sabato 15 ottobre 2016

Il fronte russo della guerra degli Stati Uniti contro il genere umano


La rabbia del Cremlino “Una politica distruttiva” 

“State costruendo nuove divisioni in Europa” 
Lucia Sgueglia Busiarda 15 10 2016
Mosca non trema alla notizia della partecipazione italiana al dispiegamento Nato nei Baltici ai confini russi, quest’ultimo già previsto da tempo. Ma lo vede come un ulteriore tassello della escalation Usa e Nato, una mossa più aggressiva che indirizzata allo sbandierato «dialogo». Una «politica distruttiva» per la portavoce degli Esteri russa Maria Zakharova, che mira a «costruire nuove linee di divisione in Europa». Il Pentagono, aveva accusato giovedì, «sta attivamente espandendo la propria presenza lungo i confini russi. E negli Stati Uniti il livello di propaganda russofobica dall’alto sta cominciando ad andare fuori scala».
Visto da Mosca, l’intervento di Stoltenberg di ieri arriva come un piccolo calcio negli stinchi in un momento delicatissimo per la Russia: sul fronte siriano con l’alleato Assad che paventa «puzza di terza guerra mondiale» (mentre i ribelli dichiarano di aver ucciso sei ufficiali russi), sul fronte ucraino dove sono ripresi i combattimenti con vittime, sul fronte saudita, e in coincidenza del voto Usa che sempre più pare una faccenda russa, da Trump agli hacker. Mentre dall’Europa si levano voci che chiedono nuove sanzioni contro Mosca per Aleppo. Solo pochi giorni fa, Putin aveva sospeso il trattato con Washington sul plutonio chiedendo tra l’altro «La riduzione di infrastrutture militari e contingenti americani schierati nei Paesi entrati nella Nato dopo il 1° settembre 2000».
Per Mosca è la conferma che da parte Nato dietro le «forze simboliche», le dichiarazioni d’intenti ispirate in teoria al «dialogo», si stia procedendo verso l’accerchiamento della Russia. Con un dispiegamento di cui non si vede peraltro un particolare bisogno oggi, considerati i fronti globali molto più caldi altrove. 
E il Cremlino si sta già attrezzando. Non solo con sfoggi di muscoli ormai rituali - gli Iskander a Kaliningrad, i jet russi che sconfinano nei Baltici, le esercitazioni militari intensificate. Ma lavorando proprio sulle «linee di divisione» europee: tentando di spezzare la solidarietà interna alla Nato, con una strategia simile a quella usata coi membri Ue sull’onda di Brexit. La manovra è iniziata a fine settembre: Mosca, secondo il portavoce della Difesa di Tallinn, Andres Sang, avrebbe invitato l’Estonia insieme ad altri Paesi del Mar Baltico (Lettonia, Lituania e Polonia, più Svezia e Finlandia, confermano i media russi), a tenere colloqui bilaterali separati sulla sicurezza dell’area. Offerta rifiutata: tali incontri «politico-militari», hanno spiegato gli estoni, sono impossibili perché dal 2014 la Nato ha congelato la cooperazione con Mosca in seguito alla crisi ucraina. E dovrebbero essere condotti nell’ambito del Consiglio Nato-Russia o dell’Osce. Per Tallinn l’invito russo mira probabilmente a «mettere i membri Nato l’uno contro l’altro». Intanto in Montenegro, prossimo membro dell’Alleanza a Est, alla vigilia delle elezioni il premier Djukanovic accusa la Russia di intromettersi finanziando l’opposizione, nel tentativo di far deragliare il progresso del Paese verso l’adesione alla Nato.

