domenica 23 ottobre 2016

La fine della sinistra di classe e della democrazia moderna in Europa

La scomparsa della sinistra in EuropaAldo Barba e Massimo Pivetti: La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, pp. 256, € 16

Risvolto

“Non vi è niente di paradossale nel fatto che al peggiorato andamento del capitalismo avanzato e all’esplosione delle disuguaglianze al suo interno abbia corrisposto la scomparsa della sinistra, semplicemente perché è stata proprio quella scomparsa la causa fondamentale del generale deterioramento delle condizioni economiche e sociali nel continente”.

Totale liberalizzazione della circolazione internazionale dei capitali, delle merci, della manodopera; mercato del lavoro deregolamentato; banca centrale indipendente dai governi; detassazione dei redditi da capitale e fine della progressività del sistema impositivo; pareggio del bilancio; ridimensionamento della spesa pubblica; privatizzazione delle industrie di Stato e dei servizi sociali: il successo del liberismo non avrebbe potuto essere più completo.
Il libro riconduce le proporzioni di questo successo in Europa e i suoi esiti economici e sociali – cambiamento delle condizioni distributive, rallentamento del processo di accumulazione, aumento della disoccupazione e dell’esclusione sociale – al fenomeno della scomparsa della sinistra nel continente.
Si mette in luce come oggi l’ostacolo principale alla rinascita di una sinistra capace di ricollocare al centro della sua attenzione le grandi questioni economiche e di classe sia rappresentato dalla generale subalternità, radicatasi nel continente nel corso di oltre un trentennio, nei confronti della cultura economica dominante.

Massimo Pivetti (Roma, 1940) è stato ordinario di economia politica all’Università di Roma La Sapienza, dopo aver insegnato nelle Università di Pavia, Modena e Napoli. È autore di opere di teoria della distribuzione del reddito, economia degli armamenti, economia internazionale, economia e politica monetaria, storia dell’analisi economica.
Aldo Barba (Vico Equense, 1970) è associato di politica economica all’Università di Napoli Federico II. I suoi lavori vertono su questioni di teoria e politica monetaria, politica fiscale, debito pubblico, distribuzione del reddito.

Sinistra cercasi disperatamente 
Giuseppe Salvaggiulo Busiarda 23 10 2016
«I lavoratori delle nazioni europee e le loro famiglie non hanno più una casa comune in quella che sotto varie denominazioni continua a considerarsi la sinistra politica», esordiscono gli economisti Aldo Barba e Massimo Pivetti nel pamphlet 
La scomparsa della sinistra 
in Europa (Imprimatur, pp. 256, € 16). Argomentano che nei «Trent’anni gloriosi» (1949-1978) le conquiste del lavoro salariato aiutarono lo sviluppo socioeconomico, alimentando un virtuoso circuito produttivo grazie alla forte domanda interna. Al contrario, nei successivi «Trenta pietosi» l’affermazione dei postulati neoliberali (apertura dei flussi di capitali merci e manodopera, deflazione salariale, deregolamentazione del mercato del lavoro, contenimento dello stato sociale, regressività della tassazione, privatizzazioni, politiche di bilancio rigoristiche) ha generato modesta crescita del Pil, cronica disoccupazione di massa, produttività stagnante, diffuso impoverimento.
La conclusione degli autori è che appiattirsi su questi paradigmi s’è rivelato un pessimo affare per le società occidentali. La liberazione incondizionata degli animal spirits capitalistici non ci ha resi più ricchi, anzi. La sinistra ne porta la principale responsabilità e ne paga, con la sua scomparsa, il prezzo maggiore. Tutto comincia dalla vittoria di Mitterand in Francia nel 1981, «inizio della fine» e di una sconsiderata e malintesa «corsa alla modernità» che in Italia è diventata «una lunga marcia verso il vuoto ideologico».
Nemmeno la grande crisi cominciata nel 2008 ha cambiato l’orizzonte. I dividendi dell’arretramento liberista li incassa per lo più il nazionalismo di destra. E allora, che fare? La risposta degli autori è «superare l’inerzia culturale» con rilancio delle politiche pubbliche, ritorno al classismo, difesa dei ceti popolari. In sostanza un mero riavvolgimento del nastro della storia ai «Trenta gloriosi».
È una risposta soddisfacente? Le politiche sperimentate fino agli Anni 70 sono riproducibili sic et simpliciter? Che effetti avrebbero in sistemi economici interconnessi e in contesti istituzionali sovranazionali? E come la mettiamo con l’insuccesso dei partiti nati da scissioni a sinistra su posizioni di questo tenore? Seguirà dibattito, anche grazie a questo libro. 
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