lunedì 13 giugno 2016

Va tutto bene

Raddoppia il numero delle famiglie in povertà assoluta: sono 1,5 milioni

Confcommercio: questa recessione è peggio della crisi del 1929

di Luigi Grassia La Stampa 13.6.16
Una crisi economica così lunga e pesante come quella che abbiamo vissuto in Italia non ha solo colpito le aziende e il prodotto interno ma anche le famiglie: quelle classificate come indigenti assolute sono quasi raddoppiate, segnando un +78,5% dal 2007 al 2014. I nuclei familiari in queste condizioni erano 823 mila nel 2007, un numero già alto, e sono cresciuti a quasi un milioni e 500 mila nel 2014; la loro quota sul totale delle famiglie italiane è a sua volta schizzata dal 3,5% di prima della recessione al 5,7% del 2014. Lo rileva l’Ufficio studi della Confcommercio.
Dice un rapporto che i singoli individui in condizione di povertà nel 2014 hanno superato i 4 milioni, +130% rispetto al 2007, arrivando a sfiorare il 7% della popolazione. Nei sette anni di recessione, il reddito disponibile della famiglie (in termini di potere d’acquisto ai prezzi del 2015) si è ridotto del 10% e anche di più.
«Questa a cavallo dei primi due decenni del XXI secolo - scrive la Confcommercio - rappresenta la seconda recessione per gravità nella storia nazionale dalla proclamazione del Regno d’Italia»: infatti le cose sono andate peggio in questi ultimi anni che nella prima guerra mondiale e nella crisi del 1929. Il Pil reale per abitante nel 2015 è regredito al 1996: «È come se le famiglie italiane avessero spostato indietro di un ventennio l’orologio del tenore di vita».
La caduta di Pil e investimenti si è riflessa sul lavoro. Fra il 2007 e il 2014 sono andati persi un milione e 800 mila posti in totale. Sono cambiati anche i modelli di consumo: le famiglie hanno tagliato persino la spesa alimentare, contrattasi di oltre il 12%. Sacrifici più pesanti nell’acquisto dei beni durevoli: -25%. Tuttavia «in questa prima parte del 2016 sembrano rafforzarsi i segnali di ripresa» dice la Confcommercio. Ma non c’è da stappare bottiglie di champagne: il ritmo di crescita della nostra economia resta lento, soprattutto se confrontato con la crescita congiunturale della Germania (+0,7%). La Confcommercio fa un confronto sfavorevole con i tedeschi anche per quanto riguarda la pressione fiscale a carico di imprese e delle famiglie. «Se l’Italia avesse avuto la stessa pressione fiscale della Germania nel 2014 - è il calcolo dell’Ufficio studi - ci sarebbero stati 66 miliardi di euro in meno di prelievo fiscale, vale a dire 23 miliardi in meno di Irpef e altrettanti di imposte indirette, e 20 miliardi in meno di carico contributivo su imprese e lavoratori».
Da notare che l’eccesso di carico fiscale in Italia si associa all’incapacità di tagliare sul serio la spesa pubblica, almeno secondo la Confcommercio. La ricerca dice che «finora gli unici tagli hanno riguardato la spesa in conto capitale, cioè gli investimenti pubblici». Invece tutte le componenti di spesa corrente derivanti da scelte discrezionali sono in crescita fra il 2015 e il 2017, anche se «con incrementi leggermente inferiori a quelli del Pil nominale».

Homeless, il boom degli invisibili

In Italia sono circa 50 mila a vivere in strada e nei dormitori, fra loro 8 mila donne La società reagisce all’emergenza ma stenta a organizzare strategie di re-inclusione

