martedì 11 ottobre 2016

Michael Walzer e gli altri intellettuali di corte dei Clinton

Risultati immagini per michael walzerIl filosofo Michael Walzer: parte del Paese potrebbe non accettare la legittimità del voto
“Hillary è destinata a vincere ma la rabbia lascerà il segno”
intervista di Anna Lombardi Repubblica 11.10.16
Michael Walzer, 81 anni, è professore emerito all’università di Princeton.
Ha scritto numerosi saggi di Teoria e di Etica Politica È condirettore della rivista liberal “Dissident”
«FOSSI stato in lei a un certo punto avrei perso la pazienza e detto “Sono io il tuo avversario: non mio marito”. Ma Hillary è stata brava a mantenere equilibrato lo scontro». Il filosofo Michael Walzer, professore emerito di Princeton, 81 anni, autore di decine di saggi di teoria politica nonché condirettore di Dissent, la più famosa rivista politico-culturale della sinistra liberal americana, inizialmente sospira: «Dobbiamo proprio parlare del dibattito? ». Poi però si lascia andare: «La compostezza di Hillary e la sua coerenza le hanno senza dubbio fatto vincere il match, anche se non credo che il duello abbia spostato molti voti. Le bugie, le esagerazioni di Trump erano così tante che lei non poteva rispondere su tutto. Ha lasciato passare alcune delle esagerazioni a cui i sostenitori di Trump possono credere e così non ha certo sottratto consensi all’avversario. Anzi, la base repubblicana ha certo apprezzato la performance del tycoon».
Un dibattito velenoso. Quanto rispecchia l’atmosfera del Paese e quanto ne aggraverà la divisione?
«Il tipo di campagna condotta da Trump ha abbassato notevolmente il livello di discussione politica del Paese. E Hillary ha dovuto adeguarsi. Oggi più che mai penso che lei vincerà le elezioni. Forse i democratici strapperanno anche il Senato, che è molto importante per la questione dei giudici della Corte Costituzionale. Ma il passaggio di Trump lascerà il segno. Molti americani sono ormai rabbiosi, pieni di odio. Non sarà facile raddrizzare la situazione».
Cosa teme?
«Più ampio sarà il margine di una eventuale vittoria e meno si parlerà di brogli. Ma la questione è un’altra. Quando Bush ebbe la meglio su Gore, molti pensarono che non fosse una vittoria legale: ma accettarono comunque la legittimità della presidenza di George W. Ora temo che una parte di America potrebbe non fare la stessa cosa, rifiutando di legittimare Hillary. E questo è pericoloso: potrebbe aprire la strada a un più efficace demagogo, che non abbia il passato burrascoso di The Donald, capace di avere nuovo appeal su questa gente usandone la rabbia».
Trump ha parlato di mandare in galera la sua avversaria...
«Espressioni come queste non dovrebbero essere accettate in democrazia. È una cosa che non ha precedenti. A questo punto perfino la Southern strategy di Nixon, che andava nelle regioni del Sud a cercare i voti dei razzisti bianchi sembra più civile. Lei avrebbe dovuto rispondergli provocatoriamente “è meglio se mi fai ammazzare” mettendo a nudo l’odio nel discorso politico di Trump».
Quella del carcere è una minaccia che Trump potrebbe mettere in pratica?
«No, l’America smetterebbe immediatamente di essere un Paese democratico. L’esempio migliore lo ha dato Barack Obama: quando vinse, qualcuno a sinistra voleva che processasse Cheney e Rumsfeld per le torture. Lui rifiutò, fermo: anche se c’è terreno per un processo, non si può infierire sugli avversari, disse. È la loro sconfitta politica la risposta più appropriata. E il motivo è semplice: se perdere le elezioni diventa un rischio, qualcuno finirà per giocare sporco pur di non perderle mai».
Anche Hillary ha i suoi punti deboli: quella frase svelata da WikiLeaks dove dice che un politico può avere una posizione pubblica e una privata...
«Questo è vero per molti politici e fu senz’altro vero per Abraham Lincoln, che lei citava. Certo, se hai due diverse posizioni, è meglio se tieni la privata per te».
Pensa che Hillary si libererà mai di certi errori fatti in passato? Qual è il più grave, secondo lei?
«È stata troppo vicina a Wall Street. Ora ha una posizione politica pubblica molto più a sinistra, simile a quelle da cui è partita, quelle che aveva da giovane. Spero sia sincera. Sarebbe un bell’atto di coerenza».
Come sarà il prossimo dibattito?
«Trump continuerà a usare contro Hillary qualunque cosa. Non sarà un bello spettacolo e lei dovrà trovare un modo efficace di reagire. Parlando di argomenti concreti: assistenza sanitaria, scuola, disoccupazione. Lui non si darà per vinto fino all’ultimo. Ma non se la caverà: il fatto che molti repubblicani si siano defilati ancor prima del dibattito la dice lunga».

