domenica 2 ottobre 2016

La Materia Oscura è forse solo un espediente per far tornare i conti


Il misterioso alone invisibile dell’universo 

Astronomia. Una scoperta mette in discussione la «materia oscura». Intervista a uno degli autori, l’italiano Federico Lelli che, con i colleghi americani ha pubblicato su «Physical Review Letters» l'esito della ricerca

Andrea Capocci Manifesto 2.10.2016, 0:04 
Una ricerca appena pubblicata dalla rivista Physical Review Letters sta scuotendo la cosmologia sin dalle sue fondamenta. La scoperta riguarda la cosiddetta «materia oscura» e, tra gli autori, c’è anche un astrofisico italiano, il trentaduenne e marchigiano Federico Lelli, attualmente ricercatore post-doc alla Case Western Reserve University di Cleveland, Ohio. Se Lelli e i suoi colleghi statunitensi Stacy McGaugh e James Schombert avessero ragione, l’esistenza stessa della materia oscura potrebbe essere messa in discussione. 
Non è una questione da poco. La materia oscura è, allo stesso tempo, un caposaldo della cosmologia e un oggetto assai misterioso. Secondo le stime dei fisici teorici, l’85% della materia dell’universo è «oscura» e solo il restante 15% è costituito da materia ordinaria, quella descritta dal modello standard delle particelle elementari. Se non ci fosse la materia oscura diversi fenomeni osservati nell’universo non sarebbero spiegabili. Nessuno scienziato sa davvero come essa sia fatta. 
L’ipotesi della materia oscura circola sin dagli anni ’20. Ma si affermò definitivamente alla fine degli anni ’70 quando gli astronomi Vera Rubin e Albert Bosma scoprirono delle anomalie nelle galassie rotanti che hanno la forma di un disco piatto (come la nostra Via Lattea): le stelle più lontane dal centro si muovono alla stessa velocità di quelle più interne. Ciò contraddice la teoria della gravità elaborata da Newton, migliorata da Einstein e supportata da molte altre evidenze: ad esempio Mercurio, il pianeta più vicino al Sole, ruota più velocemente di Plutone, il più lontano. Per garantire la stabilità delle galassie rotanti occorre una massa molto maggiore rispetto a quella che si riesce a osservare. Per spiegare questa ed altre stranezze cosmologiche, i fisici ipotizzano che intorno alle galassie vi sia un «alone» di materia oscura, che influisce sul moto delle stelle senza essere rilevabile dagli attuali strumenti e con leggi fisiche ignote. Non tutti, però, sono d’accordo. C’è chi la considera solo un espediente per far tornare i conti. La ricerca di Lelli e compagni potrebbe andare in questa direzione. Per vederci chiaro, lo abbiamo raggiunto nel suo ufficio di Cleveland. 
Davvero avete scoperto che la materia oscura è una bufala, come qualcuno ha titolato?
La nostra ricerca è un’analisi dei dati empirici su 175 galassie. Da un lato, i dati ci dicono come varia la velocità di rotazione in funzione della distanza dal centro. Dall’altro, quelli raccolti dal telescopio spaziale Spitzer ci permettono di calcolare con precisione la velocità di rotazione che ci si aspetta dalla massa visibile. Effettivamente, c’è una discrepanza tra ciò che prevedono le leggi di Newton e quello che si osserva, come era già noto dagli anni ’80. Ma nonostante la discrepanza, la velocità di rotazione delle galassie sembra dipendere in modo molto semplice dalla sola materia visibile. Abbiamo così stabilito una legge empirica, analoga alle leggi di Keplero. Per sapere come ruotano le galassie ora ci basta sapere la densità di materia visibile nella galassia, e viceversa. Come se la materia oscura non avesse alcun effetto. 
Eppure l’esistenza della materia oscura è un’ipotesi molto accreditata. 

