lunedì 24 ottobre 2016

I barbari bolscevichi dopo aver mangiato tutti i bambini passarono alla Collezione Shchukin



Dalla Russia con dolore per i quadri perduti 
Sergei Shchukin fuggì da Mosca lasciando la sua collezione in mano ai bolscevichi. Scomparsa per molti anni, poi riapparsa al Puskin e all’Ermitage, ora si riunisce in una mostra a Parigi grazie al nipote 

Leonardo Martinelli Busiarda 24 10 2016
Da Mosca fuggirono prima Nadejda, la seconda moglie, e Irina, la loro bambina di tre anni. Era la primavera del 1918. Lui, Sergei Shchukin, che era stato uno degli imprenditori più ricchi e potenti di Mosca, rimase lì ancora per qualche mese, in piena euforia sovietica. Nadejda se la vide brutta: aveva nascosto oro e diamanti dentro alla bambola di Irina. E sul treno che le portava a Kiev una delle guardie di frontiera si era impuntata: gliela voleva sottrarre quella bella bambola. Irina scoppiò a piangere e non se ne fece di nulla. Shchukin restava a casa, nel lussuoso palazzo Trubeckoj stracolmo di capolavori, i suoi quadri (che piacevano anche ai bolscevichi): come abbandonarli? Ma alla fine salì anche lui sul treno notturno che correva verso l’Occidente, per raggiungere Nadejda e Irina a Weimar (dopo un lungo periplo sarebbero sbarcati nell’amata e agognata Parigi). Addio Mosca. Addio per sempre.
Erede di un impero
La sua strepitosa collezione, che contava pitture di Van Gogh, Gauguin, Renoir, Degas, Monet, Cézanne, Picasso e Matisse, dopo alterne vicende (rischiò perfino la distruzione sotto Stalin), finì negli scantinati dell’Ermitage dell’allora Leningrado e del museo Puskin a Mosca. Solo dagli Anni 70, progressivamente, quasi in sordina, alcuni pezzi ricomparirono nelle sale. Da sempre la collezione Shchukin è un mito. E il sogno di André-Marc Delocque-Fourcaud, 74 anni, nato e vissuto in Francia e nipote di Shchukin (non l’ha mai conosciuto: morì prima che lui nascesse, nel 1936), è sempre stato quello di vedere riuniti i quadri comprati dal nonno, anche solo per qualche mese. Finalmente ci è riuscito: grazie anche alla sua mediazione con i musei russi, sono arrivate a Parigi le 130 opere, quelle (quasi tutte) che componevano il tesoro del nonno, in mostra fino al 20 febbraio («Le icone dell’arte moderna»), avanguardia di ieri nell’avanguardistico edificio di oggi della Fondazione Louis Vuitton.
Ma chi era Sergei Shchukin? «Aveva ereditato dal padre un impero, sviluppato intorno al tessile - racconta Delocque-Fourcaud –. Sergei non era il figlio maggiore ma riuscì a imporsi. Balbettava, soprattutto quando si arrabbiava. Aveva diverse rivincite da prendersi: anche costituire una collezione d’arte». Iniziò tardi (a 44 anni), con frequenti trasferte a Parigi, dove lo aiutava il fratello Ivan Ivanovic, di 15 anni più giovane, «un vero dandy, che si era trasferito nella capitale francese: nel suo salotto riceveva personaggi come Auguste Rodin». Sergei sviluppò un gusto personale. E aveva fiuto: in un’epoca in cui Gauguin non se lo filava nessuno, lui acquistò sedici delle sue tele. Al ritorno a Mosca ne mostrò una a Leonid Pasternak (padre dello scrittore), commentando: «Un folle l’ha dipinto, un altro folle l’ha comprato». Gli acquisti di Shchukin erano compulsivi. E non rivendeva mai i quadri comprati.
Poiché anche i ricchi piangono, le tragedie non mancarono sul suo cammino. Il figlio Sergei, la testa piena di sogni, venne ritrovato cadavere in un fiume ghiacciato alcuni mesi dopo la rivoluzione del 1905 (suicida o vittima della repressione?). Due anni dopo mancò anche Lydia Grigorievna, la prima moglie, amatissima, portata via repentinamente dal cancro.
Amico di Matisse
Lui andò in crisi. «Partì per Il Cairo - racconta il nipote - e da lì, con i cammelli, raggiunse il Sinai e il monastero di Santa Caterina, per meditare». Ritornò combattivo a Mosca, il magnate di sempre. Riprese anche ad acquistare quadri, soprattutto di Picasso e di Matisse. Di quest’ultimo divenne amico: finanziariamente lo salvò a più riprese. Per decorare il Trubeckoj l’artista dipinse due pannelli enormi, La danza e La musica, tra le poche opere che, per ragioni logistiche (sono troppo fragili), non sono state inviate a Parigi.
Nel 1910, un’altra tragedia: in quel fantastico palazzo, Grigory, il suo terzo figlio, si sparò un colpo di revolver. Dal 1908 Shchukin aveva deciso di aprire le porte del Trubeckoj ai visitatori. E andò avanti. C’era chi lo prendeva per pazzo, per quelle opere troppo avanti per l’epoca (vedi Come, sei gelosa?, le due donne polinesiane in riva al mare di Gauguin, o Lillà al sole di Monet, con altre due donne misteriose, che si intravedono sotto i fiori: entrambe le tele saranno esposte alla Fondazione Louis Vuitton). Gli artisti dell’avanguardia russa, invece, ammiravano entusiasti e ne saranno influenzati (alcuni dei loro quadri saranno in mostra assieme alla collezione Shchukin). Loro appoggeranno al suo nascere l’Urss, «e i bolscevichi apprezzeranno anche le scelte artistiche di mio nonno, di sicuro più del regime zarista», ricorda Delocque-Fourcaud. Shchukin, però, non si fiderà. Partirà con quel treno di notte. Finirà i suoi giorni come un qualsiasi alto borghese parigino, grazie alle ricchezze che era riuscito a portare fuori dalla Russia. Un po’ malinconico, senza la sua collezione, dispersa e dal destino incerto. Oggi, finalmente, ricostituita. 
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