venerdì 21 ottobre 2016

Gli odori in Orwell

Orwell's Nose
John Sutherland: Orwell’s Nose. A Pathological Biography, Chicago UP

Risvolto
In 2012 writer John Sutherland permanently lost his sense of smell. At about the same time, he embarked on a rereading of George Orwell and—still coping with his recent disability—noticed something peculiar: Orwell was positively obsessed with smell. In this original, irreverent biography, Sutherland offers a fresh account of Orwell’s life and works, one that sniffs out a unique, scented trail that wends from Burmese Days through Nineteen Eighty-Four and on to The Road to Wigan Pier.

           
Sutherland airs out the odors, fetors, stenches, and reeks trapped in the pages of Orwell’s books. From Winston Smith’s apartment in Nineteen Eighty-Four, which “smelt of boiled cabbage and old rag mats,” to the tantalizing aromas of concubine Ma Hla May’s hair in Burmese Days, with its “mingled scent of sandalwood, garlic, coconut oil, and jasmine,” Sutherland explores the scent narratives that abound in Orwell’s literary world. Along the way, he elucidates questions that have remained unanswered in previous biographies, addressing gaps that have kept the writer elusively from us. In doing so, Sutherland offers an entertaining but enriching look at one of the most important writers of the twentieth century and, moreover, an entirely new and sensuous way to approach literature: nose first.

Prendendo Orwell per il naso La mappa olfattiva dello scrittore 

Il critico John Sutherland ripercorre i testi dell’autore di1984 attraverso gli odori che popolano prepotenti la sua opera 

Paolo Bertinetti Busiarda 21 10 2016
George Orwell, l’autore degli ormai «classici» 1984 e La fattoria degli animali, aveva un senso dell’olfatto particolarmente spiccato. Nel saggio intitolato Orwell’s Nose, cioè Il naso di Orwell, John Sutherland, fine studioso della letteratura inglese e brillante critico letterario, insegue gli odori citati nei libri di Orwell per rivelarci che hanno un significato decisivo.
Un anomalo odore lo si trova nella Strada di Wigan Pier, il libro inchiesta sui minatori dell’Inghilterra del nord scritto nel 1936, quando le simpatie per l’Unione Sovietica erano diffusissime negli ambienti intellettuali inglesi. «Il socialismo, almeno in quest’isola», scriveva Orwell, «non soltanto non odora più di rivoluzione, ma odora di eccentrica supponenza, di adorazione delle macchine e di stupido culto della Russia». Il naso finissimo di Orwell aveva colto l’odore della fine del sogno rivoluzionario. In compenso, nello stesso libro, mostra di apprezzare quello della miniera e dei minatori stessi. Come anche, lo scrive in Omaggio alla Catalogna, quello che sentiva quando si trovava a fianco dei combattenti antifranchisti durante la guerra civile spagnola.
Diceva Orwell che il vero segreto della differenza di classe era racchiuso nella frase che spesso aveva sentito nella sua infanzia: «i poveri puzzano». Per la verità a volte, nonostante il culto del sapone, puzzavano pure i ricchi. Anche perché, dice il libraio di Fiorirà l’aspidistra, il denaro puzza. 
La prima parte di Orwell’s Nose è occupata da una lunga prefazione in cui Sutherland illustra i punti centrali della sua indagine sull’importanza dell’olfatto nell’opera (e nella vita) di Orwell. La seconda parte è un’agile biografia, abilmente collegata ai testi letterari, che segue la scia degli odori. Il ritratto di Orwell che ne emerge è piuttosto lontano da quello che se ne ha in genere. Viene dato il giusto spazio al suo impegno politico a partire dalla partecipazione alla guerra civile spagnola, alla sua attività di propagandista per la Bbc durante la guerra, al suo lavoro di giornalista per il settimanale socialista Tribune; ma viene anche sottolineata l’importanza dei legami con i suoi compagni di scuola dell’elitario college di Eton (furono alcuni di loro a «mantenerlo» e a garantirgli il lavoro di scrittore e di giornalista), la contraddittorietà della sua esperienza militare in Birmania, con gli ambigui atteggiamenti nei confronti degli «indigeni» e le numerose frequentazioni delle «indigene», un suo qualche sadismo nei rapporti sessuali e il suo corteggiamento insistente di ogni donna che lo attirava. E infine il suo suicidio indiretto, con il lavoro intensissimo per riuscire a terminare 1984 tra rifiuto delle cure e accanimento di fumatore.
Il giusto spazio è concesso anche alla Fattoria degli animali, la «fiaba politica» in un primo tempo rifiutata da tutti gli editori perché l’Urss era un prezioso alleato e che fu poi pubblicata a guerra appena conclusa, alla vigilia dell’inizio della guerra fredda (espressione coniata proprio da Orwell). Gli animali che dopo la rivoluzione prendono il potere nella fattoria sono i maiali, mentre gli altri animali si ritrovano ad essere più servi di prima. Perché proprio i maiali come metafora dello stalinismo? Perché essendo gli animali più sporchi e puzzolenti erano quelli che lo disgustavano di più. Soprattutto per via dei loro escrementi - così come lo disgustavano anche quelli di molti animali e quelli degli umani. Non però lo sterco di cavallo. Nel quarto volume dei Viaggi di Gulliver di Swift, l’autore che Orwell aveva eletto a suo punto di riferimento, Gulliver, che si trova benissimo nel regno dei cavalli, quando torna a casa, dato che l’odore degli umani gli è insopportabile, si rifugia nella stalla con i cavalli: l’odore del loro sterco non lo disgusta affatto. La stessa cosa valeva per Orwell. 
Alla fine del libro Sutherland fa notare come in 1984 non ci siano animali, se non i due ratti ingabbiati sulla testa del protagonista, pronti a mangiargli le guance o gli occhi. L’odore del topo (animale che suscitava in Orwell uno schifo agghiacciante) resterà nelle sue narici per sempre. Insieme a quello del cavolo bollito e dello stufato fatto di schifezze fatte passare per carne: l’odore del totalitarismo. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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