La materia oscura spiega molti altri fenomeni, oltre alla rotazione delle galassie. Senza di essa è difficile spiegare la dinamica degli ammassi di galassie o come si sia evoluto l’universo dopo il Big Bang. Dunque, potrebbe realmente esistere. Abbiamo mostrato che la rotazione delle galassie può essere predetta a partire dalla sola materia visibile. Si tratta proprio dello stesso tipo di osservazioni da cui ha avuto origine l’ipotesi della materia oscura e per questo il nostro risultato ha fatto tanto rumore. Per quel che ne sappiamo oggi, le leggi della gravità non spiegano il moto delle galassie, ma anche le attuali teorie sulla materia oscura appaiono insufficienti. 
Come si esce da questa impasse?

Le alternative possibili non sono molte: o cambiamo le teorie sulla materia oscura o modifichiamo le leggi della gravità. L’ipotesi dominante è che la materia oscura sia costituita da particelle di grande massa che interagiscono poco con la materia visibile e perciò non sono facilmente rilevabili. Vengono chiamate «Wimp», che in inglese sta per «particelle di grande massa debolmente interagenti». Finora, però, i vari tentativi di osservare sperimentalmente le particelle Wimp non hanno dato risultati, né al Cern di Ginevra né altrove. Secondo il nostro studio, invece, la materia oscura potrebbe essere del tutto diversa. Ad esempio, il fisico teorico Justin Koury ipotizza che sia simile a un fluido, con proprietà tutte da scoprire. 

Le leggi della gravità, invece, sono intoccabili?

È difficile modificare le leggi di Newton e Einstein, che, tra l’altro, sono appena state confermate dalla rilevazione delle onde gravitazionali. Esiste però una teoria alternativa chiamata «Mond», sigla anglofona di «dinamica newtoniana modificata». Elaborata negli anni ’80 dall’israeliano Mordechai Milgrom, afferma che non serve invocare la materia oscura. Basta cambiare le leggi della gravità nel modo opportuno per spiegare la velocità di rotazione delle galassie. 

Lei non sembra, però, molto convinto…

Finora, queste teorie non hanno avuto molto credito, anche perché non riescono a spiegare tutte le anomalie. Ma effettivamente le teorie «Mond» avevano previsto un risultato simile al nostro già nel 1983. Quindi il nostro risultato in un certo senso le ha rilanciate. Tanto è vero che appena quattro giorni dopo la pubblicazione della nostra ricerca, lo stesso Milgrom ha replicato con un commento su arxiv.org (il principale archivio online di articoli di fisica a libero accesso, ndr). Da un lato ha definito il nostro risultato un «trionfo delle teorie Mond». Ma, dall’altro, ci ha accusato di non aver riconosciuto il giusto merito alle loro predizioni. 
Il dibattito è aperto, dunque. Gli sviluppi futuri del vostro lavoro?

Intendiamo allargare il catalogo di galassie da studiare ed estendere l’analisi anche agli ammassi di galassie, dove si sono osservate anomalie simili. Dal punto di vista personale, però, il mio lavoro proseguirà in Europa, al quartier generale dello European Southern Observatory vicino Monaco di Baviera. 
Laurea a Bologna, dottorato in Olanda, tre anni negli Usa e fra poco una nuova esperienza in Germania. Si riconosce nell’identikit del «cervello in fuga»?

Fino a un certo punto. Per uno scienziato viaggiare e lavorare in luoghi diversi è importante e anche utile, perché consente di creare una rete di collaborazioni estesa e proficua. Tuttavia, sarebbe bello un giorno tornare in Italia e trovare anche lì condizioni di lavoro paragonabili a quelle che ho conosciuto all’estero.