Un contingente italiano ai confini russi? Bufera baltica sul governo 

Guerra Fredda 2.0. L’Italia farà parte di uno dei quattro battaglioni dell'Alleanza schierati nei Paesi ex sovietici. Dopo le rivelazioni del segretario Nato, Gentiloni conferma, Pinotti minimizza e Renzi ci scherza su. Furiose le opposizioni
Gina Musso ROMA Manifesto 15.10.2016, 23:59 
«Presidente, si stava progettando un piano di invasione della Russia…». Matteo Renzi ha provato a sdrammatizzare così, ieri, a margine della colazione di lavoro con Mattarella in vista del Consiglio europeo, la situazione scivolosa venutasi a creare dopo le dichiarazioni del segretario della Nato Jens Stoltenberg, riportate in prima pagina dalla Stampa il giorno precedente. 
Un contingente di soldati italiani «farà parte – aveva detto Stoltenberg – di uno dei quattro battaglioni dell’Alleanza schierati nei Paesi baltici». 
Autentico “fuoco amico” sull’atteggiamento di estrema riservatezza, per non dire omertoso, mantenuto dal governo su una questione così delicata. Rivelazioni che ieri hanno dato la stura alle proteste dell’opposizione, da Grillo a Salvini, che bocciano con toni durissimi la prospettiva di di alimentare il clima da nuova Guerra fredda e lanciarsi in un’avventura dalle conseguenze imprevedibili, invocando il «parlamento sovrano». 
«140 soldati – ha confermato qualche ora dopo il ministro degli Esteri Gentiloni – che verranno inviati in Lettonia (non è ancora chiaro se nel 2018 o già nella prossima primavera, ndr) per partecipare alla forza Nato a guida canadese dispiegata nel Paese». Ma guai a parlare di strategia aggressiva: secondo Gentiloni trattasi bensì di una politica «di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza». Del resto Putin, come sostiene l’ex premier norvegese che oggi guida l’Alleanza atlantica, «ha dimostrato la volontà di usare la forza militare contro i vicini». Secondo Stoltenberg però «il messaggio è “difesa e dialogo”, non “difesa o dialogo”». 
A Mosca tutta questa energia dialogante non l’hanno percepita: «La politica della Nato è distruttiva», ha tagliato corto ieri la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. Che all’Ansa ha aggiunto: «Così si tracciano nuove linee di divisione in Europa invece che di profonde e solide relazioni di buon vicinato». 
L’impegno di inviare soldati italiani ai confini russi risale al vertice Nato di Varsavia dello scorso luglio, fa sapere il governo, che nega ogni collegamento tra la vicenda e le crescenti tensioni con Mosca sulla crisi siriana. Ma all’epoca trapelò solo la decisione di restare in Afghanistan, come richiesto da Washington. Tra le righe però Renzi aveva parlato del comprensibile bisogno delle repubbliche baltiche «di una risposta più forte in termini di deterrenza nei confronti di Mosca». Il ministro della Difesa Pinotti ieri ha ribadito che no, ma che dite, «sapete bene che la politica dell’Italia è che ci vuole il dialogo, ma noi non sottovalutiamo il fatto che ci siano state anche rotture di legittimità internazionale in Ucraina. (…) l’Italia fa parte di un’alleanza e in caso di decisioni comuni dà il suo piccolo contributo». 
Sul fronte interno le opposizioni alzano la voce, a cominciare dal Movimento 5 stelle (decisione «inaccettabile» per Di Battista), mentre la destra chiede alla ministra di riferire subito in parlamento. 
L’impressione è che per disinnescare il missile lanciato da Stoltenberg ci vorrà ben altro che una battuta.


Baltico polemiche per i soldati italiani
Busiarda
Le opposizioni insorgono contro il mini-dispiegamento in Lettonia. Grillo attacca dal blog «questo governo di pavidi che ci trascina verso la guerra». Salvini dà del «matto» a chi si è fatto venire un’idea del genere e il centrodestra al gran completo si schiera dalla parte del Cremlino. Ma nei palazzi governativi c’è stupore per quanti cadono dalle nuvole: com’è possibile che il 26 luglio scorso nessun parlamentare di Fi o di M5S avesse colto le parole del ministro davanti alle commissioni congiunte Esteri e Difesa? Sull’invio di soldati in Lettonia, aveva detto la Pinotti: «abbiamo dato disponibilità per la collaborazione». Era un sì forte e chiaro, sostengono in via XX Settembre, non ci voleva molto a capirlo.
Le battute del premier
La non trascurabile novità dell’intervista al segretario generale Nato, pubblicata ieri dalla «Stampa», è che conferma ufficialmente, senza le solite cautele lessicali, l’invio dei nostri soldati ai confini con la Russia. Per questo ha fatto clamore. Secondo l’ex ministro degli Esteri Frattini, Stoltenberg così «non aiuta la causa del dialogo e mette l’Italia su un fronte di guerra imbarazzano il nostro governo. Mostra una totale incapacità di riflessione politica, come se la Nato fosse una macchina senza guida». E un ex premier come Enrico Letta, del Pd, nutre «francamente più di un dubbio sull’improvvisata scelta di schierare le truppe», decisione Nato condivisa europea. Giusto ieri al Quirinale si è svolto l’incontro di Mattarella con il governo che tradizionalmente precede i Consigli Ue. E guarda caso, il summit Ue si occuperà tra l’altro proprio dei rapporti con Mosca. Renzi si è presentato al Colle per nulla scosso e preoccupato. Anzi, prima ha fatto un commento spiritoso sulle doti guerriere (del ministro Pinotti; poi nel sedersi a tavola s’è lasciato andare a un’altra battuta sdrammatizzante, della serie «stavamo progettando il piano di invasione dell’Urss». Come dire: c’è chi esagera sulla portata del contributo italiano, da intendere come una risposta politica prima che militare, come una presenza tutto sommato simbolica e dimostrativa trattandosi in fondo di 140 soldati a rotazione.
Grillo e il fotomontaggio
L’entità della truppa però non conta, secondo Grillo. Che si spinge a condividere il punto di vista dei russi: «Vogliono schierare i nostri uomini per provocare Putin e trascinarci nell’assurdità della guerra». Siamo insomma dei provocatori. Già c’è stata «la follia delle sanzioni» che in due anni «ci ha fatto perdere 3,6 miliardi di euro». Adesso ci si mette questa «azione sconsiderata, contro gli interessi nazionali, che espone gli italiani a un pericolo mortale».
Tra parentesi, «la Russia è un partner essenziale, non un nemico», Putin l’unico che combatte sul serio l’Isis. Il blog si accompagna a un fotomontaggio: Renzi e Napolitano in trincea, con l’elmetto e il fucile in mano. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