Mio figlio non voterà Hillary
I ragazzi sono stati il cuore della campagna di Sanders, ma ora non scelgono Clinton: nonostante Trump. Lo spiega un famoso giornalista Lettera a a tutti i giovani che non voteranno Hillary di Siegmund Ginzberg Repubblica 12.10.16
MIO figlio non voterà per Hillary Clinton. Sono sorpreso. È registrato come elettore democratico. In America gli elettori registrano la propria scelta di campo, a prescindere da per chi voteranno. Lui ha sempre votato per i democratici. Nelle ultime due presidenziali per Obama. Alle primarie si era pronunciato per Bernie Sanders. Sanders a conclusione della convention di Philadelfia aveva calorosamente appoggiato la candidatura Clinton: «Non possiamo far vincere Trump». Ma evidentemente anche in America non bastano più le indicazioni di voto per convincere gli elettori. Ma come, tu che non voteresti mai per Trump, non voti per Hillary a rischio di far vincere Trump?
“NO non rischio: a New York Trump comunque non vince (in ogni Stato tutti i “grandi elettori” vanno a chi ha avuto più voti, e lo Stato di New York è tra quelli sicuri).
Per chi voti allora? Per il candidato verde, o per quello libertarian. Insomma, il voto lo butti via pur di non darlo a Hillary? Ti sta così antipatica? Risposta: Trump presidente sarebbe terribile per l’America. Ma Hillary potrebbe essere terribile per il mondo. Lei certo non è Trump, ma non è nemmeno Obama. Obama ha perso consensi perché cercava soluzioni negoziate con tutti e ogni conflitto, e ha finito per ritrovarsi di fronte l’Isis. Non c’è invece situazione di crisi che la Clinton non abbia esacerbato con la sua teoria dell’uso calcolato della potenza militare americana: la Libia, la Siria, l’Ucraina… Fu una dei suoi vice, Victoria Nuland, a farsi intercettare con quel: « Fuck Europe! ».
Non sarà questa la motivazione per cui altri non voteranno Clinton. E non è detto che quelli che non voteranno Clinton voteranno Trump.
Ma se, per un motivo o un altro, non la votano i democratici che lei non ha convinto, non la votano i giovani, non la votano quelli di sinistra, non la votano i liberal puri e duri, non la votano i neri, non la votano gli ispanici, non la votano gli operai, non la vota l’America profonda e arrabbiata, allora Hillary ha un problema. Comunque siano andati i dibattiti. Qualunque cosa dicano i sondaggi, già non entusiasmanti e ancora troppo ravvicinati e altalenanti negli Stati in bilico, quelli che finiranno per decidere il risultato.
Mio figlio è stato concepito in Cina, ma è nato a New York. Sotto Ronald Reagan. Quindi è cittadino americano. Non solo vota, ma a rigore potrebbe anche essere eletto presidente degli Stati uniti. A tempo debito, si è regolarmente registrato per il draft, il sorteggio per il servizio militare. L’ultima volta che gli Stati uniti hanno fatto ricorso al reclutamento obbligatorio era stato durante la guerra in Vietnam. Nelle guerre da quella in poi i soldati sono solo volontari, professionisti. Ma non si può mai sapere: le liste sono sempre aggiornate. Ogni anno, come d’obbligo per tutti i cittadini americani, compila le dichiarazioni dei redditi e l’elenco di tutti i suoi conti e attività finanziarie in tutto il mondo, anche se aveva lasciato gli Stati Uniti quando aveva 6 anni e non ci ha più vissuto.
Da molti anni vive a Londra, dove fa il matematico. Avrebbe sicuramente votato contro la Brexit. Alle ultime elezioni per il sindaco (cui partecipano i residenti, anche se non cittadini britannici) ha votato il pakistano Sadiq Khan. Se votasse alle politiche sarebbe capace di votare il laburista “di sinistra” Corbyn.
Mi chiederete: come faccio a sapere come voterà alle presidenziali Usa? Lui vota per corrispondenza. I voti dall’estero devono arrivare ben prima dell’8 novembre, saranno gli ultimi ad essere scrutinati. L’absentee ballot gli arriva al suo indirizzo italiano, che è il più stabile, quelli londinesi sono cambiati di continuo. Per comodità, anziché mandargli la scheda a Londra, col rischio che vada persa, glie la spedisco io direttamente a New York. Lui, che pure è uno ligissimo alle regole, tutte le regole, si fida.
Forse non dovrebbe. Non ho avuto il coraggio di dirgli che l’ultima scheda, quella per le primarie democratiche, in cui avevo come da indicazione annerito il circolino accanto al nome del rappresentante di Sanders, è tornata indietro annullata. Mi ero dimenticato di firmare la busta contenente la scheda. Sarà stato un lapsus.
Gli avevo obiettato: guarda che lì un socialista non riuscirà mai a farsi eleggere. O sarà perché non riesco ad abituarmi all’idea che una scheda per una voto che dovrebbe essere segreto vada firmata.
Mio figlio sa che non mi permetterei mai di votare diversamente dalla sua indicazione. Anche se fosse un voto che rischia di far vincere Trump. La scheda l’ho ricevuta da tempo. Non l’ho ancora compilata e spedita. Nella speranza che qualcosa gli facesse cambiare idea. Che so, che la repulsione per Trump gli facesse digerire la Clinton. Ora si avvicinano i tempi massimi per il voto dall’estero, bisogna che imbusti il ballot e lo spedisca.
Mio figlio è anche italiano, quindi vota anche Italia. Ha sempre votato a sinistra, per qualche tempo è stato persino iscritto alla sezione londinese del Partito democratico («Una sera al pub, forse ero un po’ ubriaco»). Non so ancora cosa voterà al referendum costituzionale. Conoscendolo, penso che non deciderà prima di aver letto e valutato ogni posizione e ogni virgola. Se vi incuriosisce posso chiederglielo. Ma non so se risponderà. Se non a ridosso del voto.
È uno fatto così, un po’ strano come lo sono talvolta i matematici. Ragiona per algoritmi. La prima volta che ha letto questo giornale – era ancora ragazzo, di ritorno per una breve vacanza in Italia – lo ha letto dalla prima all’ultima riga, pubblicità compresa.

