere i martiri della persecuzione dell’imperatore romano Massimino Daia, un’altra a combattere l’eresia ariana), le istruzioni spirituali che si traggono dalla lettura sorpassano di gran lunga il «dettato storico», pure così importante, sorpassano la suggestione e lo stupore, e pongono domande che non hanno tempo.
La prima, riguarda proprio il deserto (nel quale, come sappiamo, per quaranta giorni si ritirò anche Gesù); la seconda, riguarda le tentazioni. Cos’è il deserto? È il luogo che siamo abituati a considerare in termini estetici quale dimora pacificante della purezza e della assenza delle cure quotidiane, della bellezza immacolata e dell’oblio, o non è piuttosto il luogo della più profonda disperazione (essendo, quello della solitudine e della mancanza di ogni comunicazione, il gradino che precede la morte) e, insieme, il luogo più arduo della prova di noi stessi? E demoni che volevano mettere alla prova Antonio, assumevano le forme più spaventose e più seducenti per distoglierlo dal suo cammino, nella realtà cosa e chi sono? E, se è vero che il loro apparire è sempre ingannevole, perché a volte prendono i sembianti della luce e del Bene, fingono di essere amichevoli o giusti, e addirittura cantano i Salmi o «citano passi delle Scritture», come è possibile non farsi raggirare dalla loro falsità?

Centrali, a questo proposito, i tre discorsi dottrinali inseriti da Atanasio nel racconto: tre vere e proprie omelie. «In effetti — sostiene Antonio, e con lui il vescovo di Alessandria, in una riflessione che certamente ha letto e fatto sua Ignazio di Loyola, quando negli Esercizi parla del discernimento degli spiriti — è facile e possibile riconoscere la presenza dei buoni e dei cattivi se Dio lo concede». L’incursione degli spiriti malvagi è unita a turbolenza, rumore, grida: ci lascia scoraggiati, scontenti di qualcosa che non sappiamo, tristi. La presenza degli spiriti buoni, invece, non è connaturata da alcun turbamento: è una apparizione che avviene con serenità, con gioia, ci lascia pacificati, contenti, catturati da una segreta esultanza. I demoni sono vili. Se ci vedono scoraggiati e paurosi, ci attaccano; se ci vedono sereni e quieti, scappano. Dunque — ammonisce Antonio — non c’è altro da fare che perseverare, pregare, stare in Cristo, chiedere il suo aiuto, non pensare al passato, e vivere ogni giorno, fino all’ultimo, come se quello fosse l’inizio.

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