venerdì 21 ottobre 2016

La sinistra PD rientrerebbe all'ovile già ieri



Legge elettorale, intesa vicina Renzi gioca la carta Cuperlo
Si riunisce la commissione del Pd, bersaniani a un passo dallo strappo Alessandro Di Matteo Busiarda 21 10 2016

Con diffidenza reciproca, ma nel Pd maggioranza e minoranza (almeno una parte) hanno ricominciato a parlarsi e un accordo sulla modifica della legge elettorale adesso sembra più vicino. Ieri si è riunita la commissione voluta da Matteo Renzi - un tavolo al quale siede anche Gianni Cuperlo in rappresentanza della sinistra del partito, insieme al vice-segretario Pd Lorenzo Guerini, ai capigruppo Luigi Zanda e Ettore Rosato e al presidente del partito Matteo Orfini - e, nonostante la consegna del silenzio imposta ai partecipanti, i racconti che trapelano parlano di passi avanti significativi: entro la fine della prossima settimana potrebbe essere messa nero su bianco una posizione del partito che creerebbe parecchi problemi all’ala dura della minoranza, quella guidata da Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza.


Guerini, il vice di Renzi, ha accolto la richiesta di Cuperlo di scrivere almeno alcuni criteri-guida sui quali costruire una proposta di legge e indicare anche i tempi e il percorso della riforma. «E’ stato un incontro positivo – ha detto Guerini - Ma non voglio caricare eccessivamente di significati questa riunione».

La cautela di Guerini è inevitabile, perché sui contenuti le distanze non sono poche. Cuperlo ha ribadito i propri paletti: servono «collegi uninominali» e «equilibrio tra rappresentanza e governabilità». Tradotto: il premio per chi vince non può essere eccessivo rispetto ai voti presi, come può capitare con l’Italicum, e devono sparire i capilista bloccati. Nel Pd, poi, c’è Dario Franceschini che chiede di passare dal premio alla lista a quello di coalizione e lo stesso vogliono gli alleati Angelino Alfano e Denis Verdini, mentre la minoranza dem è contraria perché teme che sia un aiuto al ‘Partito della nazione’. Cuperlo, inoltre, chiede che «il Pd si impegni ad avviare la discussione prima del referendum».
Renzi, d’altro canto, sa che Fi e M5s non gli offriranno sponde fino al voto del 4 dicembre e non intende presentare proposte solo per farsele bocciare. «Se vogliamo fare una proposta seria, cioè realistica, - ha replicato Guerini - dobbiamo almeno ascoltare le indicazioni degli altri partiti di maggioranza. Lo faremo nei prossimi giorni».
I bersaniani osservano preoccupati: più volte in questi giorni Speranza si è fatto ragguagliare da Cuperlo sulla trattativa. Per loro la commissione è solo un diversivo di Renzi per provare a dividere la minoranza. «Se Cuperlo resta sulle nostre posizioni la commissione ha il destino segnato – dice uno degli uomini vicini a Bersani – Se invece si accontenta di un ‘pagherò’ di Renzi… Auguri».
Cuperlo, durante l’incontro, avrebbe ripetuto chiaramente questo concetto: le carte sono sul tavolo, si proceda rapidamente, non si pensi di trascinare questa trattativa all’infinito. Ma sempre Cuperlo, nel comunicato stampa diffuso, ha aggiunto: «Ciascuno valuterà. Per parte mia lavoro con lo spirito di chi cerca una condivisione larga su scelte che devono innanzitutto rafforzare la nostra democrazia”. Un avvertimento sia ai bersaniani che danno già per morta la commissione, sia ai renziani. Ma Renzi e Guerini non vogliono spingere Cuperlo di nuovo nelle braccia dell’ala dura della minoranza. «Gianni ha bisogno di un risultato presto - spiega un dirigente Pd - cercheremo di darglielo». In vista del referendum, per Renzi sarebbe prezioso siglare un’intesa almeno con un pezzo della minoranza.
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il manifesto 21.10.16
La finta di Renzi ora rischia di spaccare la sinistra Pd
(Com)missione Italicum. Il segretario determinato a portare a casa il sì di Cuperlo e a mettere in imbarazzo la 'ditta' di Bersani. Che ormai fa campagna per il No al referendum
di Daniela Preziosi