di Linda Laura Sabbadini La Stampa 13.6.16
Gli homeless sono persone invisibili nella vita e invisibili nella morte, forse anche per questo Richard Gere ha deciso di raccontarli e di mostrarli a tutti, a noi che viviamo nelle grandi città e passiamo davanti a queste persone senza guardarle, rimuovendo la loro presenza e la loro sofferenza, e ha girato il docu-film «The time out of mind». Il grande attore americano si è calato nelle vesti di un uomo senza dimora tra la gente di New York, uno qualunque di coloro che vivono la fase più acuta della povertà, un’emergenza sociale permanente nelle metropoli dei Paesi avanzati, e anche nel nostro. Gli homeless non sono «diversi», non si tratta di individui con problemi mentali come troppo spesso si pensa, provengono anzi da diverse estrazioni sociali. Ma la condizione di grave emarginazione, di homelessness appunto, li espone a rischi elevatissimi per la propria vita a causa del mancato soddisfacimento di bisogni basilari.
In Italia gli homeless stimati sono circa 50 mila in 158 Comuni italiani. Alla fine del 2014 era questo il numero di coloro che hanno utilizzato servizi di mensa o di accoglienza notturna, ma questa cifra potrebbe essere più alta se si considerano quelli che non usano alcun servizio (vedi Istat, ministero del Lavoro, Caritas e Fiopsd). Milano e Roma ne accolgono quasi 20 mila, seguono Palermo, Firenze, Torino e Napoli. In gran parte sono uomini, più di 40 mila, ma le quasi 8 mila donne, per metà straniere, hanno una età media elevata, intorno ai 45 anni, e si trovano senza dimora in media da più di due anni e mezzo. Più si prolunga questo stato più difficile è attivare i processi di inclusione sociale, con il passare del tempo la situazione si cronicizza e i percorsi di accompagnamento fuori dall’estrema povertà sono più ardui. E non va sottovalutata la situazione delle donne che hanno problemi ancora più grandi di sicurezza, rischiano di subire violenza e anche, purtroppo, la prostituzione. Senza pensare alla situazione delle anziane particolarmente esposte sul piano della salute.
Lavoro e matrimonio
La situazione dei 13.000 giovani homeless è particolarmente dura nelle città più grandi, perché legata all’immigrazione, alla droga, alle dipendenze e a una forte carenza sul fronte della formazione e delle relazioni sociali. Il minore investimento in capitale umano e sociale per i giovani è fortemente predittivo di grave esclusione sociale nel futuro. È fondamentale dunque che la situazione di questi ragazzi non diventi cronica e che su questi si investa velocemente per la loro reinclusione. Deve essere chiaro che essere senza dimora non è affatto una scelta di vita, come spesso si dice a sproposito, ma il risultato di un processo, che porta al precipitare della situazione anche nell’arco di un brevissimo periodo.
I fattori fondamentali che incidono sul fenomeno nel suo complesso, e che spesso si verificano in congiunzione tra loro, sono la perdita del lavoro e la separazione. A questi si sommano i problemi di salute. Il fenomeno degli homeless ha tante sfaccettature, riguarda differenti segmenti di popolazione a cui bisogna rispondere con interventi molto flessibili.
Ogni homeless nasconde una storia a sé che ha bisogno di essere capita. Ma il fenomeno sta cambiando rispetto al 2011, quando venne condotta la precedente indagine, non tanto per il numero di homeless, quanto nell’allungamento della permanenza in questa situazione e nell’elevamento dell’età media degli homeless.
Gli eroi del «non profit»
Gli italiani continuano a presentare un’età media più alta e una permanenza più lunga, ma gli stranieri sembrano, purtroppo, convergere sul modello italiano sia per l’età sia per la durata. Che fare? Servizi per i senza dimora ci sono, ma sono realmente sufficienti? In realtà crescono le difficoltà dei servizi di mensa e accoglienza notturna. Infatti, questi nel 2014 sono in diminuzione del 4% rispetto a tre anni prima, a fronte di un aumento delle prestazioni (pranzi, cene, posti letto) erogate ogni mese alle persone senza dimora del 15%. Meno servizi hanno fornito più prestazioni, quindi hanno dovuto far fronte a una maggiore pressione non tanto di più homeless, ma di un numero simile che ne ha fruito con maggiore intensità.
Ma tutte queste prestazioni da chi vengono erogate? In gran parte da coloro che ogni giorno sono vicini ai i bisognosi di aiuto, dando loro la speranza di una vita migliore: il “non profit”, i volontari che interagiscono con il pubblico in una sinergia fondamentale per il raggiungimento di obiettivi così importanti. Un lavoro encomiabile, prezioso per le politiche. Il problema è che molto spesso alla situazione emergenziale si risponde con politiche emergenziali che puntano fondamentalmente al soddisfacimento dei bisogni primari, il mangiare, il dormire, il lavarsi. Mentre necessitiamo sempre di più di strumenti di reinclusione sociale, attraverso il supporto psico-sociale, il sostegno al reddito, l’inserimento nel lavoro, gli alloggi.
I servizi devono essere sviluppati su tutto il territorio nazionale in modo uniforme e devono essere capaci di garantire le persone più in difficoltà, ovunque tale situazione di estrema povertà li colga. Non bisogna appiattire le politiche su interventi di natura unicamente emergenziale dettati dalla necessità di rispondere con meno risorse a bisogni crescenti. Innovazione e nuova progettualità devono farsi strada perché non si tratta solo di salvare la vita a queste persone ma di costruire un percorso verso una vita vera. È un obbligo in una fase in cui la crisi sociale continua a essere acuta più di quanto possa sembrare dagli indicatori economici. 

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