Michael Sandel «In Europa c’è il populismo Noi abbiamo la misoginia»
Il filosofo: «I progressi fatti sono il nemico da combattere»
di Serena Danna Corriere 14.10.16
Quando si tratta di riconoscere il confine tra giusto e sbagliato, il filosofo Michael Sandel è un nome di riferimento dagli Stati Uniti — dove insegna all’Università di Harvard — fino alla Cina, Paese che nel 2010 l’ha nominato «personaggio straniero più influente dell’anno». Il pensatore americano, definito dal Financial Times «una rockstar dell’etica», si configura dunque come faro ideale per addentrarsi nella controversa morale del «trumpismo».
Nonostante le ultime rivelazioni sembrino confermare un comportamento spesso misogino e sessista da parte di Trump, i maschi americani continuano a stare con lui. Perché?
«Innanzitutto bisogna chiedersi come mai, al netto degli scandali, quasi il 40% della popolazione americana resti dalla sua parte. La risposta sta nei maschi bianchi della “working class”, che vedono in Trump l’unica speranza per riguadagnare il ruolo perso nella società americana. Le ragioni non sono solo economiche ma anche culturali: quegli uomini che hanno perso il lavoro a causa della globalizzazione, dell’outsourcing e del declino dell’industria, sono pieni di risentimento verso le “minoranze” — gli immigrati, gli afroamericani e anche le donne — ritenute responsabili di aver progressivamente guadagnato status economico e culturale a loro discapito».
Perché le donne?
«Sebbene l’America abbia spesso corso più velocemente dell’Europa sul piano del progresso civile, stiamo assistendo a un contraccolpo da parte della popolazione maschile: una reazione al trend di crescita di eguaglianza di genere. Il rifiuto urlato della globalizzazione, che in Europa si esprime soprattutto con il ritorno del nazionalismo, qui trova nella misoginia un nuovo terreno. I progressi fatti dalle donne negli ultimi decenni sono per molti un nemico da combattere».
Crede che la presenza di Clinton, prima donna candidata alla presidenza, aumenti il risentimento ?
«Sicuramente lo intensifica ma credo che il fenomeno sarebbe venuto fuori anche con un uomo. È una situazione simile a quella che abbiamo vissuto con gli afroamericani dopo l’elezione di Barack Obama, che ha generato un inasprimento delle relazioni razziali negli Stati Uniti».
Per quanto riguarda gli afroamericani, alcuni studiosi, tra cui Michelle Alexander, sostengono che le vittorie sul piano dei diritti civili abbiano portato a un nuovo livello la discriminazione razziale.
«È così, e qualcosa di simile sta succedendo con le donne. Sono stati raggiunti importanti obiettivi sul versante legale e dei diritti civili ma adesso bisogna compiere un passo più lungo, perché si tratta di raggiungere il pieno riconoscimento sociale e la piena eguaglianza economica. Ci sono forze che remano in direzione contraria e hanno trovato in Trump un simbolo».
Che ruolo possono svolgere gli «altri» uomini? Quelli, tanti, che non si sentono minacciati dalle conquiste delle donne?
«La terribile misoginia rappresentata e veicolata da Donald Trump ha colto di sorpresa molti cittadini, forse per questo non abbiamo ancora visto una reazione vera, organizzata, che veda mobilitati uomini e donne insieme».
Il fatto che sia una specie di choc potrebbe scuoterli?

«Dipende da come risponderemo allo choc, se chiamerà a sé un atteggiamento di costruzione sociale oppure no. Le conseguenze profonde che questa terribile campagna porterà nel tessuto del Paese sono ancora un’incognita».

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