ROMA Quel sì pronunciato concesso con trasandato scetticismo, quella battuta «una commissione non si nega a nessuno» di Bersani quando due settimane fa ha accettato la nascita di una commissione Pd sulla modifica dell’Italicum (peraltro contenuta in una relazione del segretario che la minoranza non ha votato) ora rischia di provocare un’imbarazzante frattura fra le minoranze Pd. La mossa era una trappola costruita persino senza convinzione contro i dem del No al referendum. Invece ora rischia di scattare. E sarebbe un’ultima pessima figura per Cuperlo, Bersani e il resto della vecchia ’ditta’ che già si trovano nella sgradevole posizione di bocciare al referendum una legge più volte votata in aula.
Ieri la famosa commissione si è riunita davvero, dopo il primo giro di opinioni della settimana scorsa. Il vicesegretario Guerini, il presidente Pd Orfini, i capigruppo Zanda e Rosato e Gianni Cuperlo, delegato dalle minoranze, si sono ritrovati in mattinata al gruppo Pd alla camera. Le posizioni di partenza sono distanti fin dalla ’mission’ dell’organismo: Cuperlo vuole impegnare Renzi su una nuova proposta di legge elettorale che contenga alcuni ’paletti’ («un equilibrio tra rappresentanza e governabilità, e la scelta dei collegi uninominali per recuperare un legame di conoscenza tra elettori ed eletti»), da sottoporre poi alle altre forze politiche. La maggioranza renziana inverte le priorità: la proposta prima deve avere consenso della maggioranza dei partiti. Le differenze sembrerebbero confermate dalle parole caute di Guerini a fine incontro: «Ci siamo confrontati sul metodo di lavoro, c’è una comune voglia di lavorare e faremo altri approfondimenti tra noi e anche una verifica sulla disponibilità delle altre forze politiche».
Ma la verità presto sarà chiara: Renzi è determinato a mettere in difficoltà le minoranze che fondano il loro No al referendum sul ’vecchio’ Italicum. Ed è disposto a concedere molto pur di dimostrare che il loro atteggiamento è pregiudiziale e non «nel merito». Tanto dopo il referendum dio vedrà e provvederà. E così i renziani potrebbero essere pronti a accettare molto dei ’paletti’ di Cuperlo. Chiede una «proposta del Pd»? Potrebbe arrivare, magari per titoli. E magari avendo prima «esplorato» alleati e opposizioni. E se M5S, Forza Italia e Sinistra sono indisponibili fino al referendum, «pazienza, ne discuteremo con gli alleati Alfano, Nencini e Dellai», spiega chi lavora all’accordo. Cuperlo chiede che questa nuova proposta sia formalizzata: un documento siglato o meglio approvato da una direzione del Pd. E uno straccio di formalizzazione potrà arrivare, magari un testo depositato alla commissione Affari costituzionali perché Renzi, si sa, ritiene «da matti» trasformare l’Italicum «in un tormentone» in piena campagna referendaria.
Cuperlo chiede infine che entro fine ottobre sia chiara la volontà di Renzi. Ma anche Renzi vuole chiudere la questione entro la kermesse per il Sì del 29 ottobre. Se il segretario riuscirà a convincere Cuperlo, la minoranza bersaniana, ormai impegnata attivamente sul fronte del No, dovrà comunque rifiutare l’accordo. Insomma la possibile figuraccia per la sinistra Pd volteggia già all’orizzonte, per la gioia del segretario. Che ieri ha ripetuto: «L’Italicum strafunziona ma sono disposto a cambiarlo per evitare polemiche». La preoccupazione nelle file bersaniane si fa sentire nelle parole del senatore Fornaro: al di là della buona volontà, «non c’è più tempo. E il dato oggettivo rimane che il 4 dicembre si va a votare con l’Italicum vigente».

