Walter Otto: Il volto degli dèi, Fazi
Risvolto
Venti tesi sull’essenza del mito, sulla civilta` degli antichi e sulla lontananza del divino.
In pagine serrate e profetiche, Otto, uno dei maggiori pensatori tede- schi e storico delle religioni, ripercorre lo sviluppo spirituale dell’Occi- dente sul filo di parole fondamentali quali Legge, Archetipo e Mito.
Per Otto il prototipo o archetipo dell’essere umano non e` la natura intesa come insieme di leggi fisico-psichiche, ma lo Spirito, un mondo che anche se oltrepassa la sfera naturale non la abbandona pero` mai del tutto, anzi la vivifica e le conferisce una nuova dimensione. Otto indica nella lingua (la lingua come rivelazione spirituale, esclusivamente umana) la chiave per comprendere da una parte l’origine e l’essenza del mito e dell’esserci a questo mondo e dall’altra le modalita` effettive del suo appren- dimento da parte del bambino.
C’era una volta il caos, e il mito vinse
Walter Friedrich Otto insegna: l’orizzonte classico resta attuale
di Mauro Bonazzi Corriere La Lettura 19.6.16
L’infinita sequenza di cose ed eventi, che compone il flusso della
nostra esistenza intrecciandosi con quella degli altri, ha un senso o è
soltanto una combinazione casuale di fatti isolati, come dune di sabbia
che si creano e disperdono su una spiaggia? Figlio di un’epoca
frenetica, ossessionata dall’angoscia della futilità, James Joyce aveva
le idee ben chiare in proposito, quando scrisse l’ Ulysses . Non è vero
che tutto è accidentale; persino la giornata — mediocre, apparentemente
inutile — di un impiegato qualsiasi in un qualsiasi ufficio di Dublino
(Milano, Roma, Catania) rinnova qualcosa che c’è già stato e che di
nuovo sarà, ripete un disegno che gli dà senso e valore, è un’impresa
non meno eroica di quella di Odisseo. Ci sono schemi ricorrenti,
strutture costanti nella vita degli uomini e dell’universo. Sempre in
cerca dell’impresa estrema e mirabolante, del gesto di rottura che salva
il mondo, non vediamo la bellezza del quotidiano, di ciò che si ripete
sempre uguale, del sole che sorge tutte le mattine e degli uomini che
tutti i giorni si avventurano nel mare dell’esistenza. Se sapremo
accorgercene, potremo riscoprire le trame segrete che innervano le
nostre giornate.
Erano le idee che, in quegli stessi anni, stava maturando anche un
grande studioso del mito greco, Walter Otto. Perché questo è il mito: la
convinzione che c’è un ordine dietro all’apparente frammentarietà degli
eventi, e che il particolare, l’individuale — noi, nella nostra
presunta irripetibilità — si comprende solo all’interno dell’intero di
cui fa parte. Non esiste la fetta se non c’è la torta. Bisogna essere
moderni per capire le sfide dell’antico.
Scritto in uno stile chiaro, Il volto degli dèi (Fazi) è un saggio
breve, erudito, e molto attuale. Il mito è racconto. Linguaggio e parole
insomma: nel Novecento non si è discusso che di questo. Oggi se ne
parla molto meno, convinti che contino le cose e non le parole. Così
ognuno attribuisce alle cose il significato che vuole e la realtà
assomiglia a uno specchio rotto che riflette tante immagini discordanti.
La realtà passa anche per le parole che la dicono, e il mito è un modo
per mettere in ordine il mondo, dare forma al caos: racconta le cose per
farle venire all’essere, scrive Otto, e progressivamente si dispiega
davanti a noi lo spettacolo meraviglioso dell’universo.
Naturalmente, il mito non è soltanto ricerca dell’ordine, come se si
trattasse solo di un primo e incerto tentativo, che poi scienza e
filosofia perfezioneranno con ben altri mezzi, sostituendo all’idea di
un destino imperscrutabile la regolarità delle leggi di causa ed
effetto. Il mito è anche la pretesa che quest’ordine sia divino, sacro.
Servono, oggi, simili rivelazioni? Forse no, penseranno in molti, magari
con qualche buona ragione. Ma del mistero, della capacità di stupirsi
per l’infinita ricchezza di ciò che sta intorno a noi, c’è ancora
bisogno, e tanto. «In momenti particolari succede anche a noi che di
fronte ai fenomeni di ciò che ci circonda, siano essi alberi, animali,
monti, acque, avvenimenti celesti o le condizioni o gli eventi della
vita umana, ci troviamo come afferrati e proviamo un brivido, come se
dal suo abisso volesse rivelarsi qualcosa che oltrepassa ogni nostra
conoscenza e comprensione».
Non si tratta di fuggire nell’aldilà di una trascendenza
irraggiungibile, ma di riscoprire la potenza vitale, e la bellezza, di
ciò che ci circonda — «l’essere nella pienezza della sua
manifestazione», come scrive Otto. Non sono solo ingenue superstizioni:
il mito ci ricorda che non tutto è a nostra disposizione, perché non
possiamo tutto. La terra è troppo grande per essere solo nostra. E se
invece di volerla piegare ai nostri bisogni, impareremo a comprenderne
il ritmo, e i cicli che ne regolano la vita, riconoscendoci come parte
di un insieme più vasto, la lezione del mito non sarà stata vana. Lo ha
detto bene Friedrich Hölderlin: «È un’eterna serenità, una gioia divina
poter porre ogni singola cosa ov’essa appartiene, nel luogo del tutto».
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