Cavalchiamo l’onda gravitazionale 

BergamoScienza. Intervento scritto per Alias dall'astrofisico che ha fatto parte del team della recente scoperta
Amedeo Balbi Manifesto 30.9.2016, 23:04 
Nel 1916, Albert Einstein pubblica la prima soluzione delle equazioni della relatività generale, che aveva formulato appena un anno prima. La teoria descriveva lo spazio e il tempo come un’entità unica, la cui struttura risentiva della distribuzione di materia ed energia: la deformazione dello spazio-tempo, a sua volta, governava il movimento della materia e dava una nuova interpretazione della gravità. Nel nuovo lavoro, Einstein giunge a una conclusione interessante: proprio come le cariche elettriche accelerate producono onde elettromagnetiche, così l’accelerazione di corpi dotati di massa, in determinate circostanze, deve creare onde gravitazionali – increspature nello spazio-tempo che si propagano alla velocità della luce.
Inizia così, un secolo fa, una delle storie più complesse, lunghe e affascinanti della scienza moderna. Una storia ricca di passi falsi, a cominciare da quello commesso dallo stesso Einstein, proprio in apertura. L’articolo del 1916, infatti, conteneva un grave errore di calcolo, che costrinse Einstein a pubblicare un nuovo articolo di rettifica nel 1918, intitolato semplicemente «Sulle onde gravitazionali». Neanche questo servì a mettere una parola definitiva sull’argomento e, una ventina di anni dopo, Einstein iniziò a nutrire seri dubbi che le onde gravitazionali potessero esistere davvero: nel 1936, assieme al collega Nathan Rosen, inviò un nuovo studio alla rivista Physical Review, con il titolo «Esistono le onde gravitazionali?». La risposta di Einstein e Rosen era negativa. Ugualmente negativa fu la reazione della rivista, che rifiutò l’articolo (Einstein, piuttosto seccato, lo inviò a una rivista meno prestigiosa, che lo accettò). 
La questione si è trascinata per molti decenni, tra grandi difficoltà di natura teorica e sperimentale, e forti scetticismi. Nel 1975, una svolta importante. Analizzando i dati di una pulsar binaria (un sistema di due stelle di neutroni in orbita una attorno all’altra), gli astrofisici Russel Hulse e Joseph Taylor notarono che il sistema perdeva energia in un modo che poteva essere spiegato perfettamente proprio attraverso la produzione di onde gravitazionali. La scoperta (premiata con il Nobel per la fisica nel 1993), diede solidi argomenti a quei fisici che, da tempo, sostenevano la possibilità di costruire sofisticate «antenne» in grado di captare la lieve deformazione dello spazio provocata dal passaggio di un’onda gravitazionale. Negli anni ’90 videro finalmente la luce due grandi progetti internazionali dedicati alla costruzione di antenne di questo tipo: LIGO, negli Stati Uniti, e Virgo, in Italia. L’idea era quella di usare come metro di precisione la lunghezza d’onda di due fasci laser perpendicolari fra loro. Concetto semplice ma di realizzazione incredibilmente complessa, che ha richiesto anni di preparazione e il lavoro di centinaia di scienziati e tecnici per raggiungere la straordinaria accuratezza richiesta: appena un millesimo del diametro di un protone, rispetto a una distanza di chilometri. 
Uno sforzo ripagato il 14 settembre 2015, quando il segnale gravitazionale generato dalla collisione tra due buchi neri (altro concetto scaturito dalla straordinaria teoria einsteiniana) è stato captato dall’antenna LIGO, da poco rimessa in funzione dopo un aggiornamento.
Dunque, nonostante sia ormai centenaria, la massima creazione di Einstein – che il fisico Lev Landau riteneva «la più bella delle teorie» – non vuole saperne di mostrare difetti. Anche la più sfuggente delle sue previsioni, l’esistenza di quelle onde nello spazio-tempo di cui persino lo stesso Einstein dubitava, è stata brillantemente confermata dalle osservazioni. La cosa comincia a essere un tantino frustrante, visto che i fisici teorici vorrebbero trovare qualche crepa attraverso cui scrutare, verso una descrizione ancora più accurata della realtà. E chissà che non sia proprio la nuova astronomia gravitazionale, nata con la scoperta di LIGO, a rivelarci qualche aspetto sorprendente della natura.
*astrofisico del Dipartimento di Fisica di Tor Vergata a Roma

