lunedì 6 giugno 2016

Università: una "carta dell'ineccellenza". Contro la sottomissione neoliberale, per un modello alternativo di ricerca, formazione, verifica della prassi



Molto, in fretta, male: una carta per l’ineccellenza 
Date: 30 maggio 2016 Author: Maria Chiara Pievatolo, Bollettino telematico di filosofia politica
Toccato più tardi degli altri settori, il mondo universitario ha adottato l’ideologia dell’ “eccellenza” col fervore dei neofiti. Nella scia degli accordi di Bologna, che sancivano, principalmente, l’introduzione del principio della concorrenza nelle università europee, sembrava cruciale curare la propria immagine, trasformare la propria istituzione in una macchina da guerra in grado di assorbire i migliori crediti, i migliori docenti e ricercatori, il maggior numero di studenti e di rafforzare il proprio posizionamento nazionale e internazionale. In un contesto di penuria e di crisi, la preoccupazione di un rapido ritorno sugli investimenti contribuiva inoltre a rendere sistematica una amministrazione della ricerca e dell’insegnamento basata su indicatori. [Charte de la désexcellence. 2014] 
 L’ondata di “riforme” che tuttora investe l’università ha condotto gli studiosi a occuparsi di più di comunicazione e di bibliometria, sacrificando – in una sorta di feticismo – al culto dell’eccellenza misurata da indicatori esterni, il perseguimento della qualità oggettiva e soggettiva del lavoro di ricerca. Fare ricerca innovativa, però, non è identico ad avere molte citazioni; essere ricercatori di successo non equivale a essere buoni ricercatori, disporre di molto tempo libero non è identico a essere degli oziosi
La Charte de la désexcellence, di cui offriamo un adattamento italiano, è un progetto di un gruppo di ricercatori dell’Université libre de Bruxelles, reso pubblico nel 2014. Rispetto alla molte critiche che vedono nell’iper-organizzazione un consapevole impedimento alla ricerca e all’innovazione, questo testo è una proposta d’azione. Non basta, infatti, dissentire dall’ideologia dell’eccellenza a parole e però continuare a pubblicare negli stessi circuiti in cui essa viene praticata e verificata. Occorre prenderne le distanze nel comportamento quotidiano – cosa, oggi, ancora relativamente più facile che nella scienza di stato della prima metà del secolo scorso. 
L’idea che la ricerca possa rimanere tale solo se animata da spirito di condivisione, disinteresse e onestà e da piaceri non identici a quelli contabili non è certo nuova. I fautori dell’ineccellenza vogliono però impegnarsi e far impegnare in qualcosa di più di una presa di posizione teorica da macinare nei circuiti proprietari della comunicazione e della valutazione accademica. Vogliono che chi ancora oppone all’ideologia dell’eccellenza l’onore del proprio lavoro usi gli interstizi che rimangono nell’accademia iper-organizzata dal big business e dal big government per creare zone di resistenza e gettare – o conservare – il seme di un’università pubblica fondata sul dialogo e sulla solidarietà. 
Socrate, nel Simposio, riesce a spostare la discussione dalla retorica alla dialettica – e dall’economia alla filosofia – semplicemente avendo il coraggio di dichiararsi non competitivo e di pretendere di discutere alla sua maniera. Gli ineccellenti pensano che anche noi dobbiamo avere un simile coraggio, nei fatti prima che nelle parole...

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