Respinto il ricorso di M5S e sinistra Referendum a dicembre senza ritardi Il Tar: non siamo competenti. E tra i No c’è chi applaude Ugo Magri Busiarda 21 10 2016
Non è ancora «game over», ma poco ci manca. Dopo 4 giorni di riflessione che avevano messo in allarme il Palazzo («Come mai questo ritardo?», si domandavano ai piani altissimi), il Tar ha respinto il ricorso congiunto di M5S e SI contro il quesito che troveremo sulla scheda referendaria. L’ha bocciato, però il giudice amministrativo non mette la mano sul fuoco circa la correttezza del quesito. Semplicemente dichiara che non ha titolo per pronunciarsi: spetta solo ed esclusivamente alla Cassazione. Cioè, in pratica, il Tar se ne lava le mani.
Strada in salita
I quattro giorni di suspense sono serviti per redigere 16 pagine di sentenza, dove il succo (o il trucco, dipende) è il seguente: il governo ha qualificato la riforma come «legge costituzionale» e non come «legge di revisione costituzionale». Sembra un cavillo, ma per il Tar cambia tutto perché nel secondo caso (in base alla legge 352 del 1970) il quesito avrebbe dovuto elencare tutti gli articoli modificati, uno per uno. Ma poiché non di revisione si tratta, bensì di legge costituzionale, allora decidere se la sintesi del governo è ok spetta alla Cassazione. Che l’8 agosto scorso ha dato via libera. Noi non abbiamo titolo per intervenire, dicono i magistrati del Tar. Sulla carta non finisce qui. Gli avvocati Bozzi e Palumbo, che avevano presentato il ricorso per M5S e SI, stanno valutando se appellarsi al Consiglio di Stato o alla Cassazione stessa: strada già intrapresa dal Codacons. Inoltre, al tribunale di Milano pende un altro ricorso presentato dal professor Onida, che si discuterà il 27 ottobre. Sarà l’ultima chance.
Il tweet di Matteo
Renzi, in tempo reale, ha rilanciato il commento, tutto soddisfatto, del Comitato del SI: «Ora torniamo a discutere nel merito». Dall’altra parte, invece, le reazioni sono di due tipi. Ci sono quelli che protestano contro il Tar «pilatesco». E poi quanti invece ostentano un atteggiamento zen: «Il popolo sarà sufficientemente saggio da non farsi ingannare», minimizza ad esempio D’Alema. Pure Calderoli, solitamente così combattivo, alza le spalle. E spiega: «L’unico risultato sarebbe stato quello di posticipare la data del voto». Cioè di dare a Renzi più tempo per completare la sua rimonta. Il ricorso, insomma, era un autogol, meglio che sia stato bocciato...
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La sinistra e l’inedita questione sociale dei nostri tempi
di Paolo Favilli il manifesto 21.10.16
E’ naturale che la questione referendaria sia al centro dell’attenzione. Gli esiti influiranno, e non poco, sui modi in cui ci sarà (o meno) «vita a sinistra». Tuttavia una cesura elettorale, per quanto importante, non è né un inizio, né una fine. C’è una storia prima di questa nostra sinistra, ci sarà anche dopo. Quale, in parte, dipende da noi e, in parte, il prima e il dopo si riflettono anche sui modi in cui affrontiamo il referendum.
Non molto tempo fa si è svolta su questo giornale un’interessante discussione sulla «morte della politica» a partire dalle questioni che Alberto Burgio ha argomentato in un articolo (il manifesto, 4 agosto), e poi sviluppato in altri interventi. La discussione ha dimostrato che le capacità analitiche della sinistra non sono morte ma anche le difficoltà di muoversi a partire da un centro argomentativo «radicale». E la sinistra politica «radicale», per lo meno in una sua gran parte, sembra addirittura non riuscire a pensare le «radici» dei problemi economico-sociali che abbiamo di fronte.
Stefano Fassina ha scritto recentemente che Sinistra Italiana è avviata «inerzialmente verso un congresso rituale, senza ragioni fondative adeguate» (il manifesto, 3 settembre). Ebbene, senza ragioni in grado di mettere a fuoco una dimensione analitica diversa rispetto a quella dei partiti establishment, qualsiasi organizzazione politica di sinistra, anche micro, non può che riproporre la consueta ritualità delle manovre di posizionamento dei gruppi dirigenti, la stucchevole misurazione del grado di distanza rispetto al partito cardine dell’establishment: il Pd. Puri e semplici «balletti» come recitava un efficace articolo di Daniela Preziosi.
Balletti che riguardano solo i destini personali di una piccola parte di ceto politico. Indice importante, come sempre, l’uso della terminologia dei ballerini. Uno di questi parla della necessità di non dividere le «anime progressiste». Due termini del tutto indeterminati che messi insieme accentuano il nulla conoscitivo dell’espressione, il suo carattere di «neolingua». A parte il segnale politico, naturalmente: la mossa del balletto, un passo verso future coalizioni «progressiste».
Gli ultimi vent’anni hanno visto coalizioni «progressiste» al governo del paese per circa il 50% del periodo. Gli ultimi vent’anni hanno visto uno spostamento imponente della ricchezza prodotta e di quella accumulata dalla sfera dei salari a quella dei profitti e della rendita. Hanno visto altresì una compressione drastica della sfera dei «diritti», cioè una regressione del processo democratico. Non è che tale tendenza abbia avuto un andamento a zig-zag, con mutamenti di verso durante i governi «progressisti».
Tra «progressisti» e «non progressisti» sulle questioni di fondo riguardanti il rapporto economia-società non ci sono mai state divergenze interpretative. Medesimo, alla radice, il modo di leggere le dinamiche in corso: i fenomeni macroeconomici sono equiparabili ai fenomeni naturali e dunque non ci sono alternative al loro libero svolgimento. Al massimo i governi politici possono esercitarsi sulle diverse tonalità del capitalismo compassionevole.
Di fronte a questa realtà quali sono le «ragioni fondative adeguate» per la nostra sinistra? Abbiamo davanti una gigantesca, e per certi versi inedita, «questione sociale». Affrontare la centralità della «questione sociale» è la nostra ragione fondativa per eccellenza, è il senso stesso del ruolo della nostra storia nella lunga, ed ancora in corso, età contemporanea.
La «questione sociale» dei nostri tempi è inedita, come ho detto, ma nello stesso tempo ha tratti antichi, addirittura ottocenteschi. Polarizzazione e centralizzazione della ricchezza e contemporanea creazione di povertà sono i fenomeni originari, anch’essi in qualche modo fondativi, del modo di produzione capitalistico contemporaneo. Sono i fenomeni che hanno causato le domande fondamentali e un’imponente teoria critica. Solo su queste basi è stato possibile per i subalterni essere protagonisti di quella grande storia dell’emancipazione di cui vogliamo essere eredi.
Oggi la «questione» sociale» si manifesta anche con tratti che in quella storia non sono mai stati presenti. La nostra comprensione di questo nuovo è possibile solo se ragioniamo in termini di fasi di accumulazione di capitale, in particolare se ragioniamo sui caratteri dell’odierna fase di «accumulazione flessibile». Qui stanno le radici analitiche di cui abbiamo bisogno. La loro traduzione in politica è cosa certamente complessa, ma i «balletti» non sono un’alternativa.
Anche il nostro No alla manomissione della Costituzione, in fondo, deve avere le sue radici nei modi pervasivi in cui nel nostro tempo si declina la «questione sociale». 


