lunedì 17 ottobre 2016

Odifreddi ha una elevata opinione di se stesso ma anche a tal proposito Ferraris non scherza













Il catalogo della stupidità secondo Odifreddi 

Il matematico scrive un dizionario polemico in 277 voci Tra i bersagli: religione, idealismo, Sanremo e politicamente corretto
MARINO NIOLA Rep 16 10 2016
«Due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana », diceva Einstein, «ma sull’universo ho ancora dei dubbi». E, se l’accostamento non suona irriverente, non aveva dubbi nemmeno Frank Zappa che considerava la stupidità la «vera sostanza costitutiva dell’universo». Una materia gassosa, insidiosa e perniciosa che può manifestarsi anche nell’individuo più sano di mente. Ovviamente a sua insaputa. Perché «nessuno domina completamente la stupidità, propria e altrui». Ed è maledettamente più facile riconoscerla negli altri che in noi. A dirlo è Piergiorgio Odifreddi che, a questa sorta di seconda natura dell’umano, dedica un libro graffiante e divertente, appena uscito da Rizzoli. Un Dizionario della stupidità, in 277 voci, da Abitudini a Zichichi, passando per Abramo che all’autore appare fortemente sospetto di stupidità se non altro perché le Religioni degli Ebrei e degli Arabi lo considerano il proprio progenitore.
Questa bordata di avvertimento è sufficiente a dar l’idea del mood irriverente. Ricco di paradossi, nonsense, trappole sillogistiche, calembour voltairiani. Insomma spiazzanti “odifreddure”. Che non risparmiano nessuna espressione della stupidità, tantomeno quella che, come diceva Sciascia e prima di lui Musil, si maschera da intelligenza. Religioni, Superstizioni e Credenze, in primis, e poi tutti i loro corollari. L’Anima, la Metafisica, le Apparizioni, gli Oroscopi, gli Extraterrestri, il Paranormale, i Miracoli, la Numerologia. E la Teologia, definita, sulla scia di Borges, «un ramo della letteratura fantastica».
Ma anche il Politicamente corretto, che è un bersaglio mobile di questo testo. Anche perché si annida nei luoghi più impensati. Nelle Quote rosa, cui Odifreddi dedica una voce esilarante, come nell’Arte moderna, divisa tra «cretini pieni di idee» e «cretini pieni di soldi». Ma anche nell’Università, dove la stupidità si è eretta a sistema con il meccanismo dei crediti, «effetto delle stupide riforme degli anni ‘90». E soprattutto in quelle che l’autore definisce Scienziaggini. Che i ciarlatani di cui pullula il web eruttano senza sosta. Dalla demonizzazione dei Vaccini alla lettura del pensiero, dalla comunicazione con gli Spiriti a Scientology. Che Odifreddi mette sullo stesso piano della Psicanalisi e della Religione. Non ne esce indenne nemmeno Papa Francesco che dissimulerebbe con astuzia gesuitica un oscurantismo di fondo. Ma se la Metafisica piange, la filosofia non ride. Il rasoio del matematico, affilato almeno quanto quello di Ockham, fa a fettine l’idealismo di Platone, definito uno stupido quando scrive il Parmenide, poi rinsavito per strada, come rivela il Sofista.
Il contrario di Pascal, intelligentissimo a 16 anni, quando dimostra teoremi meravigliosi e instupidito a 31, quando invoca il Dio di Giacobbe contro quello dei sapienti. E con lui Tolstoj, che dalla vertiginosa lucidità di Guerra e pace piomba in una vuota ricerca spirituale e sforzandosi di diventare un santone finisce per diventare semplicemente un matto. Ma ce n’è anche per Croce e Gentile, rei di stupidità idealista e di sottovalutazione della scienza, che sarebbero all’origine dell’analfabetismo scientifico che ancora affligge il nostro paese. E se scudisciate di questa portata si abbattono sui totem della nostra cultura, si possono immaginare le sferzate che piombano su rituali nazionalpopolari come Sanremo, dove «le scemenze sono di casa sin dalla prima edizione, quando ancora la televisione non c’era ». Insomma, Odifreddi ha una parola buona per tutti.