Una pattuglia di 140 uomini schierata in Lettonia per dimostrare l’unità della Nato 
Il ministro della Difesa: sarà impiegata in esercitazioni e addestramento 
Una compagnia di 140 uomini, destinati alla Lettonia, sotto il comando canadese. 

Francesca Schianchi Busiarda 15 10 2016
I soldati italiani saranno parte di uno dei quattro «battle group» che la Nato ha deciso nel corso dell’estate di schierare ai confini con la Russia con funzione di deterrenza o, come la definiscono ai piani alti del governo, «dimostrativa». Quanto annunciato ieri dalle pagine di questo giornale dal segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, trova conferma nelle parole dei ministri della Difesa e degli Esteri. Al vertice Nato svolto a Varsavia nel luglio scorso, presenti Pinotti e Gentiloni, ma anche il presidente del Consiglio Renzi, «è stata data anche dall’Italia la disponibilità di fornire una compagnia, quindi con numeri non molto consistenti – spiega all’ora di pranzo la responsabile della Difesa, Roberta Pinotti - all’interno di una organizzazione che prevede il coinvolgimento di moltissime nazioni della Nato». 
La decisione di inaugurare questi «battle group» è stata presa per rassicurare le repubbliche baltiche e la Polonia impaurite, dopo la crisi ucraina, da una potenziale politica aggressiva russa. Quattro-cinquemila saranno in tutto gli uomini dispiegati dai vari Paesi dell’Alleanza, forze «non definitive e a rotazione», come sottolinea la ministra Pinotti, «per non dare l’idea che si ricrei una cortina da guerra fredda». Se in Lettonia, dove saranno inviati i nostri soldati, il comando verrà assunto dal Canada, in Lituania sarà invece la Germania a guidare; in Estonia la Gran Bretagna, che annunciò a suo tempo l’invio di 600 militari; in Polonia saranno gli Stati Uniti, che già hanno previsto di mettere a disposizione un migliaio di uomini. La disponibilità italiana parte dal 2017, anche se ieri Stoltenberg ha fissato all’anno dopo, il 2018, il via all’operazione. I nostri soldati saranno accolti in una base militare dove non hanno compiti offensivi ma faranno esercitazioni e attività addestrative: di fatto, però, non conta tanto quel che faranno, ma il solo fatto di esserci. Se infatti dovesse mai arrivare da Mosca un attacco, si tratta di numeri insufficienti a respingerlo, fanno notare fonti militari: ma quello che conta è la presenza di questa forza multinazionale, è dimostrare un’unità della Nato e un coinvolgimento di tutti i Paesi che ne fanno parte a sorveglianza dell’integrità politica e territoriale di alcuni dei suoi membri più recenti. Una dimostrazione di forza, «show of presence», la chiamano in linguaggio militare, per ricordare ai vicini russi l’esistenza dell’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, secondo cui l’attacco a uno Stato aderente costituisce un attacco verso tutti.
«Non si tratta di una politica di aggressione nei confronti della Russia, ma di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza», predica il capo della Farnesina Paolo Gentiloni, assicurando che la decisione «non influisce minimamente nella linea di dialogo che l’Italia ha sempre proposto». Stesso significato nelle parole della collega Pinotti: «L’Italia fa parte di un’Alleanza, e anche per portare con più forza la propria voce – che è l’invito a non fare una escalation, ma anzi a riaprire canali di dialogo – quando vengono prese decisioni comuni, dà la sua piccola parte di contributo». Una decisione, insomma, che non vuole avere una valenza bellicosa nei confronti della Russia: tanto più che, ricordano dalla Difesa, già l’anno scorso per otto mesi l’Italia, su richiesta della Nato e in particolare dei Paesi baltici, ha inviato quattro aerei a fare sorveglianza su quei confini a rotazione con altri Stati membri. 
Eppure, parte del mondo politico italiano e anche fonti di Mosca non interpretano in modo così innocuo la scelta. Dal punto di vista tecnico il contingente è piccolo. Ma dal punto di vista politico lo schieramento di uomini ai confini rischia di restituire a Putin un messaggio di diffidenza, se non provocatorio. Un’iniziativa che, sottolinea un’autorevole fonte militare, ricorda la Amf, unità multinazionale che veniva immediatamente dispiegata durante la Guerra fredda in caso di crisi, proprio come deterrente, per mostrare la compattezza dell’Alleanza. Ma, appunto, erano gli anni della Guerra fredda.