Il premier convinto che la sinistra non tratterà
di Maria Teresa Meli Corriere 21.10.16
«Non credevo che ci fosse così tanto risentimento. Un concentrato di risentimenti e problemi personali, la politica, il referendum e la riforma non c’entrano»: in questi giorni in cui la minoranza bersaniana ha bombardato Renzi, il premier si è lasciato andare con i collaboratori ad amare riflessioni. Renzi vorrebbe «un Pd compatto», ma ha capito che non è aria: «Ho tolto l’alibi della riforma dell’Italicum, ho compreso che la devo modificare e lo farò, ma quelli niente. Sanno che con un accordo tra di noi il Sì avrebbe una prevalenza ancora più netta ed è per questo che non lo vogliono, piuttosto preferiscono consegnare il Paese ai grillini». Renzi, che ha in animo di far presentare al Pd, prima del 4 dicembre, un documento che fissi le linee della futura riforma, ritiene che sarebbe meglio portare in Parlamento la proposta vera e propria solo dopo il referendum e la sentenza della Corte. Ma dà per scontato che Bersani e i suoi non accetteranno nemmeno questo percorso. Secondo il premier (che tiene invece un confronto aperto con Gianni Cuperlo e altri esponenti della minoranza) questo atteggiamento non giova nemmeno agli stessi bersaniani, perché il tentativo di far saltare quel clima di confronto costruttivo che si voleva creare con l’istituzione di una commissione «non piace alla nostra base e al nostro elettorato». E infatti in periferia la minoranza è spaccata e una parte considerevole è per il Sì. Renzi comunque continua il suo lavoro in vista del referendum e ieri a Bruxelles ha riunito gli eurodeputati del Pd per incitarli a trasformare le loro preferenze in voti per il Sì. A confortarlo, un sondaggio riservato della Swg, secondo il quale la fiducia in lui è passata dal 31 al 33%, quella nel governo è aumentata del 2% e il Pd è salito al 33 mentre i 5 Stelle sono scesi al 26,5%. Sempre secondo questo studio, quattro italiani su 10 apprezzano la legge di Bilancio, il 51% è favorevole all’aumento dei fondi alla Sanità (che piace anche agli elettori di Fi e Lega), mentre solo il 6% ritiene sbagliata la chiusura di Equitalia.
Repubblica 21.10.16

