mercoledì 19 ottobre 2016

Cattelan in mostra a Parigi


“Un’opera è arte solo se dura nel tempo altrimenti si chiama merchandising”
ILARIA IACOBONI Rep 19 10 2016

Parigi, dopo New York, consacra una volta di più Maurizio Cattelan. Il 22 ottobre si inaugura una sua monografica alla Monnaie mentre è ancora viva l’eco di “AMERICA”, il wc d’oro che al Guggenheim fa il tutto esaurito dal mese scorso. Nel mezzo, Cattelan ha tenuto banco a
Milano durante la fashion week, dove ha aperto il suo Toilet Shop, un negozio di gadget ispirato a Toilet Paper, la rivista d’artista che lo impegna dal 2010. Proverbialmente timido, quello che molti considerano il numero uno dell’arte contemporanea internazionale risponde dal tavolo della cucina della sua casa studio di New York, di primo mattino, guardando il cielo luminoso di Manhattan che si schiude di rosso.
Quella di Parigi sarà una mostra con 20 pezzi “storici”: ci può anticipare quali?
«Principalmente quelli che, se googli “maurizio cattelan”, compaiono tra i primi dieci risultati. Saranno trattati come se fossero pezzi di una storia che ognuno può ricomporre come vuole, anche attraverso delle didascalie doppie, divise tra “pro” e “contro” l’opera ».
Ha scelto lei la Monnaie, sede della Zecca francese?
«È sicuramente vero che ogni luogo e ogni architettura in cui vengono esposte le opere dà forma alla mostra. In questo caso però si è trattato di un invito da parte della direttrice de Le Monnaie, Chiara Parisi. È lei che ha deciso, contro ogni ragionevolezza, di invitarmi a esporre in un luogo tanto prestigioso ».
Però la zecca inevitabilmente richiama alla mente il denaro...
«I soldi non sono niente di più che una convenzione che ci lega a dei pezzi di carta, o a un conto in banca».
A proposito di soldi, a maggio scorso Christie’s ha battuto il suo “Him” (Hitler inginocchiato) per più di 17 milioni di sterline: lei quanto ci ha guadagnato?
«C’è una differenza tra mercato primario e mercato secondario: le cifre esorbitanti a cui vengono vendute le opere in asta non sono mai vendite dirette, quelle su cui agli artisti viene pagata una percentuale. Se un collezionista compra il lavoro da una galleria e poi lo rivende all’asta il profitto è tutto suo. Sono un po’ come i soldi del Monopoli: mentre giochi qualcuno può credere che tu sia ricco, ma anche se vinci non hai mai soldi reali in tasca».
Ma è vero che oggi gli artisti non riescono più a vendere?
«Non credo che sia così in assoluto: dipende da molti fattori, e varia da artista ad artista. Una cosa si può dire: forse siamo troppo ossessionati dal mercato per riuscire anche a produrre buoni contenuti. Il valore di un’opera non dipende dai critici e dal mercato, sono solo i mezzi con cui l’arte viene diffusa nella società. Ma alla fine ciò che conta veramente è il tempo: la prospettiva da lontano è l’unico metro di giudizio valido ».
A Milano, durante la fashion week, ha inaugurato il Temporary Shop di Toilet Paper, la sua rivista: il merchandising ormai ha sostituito l’arte?
«Ci sono gadget e gadget: TP non è mai stato un progetto d’arte, si è affiancato a quel mondo, ma sempre (volutamente) rimanendo a guardare da fuori. Il rischio del merchandising integrato con l’arte è che certi argomenti (violenza, guerra, tragedie, ingiustizie), che possono essere veicolati da un’operazione artistica in modo efficace, coi prodotti in vendita al gift shop rischiano di essere banalizzati».
Lei è tornato sulla scena dell’arte contemporanea, dopo cinque anni di pausa, con l’opera “America”, il famoso wc d’oro esposto al Guggenheim di New York. Ci sono lunghe file per usarlo. Se l’aspettava?
«Solo quando un’opera viene esposta si scopre quale sarà la reazione del pubblico, nessuno può prevederla. Non si può anticipare in quale tempo e in quale luogo qualcosa risulterà offensivo e qualcosa no. Il mio catechista diceva sempre “chiedi perdono, non permesso”: credo che poi abbia smesso, ma continua a sembrarmi un buon consiglio».
Ora quest’opera è già roba vecchia per lei?
«Diciamo che non amo guardare indietro, il passo del gambero non fa per me».
Possibile che gli esseri umani siano tanto presuntuosi da usare una toilette d’oro?
«Non è questione di presunzione, credo, si tratta di una classica esemplificazione del sogno americano. AMERICA dà a tutti un’opportunità, rendendo utilizzabile quotidianamente a chiunque un oggetto irraggiungibile per quasi tutti. Non importa cosa mangi, può essere un pranzo da duecento dollari o un hot dog da due. Il risultato è lo stesso, dal punto di vista della tazza del cesso».
Lei è un grande organizzatore di feste: ha inaugurato Toilet Paper al Cabaret Voltaire di Zurigo, dove nacque il dadaismo. I party sono la nostra unica forma di consolazione?
«Se fosse vero, allora non ci resterebbe che piangere».
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