venerdì 10 giugno 2016

Regalata alle destre la questione nazionale genera xenofobia e guerra razziale tra i poveri. Questa è la chiave del successo del populismo di destra


Il boom della rivista della destra francese
Il settimanale «Valeurs actuelles» fa il pieno in edicola in nome dei valori occidentali e del no all’immigrazione senza regole. Ma viene processato e multato per islamofobia e razzismo
Libero 10 giu 2016 FRANCESCO BORGONOVO
Essere di destra paga, anche se c’è chi lo considera un crimine. Lo dimostra la vicenda di Yves de Kerdrel, giornalista francese con un passato a Les Echos e Le Figaro, ora alla direzione del settimanale Valeurs Actuelles. Questo signore ha fatto dei temi «identitari» un marchio di fabbrica, e ne ha ricavato uno strepitoso successo in edicola. Allo stesso tempo, ha ottenuto anche un bel po’ di grane con la giustizia, che mostra di non gradire i titoli e le copertine del suo giornale. Ieri Italia Oggi ha ricostruito la storia di Valeurs Actuelles, raccontando il modo in cui la rivista si è prepotentemente imposta sulla scena negli ultimi due anni, arrivando a raddoppiare le copie (120 mila di media) e perfino a superare nelle vendite l’Obs, cioè il settimanale della sinistra transalpina.
Tutto merito di una linea editoriale coraggiosa. Nata nel 1966 come organo d’informazione economica, la testata è passata dall’occuparsi di «valori» di Borsa all’affrontare di petto i «valori» nazionali. In primo piano, dunque, Yves de Kerdrel e i suoi cronisti mettono la difesa dell’identità francese. Ecco i megafoni di Marine Le Pen, dirà qualcuno. Tutt’altro. Valeurs Actuelles (che è decisamente liberista) non apprezza affatto il Front National, perché ritiene che porti avanti politiche economiche di «estrema sinistra». Nonostante ciò, la rivista si oppone all’immigrazione sregolata e ne denuncia i rischi per la sicurezza. «L’Europa è morta nel giorno in cui Angela Merkel ha annunciato di voler spalancare le porte ai migranti», dice il direttore del settimanale francese. Che con costanza combatte l’islamizzazione del Vecchio Continente; demolisce gli stereotipi sul terrorismo islamico «figlio della povertà»; parteggia per la Russia di Putin e si proclama tradizionalista. Ma, soprattutto, fa strame del «politicamente corretto» e del buonismo. E, di conseguenza, fa ardere lo stomaco alla sinistra raffinata e «antirazzista». Leggere per credere titoli come: «La dittatura degli antirazzisti» o «Rom, l’overdose».
Tutto questo, ovviamente, ha un prezzo. Le copertine che Yves de Kerdrel ha sfornato negli ultimi due anni lo hanno reso un ospite ricorrente delle aule di tribunale. Dove, di fatto, viene processato - come già accaduto in Francia a Oriana Fallaci, Michel Houellebecq ed Eric Zemmour - per le sue opinioni. Del resto, Oltralpe come da noi, la libertà di espressione non vale per tutti allo stesso modo ( Libero ne sa qualcosa...). Chi scrive, assieme a Mauro Zanon, ha avuto modo nei mesi scorsi di intervistare Yves de Kerdrel e di farsi spiegare le ragioni per cui i suoi titoli gli procurano rogne non indifferenti.
«Nelle ultime quattro settimane, è la quarta condanna che Valeurs Actuelles subisce», ci raccontò il direttore a dicembre. «Prima condanna, il 6 novembre scorso. La ministra della Cultura, Fleur Pellerin, ha emesso un decreto per sbloccare nuove sovvenzioni ai giornali con scarsi introiti pubblicitari, ma ha fatto in modo che Valeurs Actuelles ne fosse escluso. Ho attaccato questo decreto davanti alla Commissione europea e al Consiglio di Stato e attendo una risposta. Sfornare un decreto che esclude Valeurs Actuelles dalle sovvenzioni è una forma di condanna dinanzi all’opinione pubblica». Insomma, quello di cui ci parlò il giornalista era una sorta di marchio d’infamia posto dal governo di sinistra sul giornale sgradito. Ma, dicevamo, non sono mancate nemmeno le punizioni inflitte dai giudici.
De Kerdrel, ormai tre anni fa, è stato condannato a pagare 2.000 euro per incitamento «alla discriminazione contro i musulmani». Motivo? La copertina in cui campeggiava una Marianne coperta da un velo islamico integrale con il titolo L’invasione nascosta. «Io sono pronto a rifare la stessa identica copertina, perché i pericoli li abbiamo visti il 13 novembre scorso», spiegò a Libero il giornalista francese, riferendosi alle stragi islamiche di Parigi. L’opinione di de Kerdrel sulla cosiddetta «islamofobia», del resto, è molto chiara: «È stata inventata per tappare la bocca a tutti coloro che parlano dell’islam in maniera critica. Alain Finkielkraut, che oltre a essere un grande filosofo e pensatore, è una persona inattaccabile, ha pubblicato l’anno scorso un saggio, L’identità infelice, che gli è valso l'accusa di “islamofobia”. E questo solo perché ha scritto che l’islam ha preso troppo spazio nella società francese».
Poi c’è la questione rom. Un’altra condanna subìta dalla rivista e dal suo direttore «è legata alla copertina sui rom apparsa nel 2013. Il tribunale ha deciso di condannarmi a 2.000 euro di ammenda, quando ho semplicemente titolato: “Rom, l’overdose”, basandomi un sondaggio condotto dall’Istituto Harris Attractive che mostrava come il 72% dei francesi si opponesse ai campi rom irregolari». Sia la sentenza per discriminazione verso i musulmani sia quella riguardante i rom, secondo de Kerdrel sono «due condanne politiche emesse da una giustizia politicizzata».
Ma, appunto, Valeurs Actuelles non fa passi indietro. Avanza sul sentiero dell’identità, forte delle sue posizioni di destra robusta e anticonformista. I lettori apprezzano, le élite politiche e culturali un po’ meno. La dittatura del politicamente corretto non è facile da abbattere.