Comitato Italicum il Pd è già diviso
Parte il gruppo di lavoro, 10 giorni per trattare
Tentativo in extremis di trovare un accordo prima del 29, quando i dem andranno in piazza
di Giovanna Casadio


ROMA. Entro la fine del mese va concluso l’accordo, meglio se prima di sabato 29 quando il Pd scenderà in piazza del Popolo a Roma per la mega manifestazione con Renzi su Europa e referendum costituzionale. La commissione dem - quella che ha come missione la modifica dell’Italicum, evitando la rottura nel Pd con la minoranza schierata per il No - si è riunita a Montecitorio e ha deciso di darsi dieci giorni di tempo per trovare un’intesa: o la va o il Pd si spaccherà al referendum.
Due ore di discussione nell’ufficio del capogruppo Ettore Rosato, tra il vice segretario Lorenzo Guerini, Luigi Zanda, Matteo Orfini e il leader della sinistra Gianni Cuperlo. Alla fine Cuperlo dice: «Da parte mia c’è la massima lealtà, purché andiamo avanti in tempi brevi». Il fattore tempo è tutt’altro che irrilevante per la sinistra dem, che potrebbe dare forfait alla manifestazione del 29, confermando il No definitivo al referendum del 4 dicembre.
Strada in salita e reciproci sospetti. Divergenze subito sul metodo, ma anche di merito. Cuperlo, che rappresenta anche la posizione di Speranza e Bersani, chiede un impegno formale del premier se si troverà l’ accordo. «Renzi deve metterci la faccia», insiste la minoranza dem . Non solo.
Il pressing della sinistra punta a incardinare prima del 4 dicembre in una delle commissioni Affari costituzionali - o alla Camera o al Senato - le modifiche dell’Italicum. Ma i renziani pensano piuttosto a un documento politico che valga come patto. «No a impegni generici»: è l’altolà della minoranza. Cuperlo garantisce che non ci sarà una spaccatura della sinistra dem tra la sua corrente e i bersaniani e che ha aggiornato in tempi reali sia Speranza che Bersani. Guerini sostiene che ci si è «confrontati sul metodo, c’è un buon clima e si procede nella verifica con le altre forze politiche», a cominciare da quelle di maggioranza come Ncd. Però la sinistra dem non vuole che la commissione perda tempo in colloqui con gli altri partiti. Conclusione: Guerini li sonderà, intanto si scrivono le ipotesi di modifica su 3 punti: ballottaggio, collegi uninominali, premio di maggioranza. Ciascuna questione apre un capitolo di pro e contro e di veti incrociati in Parlamento. E non c’è da sperare bene. Il forzista Renato Brunetta ha già dichiarato: «Non mi siedo al tavolo con i bari». Rincara Deborah Bergamini: «Se sulla legge elettorale neppure la minoranza del Pd si fida del Pd, non vedo perché dovrebbe fidarsi FI». No di 5Stelle e Sel.