La Casa Bianca: Roma fa una mossa decisiva 
“L’Alleanza pronta a difendere tutti i membri” «Plaudiamo all’annuncio dell’Italia dello schieramento di truppe come parte della presenza accresciuta in Lettonia».

Paolo Mastrolilli  Busiarda 15 10 2016
La Casa Bianca interviene ufficialmente nella discussione generata dall’intervista a «La Stampa» del segretario della Nato Stoltenberg, per sostenere la posizione presa da Roma. Lo fa attraverso una dichiarazione che il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale Mark Stroh affida al nostro giornale, proprio alla vigilia della visita di Stato che il presidente del Consiglio Renzi farà martedì a Washington.
«Il rafforzamento e la modernizzazione della deterrenza e del posizionamento della Nato è stato uno dei risultati concreti chiave, discussi al vertice tenuto questa estate a Varsavia dall’Alleanza. In Polonia - dice la Casa Bianca - abbiamo sottolineato la piena applicazione del Readiness Action Plan, dove abbiamo accolto con favore la decisione dell’Italia di essere la nazione guida della Very High Readiness Joint Task Force (Vjtf) nel 2018». Quindi il portavoce Stroh spiega: «In aggiunta, la Nato ha preso la decisione di rafforzare ulteriormente la sua presenza avanzata nei Paesi baltici e in Polonia. Noi plaudiamo all’annuncio dell’Italia dello schieramento di truppe, come parte di questa presenza accresciuta in Lettonia». 
Il vice portavoce del dipartimento di Stato, Mark Toner, aggiunge: «Ciò manda un chiaro segnale che la Nato è pronta a difendere gli alleati. Accogliamo l’annuncio dell’Italia di contribuire con 140 soldati in Lettonia come dimostrazione dell’impegno a condividere i principi dell’Alleanza». La Casa Bianca però allarga il discorso al contributo complessivo di Roma: «L’Italia continua il proprio ruolo di forte leadership all’interno della Nato, attraverso la sua lunga storia di robusto sostegno della missione Resolut Support in Afghanistan, in Kosovo e nel Mediterraneo». 
Questa presa di posizione, oltre a rappresentare una difesa delle decisioni di Roma dalle critiche di Mosca, inquadra anche lo stato delle relazioni bilaterali alla vigilia della visita di martedì, e in prospettiva verso la prossima amministrazione. Washington, attraverso l’intervista che il segretario di Stato Kerry ci aveva concesso a settembre, aveva già sostenuto le linee dell’Italia su diversi fronti, dalla necessità che Europa e Nato aiutino le operazioni di soccorso dei migranti, fino a quella di sollecitare la Ue ad una politica economica per la crescita, invece dell’austerità. Gli Usa condividono la strategia di affrontare l’emergenza dei rifugiati e profughi controllando i flussi nei Paesi d’origine, e investendo nello sviluppo affinché scompaiano le ragioni economiche per lasciare le proprie case. Sulla Libia, poi, gli americani fanno molto affidamento non solo sulle nostre capacità diplomatiche e sui nostri rapporti economici col Paese, ma anche sul lavoro fatto sul terreno dai nostri militari e dall’intelligence. La base di Sigonella svolge un ruolo centrale per la sicurezza dell’intero Mediterraneo meridionale, mentre anche nella lotta all’Isis, in Afghanistan, Siria e soprattutto in Iraq stiamo svolgendo compiti vitali, come la riparazione della diga di Mosul e l’addestramento delle forze dell’ordine.
Sulla Russia, Washington riconosce gli interessi specifici di Roma, e proprio per questo apprezza ancora di più il suo contributo offerto alla Nato. Gli accordi di Minsk sull’Ucraina non sono stati rispettati da Mosca, e gli Usa si aspettano il rinnovo delle sanzioni alla fine dell’anno. «Noi - ci aveva detto Kerry - dobbiamo rimanere determinati. Le sanzioni devono restare in vigore fino a quando la Russia applicherà pienamente i suoi impegni stabiliti dagli accordi di Minsk, e metta fine alla sua aggressione dell’Ucraina». L’intervento della Casa Bianca quindi ha un connotato strategico nel difficile rapporto generale col Cremlino, anche in proiezione futura. Se Trump vincerà le presidenziali, tutto è possibile; se però prevarrà Clinton, la linea è tracciata. Il suo consigliere per la politica estera, Jake Sullivan, ci ha detto in passato che la capacità di dialogo di Roma con Mosca può essere una risorsa, ma nell’ambito di un fronte compatto degli alleati contro le politiche aggressive russe. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


