giovedì 9 giugno 2016

Sergio Romano a Leningrado




San Pietroburgo Viaggio nella città dai molti passati, immagine di una Russia imperiale che oggi prova a ritrovare la sua ragion d’essere
di Sergio Romano Corriere 8.6.16
Il 27 maggio, San Pietroburgo (Piter per gli amici) ha celebrato il suo 313° compleanno. Insieme ad altri artisti del Teatro Marinskij e del Bolshoi di Mosca, Anna Netrebko ha cantato arie di Bizet, Leoncavallo, Puccini, Strauss e Verdi su un palcoscenico innalzato di fronte all’Ermitage. La piazza era piena, gli applausi scroscianti. Dopo il concerto la folla ha invaso gli Irish Pub del centro della città (una catena di bar-ristoranti molto popolare) e i ristoranti italiani (molto numerosi e altrettanto popolari) per festeggiare una notte che sarebbe stata bianca sino alle ultime ore del giorno. Gli unici riferimenti alle origini della città erano i costumi settecenteschi indossati da pochi ragazzi.
Questo era il Natale di Pietroburgo, ma sul monumento equestre a Pietro il Grande voluto dalla Grande Caterina e scolpito da Etienne Maurice Falconnet (il «cavaliere di bronzo» come fu definito da Aleksander Pushkin in un famoso poema del 1833) non ho visto né una corona d’alloro, né un semplice fiore. Eppure la città fu concepita dallo zar Pietro Romanov quando, dopo un lungo viaggio in alcuni Paesi europei, volle una capitale che si affacciasse sull’Europa. Un visitatore italiano giunto in Russia quando la città aveva poco più di trent’anni, Francesco Algarotti, ne colse subito la funzione e disse che era un «finestrone» sull’Europa. Qualche decennio dopo, Pushkin usò la stessa metafora. Da allora Pietroburgo ha svolto egregiamente questa funzione. Di qui sono passati i gusti dell’Europa, i suoi stili architettonici, le sue mode artistiche e, soprattutto i suoi grandi progetti ideali o materiali, da quelli per la creazione di una grande industria nazionale a quelli per la riforma radicale della politica e delle istituzioni. Mentre Mosca, insieme a Kiev, è il cuore della spiritualità russa, Pietroburgo è il palcoscenico dove vanno in scena tutte le rivoluzioni di questo grande Paese.
La prima fu quella dei Decabristi, i nobili e i militari che nel dicembre 1825 cercarono di introdurre in Russia, con un colpo di Stato, le istituzioni liberali scoperte e ammirate in Europa occidentale durante le guerre napoleoniche. La seconda fu quella democratica del 1905, durante la guerra con il Giappone. La terza fu quella democratica e repubblicana del marzo 1917. La quarta fu quella bolscevica dell’ottobre-novembre 1917. Forse nessuna di queste rivoluzioni avrebbe avuto luogo se la capitale fosse rimasta a Mosca. Quando Lenin, nel marzo del 1918 decise di abbandonare Pietrogrado (il nuovo nome della città dopo l’inizio della Grande guerra) per insediarsi a Mosca, non era estraneo alla sua decisione, probabilmente, il timore che la città di Pietro fosse meno governabile della vecchia capitale del Granducato di Moscovia.
Ma la grande storia russa è qui, a Pietroburgo. Quando scende dall’aereo nell’aeroporto di Pulkovo, il visitatore scopre che la città ha due nomi. Nella prima scritta che campeggia sull’edificio del terminale il nome è San Pietroburgo; ma in una seconda scritta, a fianco della prima, è «città degli eroi Leningrado». Quando entra in città il primo monumento che lo accoglie in Piazza della Vittoria è quello ai difensori di Leningrado: un gruppo bronzeo di combattenti che festeggiano nello stile del realismo socialista il trionfo della loro lunga resistenza all’assedio tedesco. Quando si muove attraverso la città, scopre che Lenin è il nome di una prospettiva, di una piazza, e di una stazione del metro. Quando raggiunge la piazza del Palazzo è nel cuore della Russia imperiale, ma scopre che a Pietroburgo esiste anche un distretto intitolato a Sergej Kirov, segretario del partito a Leningrado, possibile concorrente di Stalin alla guida del Paese, assassinato nel dicembre del 1934.
Il palazzo neoclassico dello Smolnyi, dove Lenin annunciò la prima rivoluzione socialista e la conquista del potere, è una piccola isola comunista nel tessuto urbano della città. Una scritta scolpita su un arco, all’inizio del viale che porta al palazzo, dice che questo fu il «primo soviet della dittatura del proletariato». I due busti che fiancheggiano il viale sono quelli di Marx e di Engels. L’uomo di bronzo, al di là di un cancello di fronte al palazzo, è Lenin in una delle sue consuete pose oratorie. Non lontano dalla Smolnyj, nella Ulitsa Shpalernoj, vi è una statua a Feliks Dzerzhinskij. Esisteva un parco intitolato al suo nome; ma quando venne «urbanizzato», all’inizio degli anni Ottanta, fu deciso di onorare il fondatore della Ceka con una statua. Quella che sorgeva a Mosca in piazza della Lubjanka, di fronte al palazzo del Kgb, erede della Ceka, fu invece abbattuta e rimossa dopo il colpo di Stato fallito dell’agosto 1991.
Ma il ricordo del passato comunista non impedisce a Pietroburgo di rendere omaggio ai suoi zar, ai suoi nobili, ai protagonisti del suo passato imperiale, ai decabristi, a scrittori e artisti, ad Andrej Sacharov e alle vittime di Cernobyl. Sembra esservi nella città il desiderio di usare monumenti e toponomastica per abbracciare tutto ciò che le appartiene. Uno degli esempi più interessanti è a Kronstadt, l’isola del golfo di Finlandia in cui Pietro volle creare la prima base navale della marina imperiale. Nel 1917 i marinai si ammutinarono e sostennero il colpo di mano con cui Lenin conquistò il potere. Ma nel marzo del 1921, dopo quattro anni di regime bolscevico, gli stessi marinai, fra cui molti erano anarchici, si ribellarono chiedendo nuovi soviet liberamente eletti e la convocazione di una Assemblea costituente.
La reazione dell’Armata Rossa fu particolarmente dura e i morti, nei due campi, furono circa 1.400; ma la rivolta ebbe l’effetto di indurre Lenin ad allentare la morsa del rigore sovietico con la adozione di un «Nuova politica economica» (Nep), meno inflessibilmente dirigista. Coma fare ammenda per quella sanguinosa repressione? A Kronstadt, nella piazza della cattedrale, vi sono due monumenti. Il primo, in stile art nouveau, è dedicato alla memoria di un ammiraglio che morì nel primo anno della Grande guerra. Il secondo è moderno, astratto e si compone di quattro blocchi di pietra su cui altrettante scritte ricordano i morti di due rivoluzioni e di due guerre: la rivoluzione del 1905 e quella del 1917, la seconda guerra mondiale e la guerra civile del 1919-1921, con una particolare menzione per le vittime della insurrezione di Kronstadt del 1921.
Nessuno chiede perdono alle vittime del passato, ma nessuna vittima è dimenticata. Forse è questo il modo migliore per scrivere la storia di una città che ha avuto molti passati. 

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