Nuovo Italicum, già in crisi la commissione pd

Ieri la prima riunione, sempre più in salita il cammino per la modifica della legge elettorale Isolato Cuperlo, unico della minoranza presente ai lavori. E Gotor diffonde un testo che conferma il No

di Monica Guerzoni Corriere 21.10.16
ROMA «Se abbiamo salvato il soldato Cuperlo? Gianni è andato via contento...». La battuta, rubata a un dirigente del Partito democratico al termine dei lavori sull’Italicum, dà voce ai sospetti dei bersaniani. E cioè che la mission della commissione voluta da Matteo Renzi sia offrire una scialuppa all’ex presidente del Pd, consentendogli di votare Sì e spaccando la minoranza. Da una parte D’Alema, Bersani e compagni, dall’altra la sinistra dialogante che non vuole bruciarsi i ponti alle spalle.
La commissione presieduta da Lorenzo Guerini si è finalmente riunita ieri per la prima volta, dopo dieci giorni di impasse . Al tavolo il vicesegretario, i capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda, il presidente Matteo Orfini e appunto Gianni Cuperlo, unico rappresentante dell’opposizione interna. Ma se qualcuno al vertice del Pd non fa mistero di voler usare l’Italicum per dividere la minoranza, Cuperlo conferma lealtà a Speranza e Bersani e smentisce con forza di volersi smarcare: «Non c’è nessun accordo già acquisito, nessuna volontà di rompere l’unità della minoranza. Io sono qui per cercare di ridurre le distanze, non esiste la possibilità di dividere la sinistra».
Il problema è che i bersaniani sono già schierati sulla linea del No. Miguel Gotor ha scritto un corposo testo dal titolo «La riforma dei gattopardi. Perché voto No al referendum costituzionale». Dodici pagine fitte in cui il senatore ammette che il suo strappo è motivato anche dal tentativo di Renzi di trasformare la consultazione in un voto di fiducia: «Quel clima di ieri, basato sulla polarizzazione amico/nemico e popolato da “gufi”, “sabotatori”, “professoroni” e “vietcong”, non è stato dimenticato e condiziona la mia scelta di oggi».
Susanna Camusso ha annunciato il suo No. E non sarà certo la commissione a far cambiare idea a Gotor, neanche se il quintetto dovesse sfornare un disegno di legge destinato a essere incardinato in commissione Affari costituzionali prima della manifestazione di Renzi, il 29 ottobre in piazza del Popolo. Questo ha chiesto il leader di SinistraDem, spiegando di non puntare a un «accordicchio» quanto a un «atto politico forte, che tenga dentro tutti». Ed ecco il «lodo Cuperlo». Presentarsi ai partiti entro dieci giorni con una proposta condivisa da tutto il Pd: turno unico, premio di maggioranza ridotto e collegi uninominali. È una legge nuova di zecca, eppure al Nazareno sono convinti che un accordo si troverà e che alla fine Cuperlo voterà Sì.
«Per noi non cambia nulla, non mi aspetto miracoli dalla commissione», chiude il bersaniano Davide Zoggia. Guerini invece confida nella riuscita dell’impresa. Ma, per non produrre un testo che verrebbe bruciato dalle opposizioni, il vicesegretario porterà parallelamente (e informalmente) avanti il dialogo con le altre forze politiche. Nella prima riunione Guerini ha trovato «un buon clima». Più arduo sarà dialogare con Renato Brunetta, che non vuole «sedersi con i bari». 

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