La materia magnetica è altamente trasformabile
Nobel fisica. Premiati gli inglesi David J. Thouless, Duncan M. Haldane e J. Michael Kosterlitz. Hanno condotto gli studi sui vari stati della materiadi Andrea Capocci il manifesto 5.10.16
Il premio Nobel per la fisica è stato assegnato agli inglesi David J. Thouless, Duncan M. Haldane e J. Michael Kosterlitz, gli scopritori delle cosiddette transizioni di fase topologiche. La scelta ha contraddetto molte previsioni, comprese quelle dell’agenzia Thomson Reuters (spesso azzeccate), che puntavano sugli scopritori delle onde gravitazionali, senza dubbio il fatto scientifico del 2016. Gli studi di Thouless, Haldane e Kosterlitz, iniziati già negli anni ’70, riguardano gli stati della materia che si osservano in materiali magnetici o superconduttori al di sotto di certe temperature. Molti sistemi, quando vengono raffreddati a sufficienza, cambiano «stato» e i loro componenti si organizzano in strutture più o meno ordinate. L’acqua, ad esempio, a 0 °C passa dallo stato liquido (disordinato) a quello solido, dove le singole molecole si legano formando una struttura regolare (il ghiaccio). Queste trasformazioni sono dette «transizioni di fase».
Le ricerche premiate hanno riguardato sistemi fisici così sottili da poter essere considerati uni e bi-dimensionali, in cui si riteneva che non fossero possibili transizioni di fase. Thouless, Haldane e Kosterlitz, invece, hanno dimostrato che anche in tali sistemi gli atomi e gli elettroni possono organizzarsi formando strutture diverse. Grazie a queste speciali transizioni di fase, nei materiali possono manifestarsi proprietà fisiche particolarmente interessanti come la superconduttività, cioè la capacità di un materiale di condurre corrente elettrica senza opporre resistenza al moto degli elettroni.
Sono così rimasti a bocca asciutta Kip Thorne e gli altri protagonisti della ricerca delle onde gravitazionali, favoriti alla vigilia. Il loro riconoscimento, con tutta probabilità, è solo rimandato di un anno e si spiega con il religioso ossequio ai regolamenti che da sempre caratterizza il premio Nobel. L’osservazione delle onde gravitazionali è stata annunciata in diretta mondiale l’11 febbraio del 2016. Secondo le norme, tuttavia, le candidature per il premio devono essere presentate entro il mese di gennaio.
Molti si attendevano comunque uno strappo alla regola, anche perché sui social network le indiscrezioni avevano preceduto l’annuncio di diverse settimane. Il fisico Lawrence Krauss aveva diffuso su Twitter le prime voci sulla scoperta già il 25 settembre 2015, solo undici giorni dopo la rilevazione e quando tutte le verifiche dovevano ancora essere effettuate. Il tweet di Krauss aveva scatenato una caccia alla notizia inusuale per l’austera comunità scientifica della fisica delle alte energie. Ma a Stoccolma il giudizio degli esperti conta ancora più di mille followers.