la crisi dei migranti è il banco di prova dell’identità europea
di Mauro Magatti Corriere 13.6.16
Le ultime rilevazioni dicono che l’attrazione verso la Ue è in forte calo nelle opinioni pubbliche del Vecchio Continente. E come potrebbe essere diversamente? Se si guarda l’Europa dal di fuori, ci potrà forse risultare più chiaro che il nostro mito politico ruota attorno a un’idea: il principio della dignità umana come base possibile, insieme, dell’ordine democratico e dello sviluppo economico. Qualcosa che ci distingue tanto dagli Stati Uniti (dove prevale il mito della nuova frontiera e del self-made man ) quanto della Cina (che vive del mito dell’armonia).
Non si tratta solo di un principio astratto. Se si prende una cartina geografica, si può constatare che solo nel Vecchio Continente esiste un sistema universalistico di protezione sociale chiamato welfare . Al di là di tutte le sue inefficienze e insufficienze, è questo il tratto che più ci contraddistingue e di cui dovremmo essere più gelosi e orgogliosi. Non è dunque per caso che la questione dei migranti sia oggi il punto di tensione più forte che sta attraversando l’Europa. Da una parte, c’è il richiamo a questo nostro principio, messo alla prova in modo drammatico. Dall’altro ci sono comprensibili e legittime preoccupazioni, accentuate dalla mancanza di una chiara linea d’azione comune.
I nostri sistemi politici sono profondamente scossi da questa sfida, che coinvolge dimensioni economiche, politiche, culturali. Al punto che siamo arrivati a costruire muri! E persino nella civile Inghilterra, la gestione dell’immigrazione è uno dei temi caldi della dibattito sulla Brexit. Si può arrivare a dire che proprio la questione storica del migranti sarà il terreno su cui vivrà — dandogli misura, sostenibilità e sensatezza istituzionale — o morirà il progetto politico che sta alla base della Ue. Ma cosa significa questo? Almeno tre cose.
Primo: senza la capacità di tradurre in una forma istituzionale concreta il principio della dignità umana l’Europa non c’è più. Semplicemente perché viene meno la ragione dello stare insieme. Non c’è dubbio che il mutuo vantaggio economico sia un argomento forte. Ma nella storia non si è mai vista una forma politica nascere senza la condivisione di un mito comune.
Secondo: nel momento in cui assume forma istituzionale, il principio della dignità della persona deve fare i conti con la complessità del reale. La riflessione sul welfare — e la sua concreta costruzione istituzionale — è stata storicamente vittoriosa perché ha saputo mostrare che la mediazione tra le esigenze della crescita e la cura delle persone non solo è possibile ma è addirittura vantaggiosa. Oggi sappiamo quanto il welfare sia minacciato dalla crescente pressione della globalizzazione, oltre che per il progressivo invecchiamento della popolazione e la crescita della domanda sanitaria. Tanto che ci poniamo domande sulla sua sostenibilità. Ed è proprio da questa angolatura che la questione dei migranti va ripensata.
Intanto, tenendo conto che le curve demografiche europee sono allarmanti. Il previsto calo della popolazione e il suo invecchiamento nei prossimi decenni saranno il fattore di rischio più importante per la nostra prosperità. Il recupero — da avviare in modo urgentissimo — di un equilibrio migliore passa, almeno in parte, da una corretta gestione del fenomeno migratorio. E poi considerando che il lungo e difficile processo di integrazione dei migranti — un lavoro vero e proprio che richiederà anni — può essere un modo per generare occupazione. Che è qualcosa di cui in Europa abbiamo molto bisogno. Negli anni 30, per spiegare il senso del New Deal , Keynes sosteneva che l’uscita dalla crisi passava dal ruolo anticiclico della spesa pubblica: arrivando a dire che, se necessario, si dovevano scavare buche per poi ricoprirle. Ovviamente ciò richiede risorse. Ma come è evidente in questi anni di politiche monetarie convenzionali, le risorse finanziarie possono essere anche create ex nihilo . Laddove esiste una volontà politica per farlo e sostenerlo.
In terzo luogo, una politica di apertura e accoglienza non può essere senza misura. Deve rispettare la sostenibilità. Che più che economica è qui di ordine sociale e cultuale: l’innesto di persone provenienti da altri mondi è sempre un’operazione delicata e che può facilmente provocare una crisi di rigetto quando non è chiaro il patto di cittadinanza (fatto di diritti e doveri) che si propone ai nuovi arrivati. Negli anni scorsi si è parlato tanto di identità europea. Spesso solo retoricamente. Ma l’identità si costruisce — culturalmente e istituzionalmente — solo in rapporto all’esperienza, alla vita.
Per questo la crisi migratoria — che l’Onu avverte è destinata a durare molti anni essendo una conseguenza di medio termine del grande salto storico rappresentato dalla «globalizzazione» — costituisce per l’Europa il terreno di gioco su cui si forgerà la sua identità futura. A partire dalla capacità di fare del principio della dignità della persona umana la base di nuovi assetti istituzionali. Ma anche dell’identità che vogliamo dare all’Europa. Dalla storia che vogliamo scrivere. Quella dei migranti è cioè il principale banco di prova per dire cosa è l’Europa e quale tipo di società politica vuole essere. Sempre ammesso che una tale aspirazione stia nella testa e nel cuore degli europei . 

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