Italiani con la Nato al confine russo L’ira di Mosca “Politica distruttiva” 
In Lettonia 140 militari. Grillo: “Renzi ci trascina in guerra”. Il Quirinale:“ Iniziativa nota da due mesi”

VINCENZO NIGRO Rep 15 10 2016
ROMA. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha confermato ieri in un’intervista alla
Stampa
che assieme ad altri Paesi alleati, l’Italia nel 2017 invierà un contingente simbolico di 140 soldati in uno dei 3 Paesi baltici, la Lettonia. Non è un’operazione militare, «è una presenza a rotazione in un paese Nato, una mossa che tecnicamente poteva essere decisa anche a livello di Stato maggiore », spiega a
Repubblica
il generale Vincenzo Camporini, ex capo della Difesa italiana. Una presenza simbolica, per mostrare solidarietà ai paesi ex-sovietici che sono alla frontiera con la Russia di Putin. E infatti il segretario Nato nella sua intervista l’ha presentato come uno dei tanti contributi che l’Italia offre all’Alleanza, quasi a compensare il fatto che le spese italiane per la Difesa da anni rimangano ben sotto il 2 per cento del bilancio, obiettivo comune Nato.
In poche ore le parole di Stoltenberg hanno creato una polemica politica che di sicuro ha fatto sorridere di soddisfazione Vladimir Putin. Da Mosca la portavoce del Ministero degli Esteri risponde a una domanda dell’Ansa dicendo che «la politica della Nato è distruttiva, l’Alleanza è impegnata a costruire nuove linee di divisione in Europa ». «Non si tratta di una politica di aggressione contro la Russia - replica il ministro degli Esteri Gentiloni - bensì di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza».
La decisione di schierare truppe a rotazione è del vertice Nato di Varsavia di luglio, ma in un momento di tensioni rinnovate con la Russia, la conferma del segretario Nato diventa il pretesto per attacchi politici al governo italiano. Beppe Grillo accusa il premier di «trascinare l’Italia verso la guerra e il disastro economico, mentre la Russia è un partner essenziale ». Critiche ancora da destra, con Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia che sostiene che «la decisione di schierare truppe italiane è un’idiozia degna della fallimentare politica estera di Barack Obama».
La “questione russa” è talmente delicata che perfino l’ex premier Enrico Letta, sostituito da Renzi a Palazzo Chigi, dichiara che «francamente, ho più di un dubbio sul senso dell’improvvisa scelta di schierare truppe Nato in Lettonia al confine con la Russia».
A Varsavia, nel vertice del 7/8 luglio scorso, la decisione era stata confermata da Renzi nella conferenza stampa finale. Ma soprattutto è l’evoluzione di un coinvolgimento militare più massiccio, anche della stessa Italia, nel Baltico: nel 2015 ben 4 caccia intercettori dell’Aeronautica erano stati rischierati in Lituania per 6 mesi, fornendo alla Repubblica baltica quella difesa aerea di cui il paese ex-Urss non dispone. Un intervento molto più massiccio e perfino più costoso della rotazione di 140 alpini.
Ieri il premier Renzi e i principali ministri del suo governo sono stati ricevuti a pranzo dal capo dello Stato Sergio Mattarella per un incontro prima del prossimo Consiglio Ue. Renzi scherzando ha fatto una battuta al capo dello Stato, dicendo che «con Gentiloni si stava progettando l’invasione della Russia... ».
La questione dei soldati in Russia non è entrata nel pranzo al Quirinale, anche perché Mattarella, capo supremo delle Forze armate, ne era informato dai giorni di Varsavia. Il presidente – dicono i suoi collaboratori - «è sorpreso del clamore improvvisamente sollevato per una iniziativa già nota da un paio di mesi».
In un intervento proprio al Nato Defence College di Roma, Mattarella aveva confermato che con la Russia «il dialogo rimane centrale, ma vanno prese in considerazione le richieste di rassicurazione da parte dei nostri alleati dell’Est europeo».


