sabato 8 ottobre 2016

La violenza nella prospettiva del femminismo differenzialista

La violenza secondo Diotima 
Incontri. Oggi si apre a Verona il Grande Seminario della comunità filosofica femminile di Diotima 
Alessandra Pigliaru Manifesto 7.10.2016, 10:46 
«La violenza, infine, come ho già, detto, si distingue per il suo carattere strumentale. Fenomenologicamente, è vicina alla forza individuale, dato che gli strumenti di violenza, come tutti gli altri strumenti, sono creati e usati allo scopo di moltiplicare la forza naturale finché, nell’ultimo stadio del loro sviluppo, possono prendere il suo posto». Era il 1970 quando Hannah Arendt in quel mirabile saggio titolato On violence, tradotto in Italia l’anno seguente, definiva e distingueva la violenza dal potere, dalla forza e dall’autorità. Ciò nonostante, potere e violenza sono comunemente associati e infatti, seppure le adeguate distinzioni vorrebbero delineare accezioni diverse, la violenza può assumere, tangere e incistarsi in altri lemmi tratti, come le circostanze a essi legate, dal «mondo reale». Anche il discorso di Arendt fa parte della bibliografia consigliata per il Grande Seminario di Diotima che si inaugura oggi a Verona e che quest’anno è dedicato a un tema tanto attuale quanto spinoso: la violenza, appunto. Basta leggere i titoli dei singoli interventi per comprendere che non si tratterà di soffermarsi su una particolare forma di violenza bensì la si declinerà, allargherà nel suo tratto di dismisura rintracciabile nel mondo. Violenza allora è dismisura nella mancanza o nell’asfissia delle mediazioni. Non si può sapere, così si legge nel documento di apertura del seminario, se sia stata qui dall’inizio, «quello che possiamo fare è vedere il suo dispiegarsi negli eventi di cui siamo partecipi, osservare quando e come attraversa il mondo che viviamo e le nostre anime. Possiamo constatare che accade quando le mediazioni vengono meno. Le guerre, ad esempio, si scatenano quando non c’è più spazio di contrattazione tra le parti. Oggi le guerre diffuse, di cui fanno parte anche la maggior parte degli attentati, mostrano che lo spazio di contrattazione si è ridotto a quasi nulla. Molti uomini muoiono. Le donne subiscono la violenza della guerra due volte, per le armi e per la violenza maschile in guerra, contro i loro corpi». Osservare non significa certo rimanere separate, al sicuro: «sappiamo parlare di violenza solo se ne parliamo da un luogo dove abbiamo esperienza di relazioni di fiducia e di una lingua che apre spazi di vivibilità, che ci sostengono nell’accogliere il fatto doloroso che la violenza c’è e ci tocca. Quando ne siamo completamente coinvolte, rimaniamo nel mutismo. Non c’è sguardo, racconto. Non c’è storia». E molte saranno le narrazioni che stanno accanto a quel termine senza articolo che lo sorregge, «Violenza» riecheggia quella originaria, ontologica e simbolica che ha costruito paradigmi paradigmi e statuti, sociali oltre che politici. Attiene all’inganno di quel patto sociale, per esempio, di cui parlava già negli anni Ottanta Carole Pateman – anch’essa non a caso in bibliografia. Violenza, oltre alla morte e alla distruzione, prevede perdita e lutto che non si riconosce al vivente. Il richiamo a Judith Butler è più che dovuto, non solo nel tratto che emerge dal suo Precarious life ma anche per quanto riguarda la violenza etica, o quella linguistica attraverso lo studio delle «parole che provocano». 
Nello scenario così descritto, sono le donne ad avere «un udito fine nei confronti della violenza dell’anima propria e altrui e sanno della violenza maschile latente, potenziale sul loro corpo». In tempi come quelli attuali sembra possibile confrontarsi sulla violenza maschile contro le donne lambendo i funesti fatti di cronaca che ci circondano. Eppure quella «competenza» femminile sulla violenza arriva da molto lontano, è una lotta costante contro quella latenza, contro un dissesto che prende le forme del risarcimento e più propriamente dell’annientamento che è al centro della vita di molte donne. La riflessione politica della comunità di Diotima è allora importante, soprattutto adesso, per inserire nella discussione pubblica intorno alla violenza ulteriori parole pensanti. 

Il primo appuntamento è oggi all’Università di Verona, alle 17, 20 per poi continuare con il calendario fino al 4 novembre, sempre con lo stesso orario e in aula T1. 
Venerdì 7 ottobre: Luisa Muraro – Il cielo è dei violenti 
Venerdi 14 ottobre: Manuela Asencor Alonso – Percezioni e significati di violenza 
Venerdì 21 ottobre: Giannina Longobardi – Il gioco è finito 
Venerdì 28 ottobre: Annarosa Buttarelli – Un uomo buono è difficile da trovare (Flannery O’Connor) 
Venerdì 4 novembre: Rosanna Cima – La vita è come un uovo

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