mercoledì 19 ottobre 2016

"Hitler pazzo ma anche drogato". Dopo la storia spiegata con la psicopatologia, la storia spiegata con l'abuso di sostanze stupefacenti

Tossici. L'arma segreta del Reich. La droga nella Germania nazista
Norman Ohler: Tossici. L’arma segreta del Reich. La droga nella Germania nazista, Rizzoli pp. 383, € 22

Risvolto
Molto è stato scritto sul legame di Hitler e dei gerarchi nazisti con la droga, ma questo è il primo tentativo organico di indagare il rapporto dell'intera struttura del regime nazista e della volontà di utilizzare le droghe per plasmare e rinforzare la società tedesca, facendo della Germania degli anni Trenta, per l'autore, il primo Stato che utilizza massivamente la droga per avere influenza sulla società e poi sulla capacità bellica dell'esercito. Un tassello fondamentale e poco sondato della fenomenologia nazista. Un caso letterario di cui stanno parlando i giornali di tutto il mondo.

Metanfetamina e svastiche. Così la droga aiutò il ReichMatteo Sacchi Giornale - Mar, 08/11/2016

La Germania drogata di Hitler Patria, partito e anfetamine 

Norman Ohler rivela quanta parte avesse la chimica nel mito del vigore nazista 

Mirella Serri Busiarda 18 10 2016
Pezzi di cuore, di fegato e di pancreas di maiale, arricchiti con estrogeni e ormoni sintetici, furono frullati in unico composto. Il cocktail, confezionato peraltro in pessime condizioni igieniche, finì in vena al «paziente A» che accusava dissenteria, raffreddore, crampi intestinali: nell’agosto del 1941, nella Tana del Lupo nella buia foresta della Prussia orientale, il malato Adolf Hitler aveva bisogno di recuperare rapidamente le forze. Il composto funzionò, il Führer vispo e dinamico balzò dal letto per concertare l’avanzata in Russia. Ma poi di quel miscuglio dopante, progressivamente arricchito di circa ottanta sostanze diverse, non ne poté più fare a meno e, sempre più dipendente, passò al consumo dell’Eukodal, un derivato dell’oppio più potente della morfina e dell’eroina. 
L’artefice del benessere drogato del Cancelliere fu il suo medico, Theodor Gilbert Morell: adesso, tramite i diari del dottore ritrovati insieme a una serie di documenti rintracciati in archivi tedeschi e americani, lo scrittore Norman Ohler ha ricostruito l’appassionante vicenda dei Tossici. L’arma segreta del Reich. La droga nella Germania nazista (Rizzoli pp. 383, € 22). Già, proprio così: non solo il Capo tedesco fu addicted agli stupefacenti ma anche il suo potente esercito. Come dimostra Ohler, a favorire, la conquista della Polonia nel 1939 e la corsa trionfale dei panzer nel 1940 verso la Francia non fu la fiducia nel superuomo germanico ma l’assunzione del Pervitin. Oggi il preparato a base di metanfetamina è comunemente chiamato «crystal meth» ed è considerato assai dannoso; allora lo sperimentarono anche gli scrittori Heinrich Böll, Gottfried Benn, Klaus Mann e Walter Benjamin. I soldati con la svastica dovettero il successo alla magica pillolina distribuita in dosi massicce dai comandanti e che permise loro di andare all’attacco senza mangiare né dormire per quattro giorni e quattro notti. La Wehrmacht, annota il saggista, fu il primo esercito al mondo a puntare su una droga chimica: in Germania in un giorno si producevano 833 mila compresse, l’esercito e la Luftwaffe ne richiesero in breve tempo 35 milioni di pezzi. Nel 1944, quando la guerra chiaramente era persa, marina, aviazione e milizie di terra ne ordinarono quattro milioni di confezioni