Interessi nazionali e politica estera 
GIANLUCA DI FEO Rep 15 10 2016
Lo scorso anno per 8 mesi la difesa aerea del Baltico è stata gestita dai caccia italiani: 40 volte gli Eurofighter tricolori sono decollati dalle basi lituane per intercettare aerei russi che avevano violato la frontiera orientale della Nato. Ogni sfida è stata comunicata, eppure nessuno ha detto nulla: la missione a stretto contatto con gli stormi di Putin è passata inosservata. Adesso l’annuncio dello schieramento di una compagnia di soldati in Lettonia ha provocato una tempesta politica. Eppure il premier Renzi aveva parlato di questa missione lo scorso 9 luglio, presentandola in Parlamento 2 settimane dopo. Ed è difficile che l’armata di Mosca, forte di un milione di uomini, si preoccupi per 140 alpini.
La riflessione necessaria è un’altra. Quante delle missioni che conduciamo all’estero sono finalizzate agli interessi nazionali? Da quasi 20 anni sono soprattutto le spedizioni militari a determinare la nostra politica estera: Balcani, Iraq, Libano, Afghanistan hanno testimoniato la credibilità dell’Italia nello scacchiere internazionale. Questo impegno ha provocato un sacrificio di risorse e di vite umane consistenti – solo in Afghanistan sono stati già spesi 6 miliardi e contati 53 caduti - portandoci in terre molto lontane solo per assecondare la volontà della Nato o degli Stati Uniti, che sono “azionisti di maggioranza” del Patto atlantico.
Ecco, da troppo tempo manca nel Parlamento un dibattito per definire quale sia il nostro interesse nazionale: è nel Baltico, in Afghanistan o più vicino? Un punto di partenza per questa riflessione viene dal Libro bianco voluto dal ministro Roberta Pinotti. Dove c’è scritto: «La zona euro-mediterranea rappresenta la principale area d’intervento nazionale». E dove, riconoscendo il ruolo nella Nato, viene però indicata come prioritaria la nascita di una Difesa europea. Una prospettiva che non piace né agli Stati Uniti, né alle nazioni passate dal Blocco sovietico all’Alleanza atlantica. Ma il mondo è cambiato e tutti i punti di riferimento sono stati sconvolti. Un’incertezza globale che dovrebbe imporre una discussione vera su quale politica estera serve all’Italia. E di conseguenza quali missioni assegnare ai nostri soldati. Prima di trovarci intrappolati in altre operazioni senza via d’uscita o peggio ancora di marciare sul confine della nuova Guerra fredda.