Il Nobel ai signori della materia esotica
Premiati per la Fisica i tre britannici Thouless, Haldane e Kosterlitz, pionieri nelle ricerche su superconduttori, superfluidi e stati magnetici: “Grazie a loro l’elettronica del XXI secolo” di Gabriele Beccaria La Stampa TuttoScienze 5.10.16
Thors Hans Hansson tira fuori dal sacchetto della colazione un bombolone, una ciambella e un pretzel e svela compiaciuto che nelle forme di quei dolcetti si intuiscono i poteri della topologia: è la branca della matematica in grado di indagare le proprietà delle forme che non cambiano quando vengono soggette a deformazioni ed è proprio quella che ha reso possibili le ricerche di tre inglesi arruolati negli Usa e che da ieri sono i nuovi Nobel della Fisica: David J. Thouless della University of Washington, Duncan Haldane della Princeton University e Michael Kosterlitz della Brown University.
Questi magnifici tre - dice Hansson, uno dei rappresentanti del comitato del premio - si sono immersi nella materia e l’hanno esplorata negli stati più esotici, lontanissimi dall’esperienza quotidiana: hanno osservato, con ruolo da pionieri, cosa accade quando si passa da un oggetto magnetizzato a un altro che non lo è oppure da un metallo «standard» a uno superconduttore o, ancora, da un fluido normale a un superfluido privo di viscosità. Tante metamorfosi in cui il gioco dell’ordine e del disordine spalanca possibilità straordinarie. Per esempio quelle dei computer quantistici. Iperveloci, iperpotenti.

“Hanno inventato i mattoni del nostro futuro quantistico”
L’analisi del presidente del Cnr Inguscio “Tante meraviglie, dai sensori ai computer” intervista di Valentina Arcovio La Stampa TuttoScienze 5.10.16
«Dai sensori per rilevare l’attività cerebrale ai dispositivi quantistici che permetteranno, ad esempio, di immagazzinare in modo pulito enormi quantità di dati o di trasmetterli in sicurezza e nel rispetto della privacy». È puntando sulle applicazioni che Massimo Inguscio, presidente del Cnr, spiega perché il lavoro di Thouless, Haldane e Kosterlitz ha fatto guadagnare loro un posto nell’Olimpo dei Nobel.
Professore, qual è la rivoluzione impressa alla fisica dai tre nuovi Nobel?
«Considerato che le loro scoperte risalgono agli Anni 70 e 80, il lavoro di Thouless, Haldane e Kosterlitz può essere considerato davvero visionario. Hanno il merito di essere andati oltre il mondo classico delle transizioni di fase della materia, come il passaggio di un solido allo stato liquido o gassoso, per descrivere nuovi stati della materia stessa, basati sulle caratteristiche “topologiche” di materiali sottilissimi, bidimensionali o addirittura unidimensionali. Nella descrizione di una transizione topologica di un materiale sono importanti le proprietà che rimangono stabili: un po’ come quando si deforma una ciambella, visto che alla topologia interessa che questa mantenga il buco. Proprio per questo materiali così sottili, portati a temperature prossime allo zero assoluto, mantengono il comportamento quantistico anche in presenza di difetti o imperfezioni. Sono transizioni di fase completamente diverse da quelle classiche, tipo il passaggio dell’acqua da liquida a ghiaccio, e possono essere descritte solo introducendo la topologia».
Con quali implicazioni?
«Si è aperta la strada a una fisica di superfrontiera che ha già permesso di realizzare materiali nuovi e che, in futuro, realizzerà tecnologie quantistiche molto innovative. Oggi, per esempio, questi materiali sono utilizzati per rilevare i campi magnetici. Altre applicazioni si realizzano in medicina, come nell’elettroencefalogramma: questi sensori analizzano l’attività cerebrale e ci sono laboratori del Cnr che grazie a loro studiano se esistono legami tra l’attività cerebrale e alcune malattie».
E le applicazioni di frontiera?
«I Nobel hanno gettato le basi su cui si costruiranno le tecnologie quantistiche: è un settore su cui investe tutto il mondo e l’Europa in particolare. L’obiettivo è realizzare materiali per dispostivi intelligenti in grado di aumentare le capacità di trasmissione e memorizzazione».
Quale sarà il ruolo dell’Italia?
«Siamo già uno dei protagonisti: il Cnr coordina una “roadmap” sulle tecnologie quantistiche che prevede importanti sinergie tra università e industria». 

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