Nel Pervitin, però, come in tutti gli stupefacenti, si nascondeva una trappola micidiale: gli effetti si avvertirono durante le campagne di Russia e d’Africa quando i soldati del Reich furono affetti da psicosi, forme incontrollate di eccitazione, perdita delle forze. Anche Hitler non ne venne risparmiato: prendeva cento-centocinquanta pasticche alla settimana accompagnate da otto o dieci iniezioni di Eukodal, e subì i pesanti contraccolpi della sua dipendenza. Dopo il fallito attentato di von Stauffenberg che, facendo scoppiare una bomba, gli perforò un timpano, cominciò a sniffare cocaina. Il cumulo di quegli eccitanti lo ridusse a una larva perennemente insonne, con le mani mosse da un tremito incontrollato e la bava alla bocca. La somministrazione delle medicine al Führer venne registrata giorno per giorno e ora per ora da Morrell il quale ci illumina così sulla dinamica di tante scelte militari e politiche. 
Joseph Goebbels, per esempio, due giorni dopo l’8 settembre 1943 rilevava che il despota aveva dormito solo due ore a seguito dei drammatici avvenimenti che avevano portato all’armistizio dell’Italia con gli angloamericani. Eppure appariva fresco, di buon umore e riposato. Successivamente anche altri ministri e generali furono contagiati dal suo eccezionale ottimismo. Ugualmente entusiasti, nel drammatico autunno del 1943, furono i giovani ufficiali che lo incontrarono a Breslavia, esterrefatti dal suo pensiero così positivo. Si diffuse la convinzione che Hitler era tanto allegro e forte proprio perché era in possesso di un’arma miracolosa e segreta in grado di capovolgere le sorti dello scontro mondiale. Cos’era accaduto? Il medico, soprannominato dal morfinomane Hermann Göring «la prima siringa del Reich», aumentava continuamente le dosi di Eukodal. Una notte di luglio del 1943 il Cancelliere si svegliò piegato in due dai dolori. Non aveva digerito, disse, gli involtini di spinaci e il formaggio della sera prima. Ma in realtà era preoccupato da quello che lo aspettava: a Feltre il giorno dopo doveva incontrare Mussolini che voleva sfilarsi dal conflitto dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia. Morrell - che peraltro aveva «in cura» anche il capo del governo italiano, Eva Braun, Leni Riefenstahl, Goebbels e tanti altri - ancora una volta lo rimise in sesto. E gli iniettò un altro sostegno per via intramuscolare poco prima della partenza all’aeroporto. 
Come riferiscono tutti i testimoni, Hitler parlò per tre ore sovraeccitato mentre il leader del fascismo non apriva bocca e riceveva i dispacci che lo informavano del bombardamento su Roma. Alla fine il Duce, preso dalla stanchezza, cedette e Morrell scrive: «Il Führer sta bene… e ha dichiarato che il merito è tutto mio». Niente di più vero: la vicenda delle dittature e del secondo conflitto mondiale interpretata nell’ottica del consumo delle droghe è tutta un’altra storia. E chissà, forse, senza lo zelante dottor Morrell l’Italia ce l’avrebbe fatta anche a uscire dalla guerra.