Nella campagna referendaria mancava solo la figura di Putin
Chi vincerà la guerra fredda che dilaga in casa nostra
Ma né Grillo né Salvini hanno la capacità di gestire la linea filo-russa E il Partito socialista europeo si è schierato a favore del Sì
di Stefano Folli Repubblica 15.10.16
MANCAVA solo un pizzico di guerra fredda nella confusione referendaria. Ora abbiamo anche la tensione Est-Ovest e addirittura sul web italiano sono già scattati gli “hashtag” sul genere “Vogliamo la pace non la guerra”. Va detto che la decisione del governo Renzi di inviare circa duecento militari alla frontiera fra Lettonia e Russia ha colto tutti un po’ di sorpresa. O meglio: era evidente da qualche settimana la crescente asprezza del rapporto fra Washington e Mosca, conseguenza in primo luogo delle stragi di Aleppo e del tenace sostegno di Putin al presidente siriano Assad. All’improvviso il presidente degli Stati Uniti ha stabilito che questa situazione era intollerabile per la logica della NA-TO. E così dal Baltico al Medio Oriente si è deciso di dare una risposta al dinamismo russo. Qualcuno dice che c’è un po’ di teatro in questa girandola di mosse e contromosse. E aggiunge che un aumento, sia pure controllato, della tensione internazionale serve soprattutto a far risaltare il candidato presidenziale con maggiore esperienza (Hillary, già segretario di Stato) rispetto al suo competitore invischiato da settimane nel cortocircuito degli scandali rosa. In ogni caso il contributo italiano comincerà nella primavera del 2018. Si vedrà allora in quali condizioni sarà lo stato delle relazioni con la Russia. Rimane il fatto che l’assaggio di guerra fredda ha già avuto qualche conseguenza sul terreno della nostra politica domestica. Grillo e Salvini si sono affrettati a schierarsi con Putin contro l’avventurismo occidentale. Un pacifismo sospetto, visto che siamo in piena campagna per il referendum e tutto quello che può indebolire Renzi serve a raccogliere voti per il No.
Ovvio che si avverte subito il sapore del provincialismo nelle posizioni leghista e Cinque Stelle. Di solito la politica estera è rigorosamente assente nelle battaglie del M5S. Quanto a Salvini, egli si considera da tempo in buoni rapporti con Putin, ma nessuno giudica per questo il leader leghista un credibile protagonista delle vicende internazionali. Resta silenzioso per ora il vero amico italiano del leader russo, Silvio Berlusconi. Sembra distaccato, il fondatore di Forza Italia, e ha le sue ragioni: la convalescenza, una battaglia referendaria nella quale non crede, lo stato drammatico dei rapporti interni al centrodestra che esigono una difficile opera di ricucitura.
In ogni caso a Roma si è creato un mini-fronte anti»atlantico che mira a suscitare dubbi e inquietudini nell’opinione pubblica, difendendo il presidente russo. Un tempo era il Pci che si riconosceva nella linea dell’Urss e questo determinava una spaccatura ideologica della politica e dell’opinione pubblica, facendo dell’Italia una terra di confine. Oggi la storia si ripete in sedicesimo e sono movimenti senza memoria storica, come i grillini e i leghisti, a sfruttare la crisi »peraltro da non sottovalutare »per guadagnare qualche consenso. In un certo senso si può dire che tutto si replica in forme banali, addirittura “kitsch”. Dario Fo appena scomparso diventa una bandiera del No attraverso la più cinica delle operazioni, nel tentativo di evocare in piccolo l’ondata emotiva che percorse l’Italia dopo la morte di Berlinguer e si tradusse in una valanga di voti al Pci alle europee del 1984.
Del vento di guerra fredda si è detto, ma né Grillo né tantomeno Salvini hanno la capacità di gestire nel tempo una linea filo-russa in modo serio, tanto più se il clima Est-Ovest si surriscaldasse ancora. Forse il solo in grado di farlo sarebbe Berlusconi, se volesse. È bene ricordare, del resto, che la giornata di ieri ha offerto un’altra notizia utile a cogliere il nesso fra quadro internazionale e referendum di dicembre. Il Partito Socialista europeo, al quale aderisce il Pd renziano, si è schierato all’unanimità a sostegno del Sì al referendum. L’argomento è quello tipico: la riforma costituzionale è destinata a garantire la stabilità in Italia e quindi fa bene anche al resto d’Europa. È appena il caso di ricordare che D’Alema, presidente della Federazione di studi europei, espressione del Pse, è il leader non ufficiale del No.

Il partito anti Ue irrompe nella campagna sulla riforma
di Massimo Franco Corriere 15.10.16
Emergono due elementi dalla reazione delle opposizioni contro l’invio di un numero simbolico di soldati italiani in Lettonia nel 2018. Il primo è che riaffiora un «partito russo» trasversale che va dalla destra di Matteo Salvini al Movimento 5 Stelle. E coincide quasi del tutto con il «partito del No» al referendum istituzionale del 4 dicembre. Questa coincidenza va al di là del fatto che sia euroscettico e diffidi della Nato: tinge con i colori della politica interna una polemica in apparenza sulle questioni internazionali.
Il secondo elemento è che i bersagli, in particolare di Beppe Grillo, sono Matteo Renzi e Giorgio Napolitano. È come se nella gerarchia degli avversari dei Cinque Stelle il premier e l’ex capo dello Stato fossero i corifei di quello che sbrigativamente viene bollato come «partito bellico». «Vogliono trascinarci in guerra», scrive Grillo ritraendoli entrambi in trincea con l’elmetto, in un fotomontaggio. Il messaggio che si vuole trasmettere è di un esecutivo prono ai diktat della Nato; e dunque lesto a schierare i soldati insieme agli altri alleati occidentali, in quella che per il «partito russo» è una provocazione contro Putin. Ma Renzi e Napolitano sono anche i due uomini-simbolo del Sì nel referendum. Il governo ricorda che la decisione è stata presa l’8 luglio scorso in un vertice Nato-Ue a Varsavia, in Polonia, dove crescono le pulsioni antirusse.
Ma non basta. L’annuncio ha inserito a forza anche questo tema nella campagna referendaria. Perché è chiaro che il contraccolpo immediato non si registrerà sulla politica estera dell’Italia. Preannunciare l’invio di 140 soldati italiani nel 2018 nei Paesi baltici che si sentono minacciati dall’attivismo del Cremlino, conferma i venti di una nuova Guerra fredda; ma va considerato come una chiamata a raccolta strategica alla quale è difficile sottrarsi anche per un governo dialogante con la Russia come il nostro.
Semmai, la sensazione è che l’esecutivo sia stato spiazzato dalle reazioni. Forse non pensava che il partito antieuropeo entrasse nella campagna referendaria usando anche questo argomento.
Il Pd interviene per sottolineare come l’annuncio dell’invio dei soldati sia stato strumentalizzato. L’offensiva del M5S e della Lega conferma, tuttavia le incognite sui loro orientamenti internazionali.
Rischia di rilanciare i sospetti su un’alleanza di fatto tra forze populiste europee e Cremlino, dalla Francia all’Ungheria. E costringe a chiedersi dove andrebbero l’Italia, l’euro, l’Ue se dovessero prevalere questi movimenti. Non significa disconoscere il ruolo che la Russia sta svolgendo contro il terrorismo del sedicente Stato islamico in Siria: un ruolo, peraltro, accentuato dagli errori commessi negli ultimi anni dall’Occidente, oggi meno presente e credibile in quell’area del mondo.

Missione collettiva C’è il dovere di partecipare
di Paolo Valentino Corriere 15.10.16
In visita in Italia il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha confermato ieri la partecipazione dell’Italia allo schieramento di truppe Nato ai confini orientali. Era del 9 luglio scorso la notizia che 140 soldati italiani sarebbero stati inquadrati nel contingente a guida canadese, che l’Alleanza schiererà nella primavera 2017 in Lettonia. Il presidente del Consiglio lo aveva confermato il giorno dopo in conferenza stampa, al termine del vertice Nato di Varsavia. Renzi aveva anche assicurato che lo spiegamento sarebbe stato preceduto dagli opportuni passaggi parlamentari, nell’ambito della legge sulle missioni. La decisione di schierare 4 battaglioni a rotazione nei Paesi baltici e in Polonia serve a rassicurare gli alleati del fronte Est, preoccupati dagli atteggiamenti aggressivi della Russia. Si può discutere se sia il modo migliore di porsi nei confronti di Mosca e non ci si può stupire se poi il Cremlino reagisce piazzando i missili Iskander a Kaliningrad. Ma è una decisione collettiva, cui tutti i membri della Nato hanno il dovere di partecipare, poiché nelle alleanze internazionali o si è dentro o si è fuori. Lo sanno bene gli esponenti di Forza Italia, che oggi gridano al lupo, ma hanno sempre rivendicato il loro atlantismo a 24 carati e in passato hanno spesso votato con i governi di centrosinistra per il finanziamento delle missioni.È bene anche ricordare ai «nuovi pacifisti» che la decisione è parte di un documento, in cui l’Alleanza si impegna a tenere aperto il dialogo con la Russia, posizione da sempre difesa dalla nostra diplomazia, come ricordato ieri da Gentiloni. Di più, a Varsavia la Nato, su sollecitazione dell’Italia, volge per la prima volta in modo non formale la sua attenzione anche alle minacce che vengono dal fianco Sud, offrendo per esempio navi e uomini al controllo del traffico d’armi verso la Libia o assistenza logistica alla missione Sophia. Ma in Italia la politica ha memoria corta 

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