L’oppio di Hitler Saggi. «Tossici. L’arma segreta del Terzo Reich. La droga nella Germania nazista» di Norman Ohler, per Rizzoli. L'abuso dei narcotici nella Berlino totalitaria Elena Mazzini Manifesto 21.4.2017, 20:33 
Il tema dell’uso e dell’abuso degli stupefacenti nella Germania nazista costituisce l’oggetto della ricerca presentata da Norman Ohler, giornalista e scrittore tedesco, in Tossici. L’arma segreta del Terzo Reich. La droga nella Germania nazista (Rizzoli, pp.382, euro 22). L’indagine si fonda principalmente su una selezione di carte private e di documentazione clinica inerente l’attività di medici, chimici e farmacisti operanti sotto il regime, fonti consultate dall’autore presso diversi archivi federali tedeschi e americani. 
LA PRIMA SEZIONE del volume presenta una sintesi, non sempre riuscita nei suoi intenti di analisi socio-culturale, sul crescente protagonismo che la droga ha assunto dalla fine del Settecento all’interno delle società europee. Dopodiché Ohler sposta il suo sguardo sull’esame dell’ampia circolazione che i narcotici conobbero sotto il Reich, soffermandosi in particolare su quei medicinali, definiti al tempo «farmaci rivitalizzanti», che contribuirono al processo di progressiva alterazione di una società che nell’abuso di oppiacei e droghe sintetiche, prodotte a ciclo continuo dall’industria chimica nazionale, trovava una delle sue via di fuga da una realtà opprimente e irreggimentata. Ne è un esempio la metilanfetamina, prodotta negli stabilimenti Temmler di Berlino, brevettata nel 1937 e commercializzata sotto il nome di Pervitin; essa si diffuse così rapidamente sia tra gli uomini comuni sia tra le élite del partito e dell’esercito al punto da penetrare nella cultura popolare, come testimoniato da una canzone diffusa nelle taverne berlinesi, citata nel libro, il cui ritornello recita: «noi berlinesi ripieghiamo sulla cocaina e sulla morfina, noi sniffiamo e ci buchiamo». 
Si apprende inoltre che, durante la seconda guerra mondiale, ai soldati veniva somministrato, prima e dopo i combattimenti, un potente antidolorifico ad azione rapida, l’Eukodal, a base di oppioidi, che inibiva per un considerevole arco temporale stati di stanchezza e spossatezza, senza tuttavia adulterare le capacità di prestazione del combattente. Il farmaco circolò con successo anche nei quadri della Wermacht e nell’establishment vicino a Hitler, il quale a sua volta ne divenne gradualmente dipendente, con il progredire della guerra e delle sue disfatte. 
Tralasciando l’impiego di un linguaggio scientificamente poco pertinente – «sballo», «craving», «high Hitler» etc – e di citazioni decontestualizzate tratte dalla cultura hippy degli anni ’70, il dato più interessante da segnalare – certo non nuovo agli storici della scienza e della scienza sotto il nazismo in particolare – riguarda il nesso che ha legato il sapere medico-chimico ai regimi totalitari, più precisamente il contributo dato dal primo alla realizzazione delle politiche eugenetiche dei secondi. La seconda parte del libro si focalizza sul rapporto intimo stabilitosi fra il medico personale di Hitler, Theodor Morell, e il suo paziente, indicato nelle cartelle cliniche con il nome di «Paziente A». 
Un legame divenuto sempre più simbiotico e che porta Ohler a interpretare i documenti redatti da Morell in termini di rappresentazioni grottesche di Hitler, descritto come un tossicomane irrecuperabile, vittima di crisi di astinenza sempre più frequenti, di manie placate solo a mezzo di iniezioni somministrate dal devoto medico. 
L’ACCURATO DIARIO giornaliero che egli tenne sopra lo stato del paziente A risulta essere la parte più rilevante perché ci illumina sulla tipica mentalità dei medici nazisti e sul loro modus operandi; uno scenario clinico in cui è l’esperimento a venire prima della salute del paziente, in cui è la verifica degli effetti provocati dai farmaci a rendersi protagonista assoluta, in cui è la costanza con cui è mantenuta la cura nonostante l’emersione di sintomi sempre più gravi di dipendenza e di allucinazioni a definire il profilo del buon medico, il cui comportamento finisce per assumere tratti sadici e ossessivi. 
SE TRALASCIAMO le morbosità mediche a cui l’autore ricorre con una certa frequenza, in specie riguardo al caso del paziente A, e tenendo a mente ciò che ribadisce a più riprese, ma che non articola in maniera convincente, sopra la necessità di non attribuire le atrocità perpetrate dal nazismo all’assunzione di sostanze narcotiche, questo volume, come nota nella post-fazione uno dei più importanti storici del nazismo, Hans Mommsen, ha il merito di porre in evidenza la droga quale fenomeno socio-culturale in quel contesto totalitario la cui auto-rappresentazione primaria era data dal mito del corpo sano, specchio di una nazione integra e incorrotta.

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