Fenomenologia e prassi dell’essere imbecilli 
STEFANO BARTEZZAGHI Rep 23 10 2016
Non stupirebbe sapere di una libreria che dedichi una sezione monografica al campo «stupidità, imbecillità, idiozia e fessaggine». Per limitarsi all’Italia, recentissimo è un dizionario della stupidità di Piergiorgio Odifreddi; qualche anno fa Gianfranco Marrone aveva integrato e aggiornato un suo importante saggio sulla stupidità; l’antropologa italofrancese Lynda Dematteo ha esplorato presenza e ruolo dell’«idiota in politica»; l’ultima polemica suscitata da Umberto Eco ha riguardato gli «imbecilli dei social media ». Tutti infine conoscono il fortunato saggio sulle leggi universali della stupidità dell’economista Carlo Maria Cipolla. Quasi trent’anni dopo, lo stesso successo di quest’ultimo se lo augura il filosofo Maurizio Ferraris che nella stessa spiritosa collana ora pubblica L’imbecillità è una cosa seria (il Mulino, pagg. 130, euro 12).
A patto di dichiararsi preliminarmente parte in causa (mossa obbligatoria e sperabilmente sincera), scrivere un libro su questa area della condizione umana (e sui suoi confini così poco precisabili) consente piaceri variegati: ricordare aneddoti e citazioni di sicuro effetto umoristico, dileggiare avversari disciplinari e anche totem culturali (qui, per esempio, Rousseau, Baudelaire, Heidegger, Lacan, Nietzsche...), coniare strumenti analitici, come qui il «colpo d’imbecillità» (versione rovesciata, e assai più diffusa, del «colpo di genio ») restando dentro a quel tono di semiserio che è il più opportuno, nella comunicazione contemporanea.
Ferraris non si nega nessuno di questi piaceri, essendo lui del resto un virtuoso del genere del trattatello ironico. Ma se esempi e digressioni rispondono a una volontà di intrattenimento (della quale il lettore non potrà che essergli grato), il libro non manca di avere una tesi di fondo, e anche molto forte. A differenza di alcuni suoi predecessori, non procede per tipologie, dell’imbecillità non cerca psicogenesi e sociogenesi. La definisce come «indifferenza ai valori cognitivi», la prende come un dato di realtà e la pone alla radice dell’esistenza umana. È da imbecilli, e pazienza per Rousseau, pensare che l’uomo sia nato libero. In realtà l’uomo è nato imbecille e le armi con cui cerca di affrancarsi dall’imbecillità (cultura e senso del ridicolo) sono di per sé stesse insufficienti, né proteggeranno mai nessuno da occasionali, e magari esiziali, colpi di imbecillità. «La frase di Margaret Thatcher, “la società non esiste, esistono solo gli individui e le famiglie» va completata con “e molti di questi individui sono imbecilli”». Per Ferraris l’imbecillità è una causa prima: «Siamo indubbiamente cattivi, non per difetto di cultura o per eccesso di natura, ma per semplice imbecillità». Il libro è divertente; quello a cui fa pensare lo è meno.
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La prevalenza dell’imbecille Un tipo umano che va sempre forte in libreria sul quale si interrogano in due saggi Ferraris e Odifreddi Scoprendo che a volte può anche essere avvantaggiato Mario Baudino  Busiarda 21 11 2016
Qualcuno ricorda le polemiche che si scatenarono nel ‘94, quando Dario Fo coniò il termine «imbecilgente» per gli italiani che avevano votato in massa Berlusconi? Ebbene, quel lontano putiferio non è stato un episodio isolato, né ha perso d’attualità. L’imbecille, o il cretino, o lo stupido, o l’idiota (l’area semantica è vasta ma abbastanza coerente) sfida da secoli l’orgoglio della ragione, e va da sé anche i nostri sentimenti più profondi. Smettere di discuterne pare impossibile, e a ondate si ricomincia ogni volta da zero. Perché, come dice il titolo di un pamphlet filosofico di Maurizio Ferraris (appena uscito per il Mulino) L’imbecillità è una cosa seria. Ovvero da prendere in seria considerazione, anche se a farlo si rischia di finire in un labirinto senza uscita.
Ci ha provato qualche settimana fa anche Piergiorgio Odifreddi con il suo Dizionario della stupidità (Rizzoli) che ordina una lunga serie di voci, da Matteo Renzi a Beppe Grillo, senza risparmiare le religioni, gli usi e costumi più diffusi, la politica e la cultura. Con l’ovvia premessa che se gli stupidi sono sempre gli altri (tutti gli altri, in certi casi) non possiamo certo giurare sulla nostra solitaria intelligenza. Probabilmente siamo stupidi anche noi.
Anche Rousseau...
Il problema vero, aggiunge Ferraris nel suo libro, è però quello di come rendersene finalmente conto. E anche di definire l’imbecillità. Indifferenza ai valori cognitivi può essere una buona approssimazione, basti pensare alle testarde convinzioni di chi, poniamo, teme le scie di vapore acqueo degli aerei o peggio ha orrore dei vaccini, sordo a ogni dimostrazione scientifica, o magari continua a essere convinto in buona fede che gli americani non sono sbarcati sulla Luna, ma hanno girato un film in qualche deserto remoto. Però anche sui valori cognitivi si può discutere a lungo. Troveremo sempre un premio Nobel che al di fuori del suo campo di indagine ha idee piuttosto bislacche, come Madame Curie o il filosofo Henri Bergson, affascinati da una medium e dai fantasmi che ripetutamente evocava.
Odifreddi fa una ricerca «fenomenologica», secondo la sua definizione, insomma pragmatica. Gli si può rimproverare di definire cretino tutto quanto non gli va a genio, ma fa parte del gioco. Ferraris si interroga sui principi e sugli scivoloni dei filosofi, cominciando da Nietzsche. E se sono imbecilli i filosofi (ce n’è anche per Rousseau, e come dargli torto) figuriamoci l’imbecilgente.
La conclusione? Rassegnarsi ai propri «lampi d’imbecillità» e trasformarli in una sorta di cura omeopatica. In fondo anche Cartesio si interrogava se il suo ragionare non gli fosse suggerito da un demone dispettoso. Per non parlare dei Vangeli: che cosa si intende esattamente quando si dichiarano «beati i poveri di spirito»? Lasciamo la risposta a biblisti e filologi e rivolgiamoci, come fa doverosamente Ferraris, al porto sicuro del latino: dove troviamo l’etimologia di imbecille nel termine inbaculus, ovvero senza bastone, quindi debole, fiacco, privo di un punto d’appoggio. In altri parole, indifeso, anche se la stupidità è più spesso torva e trionfante - poi va da sé ci sono quelli che si fanno semplicemente fregare dai vari Madoff globali.
Bouvard e Pécuchet
Alla stupidità Fruttero & Lucentini dedicarono - correvano gli Anni Ottanta - la monumentale trilogia sulla Prevalenza del cretino, composta di articoli scritti proprio per La Stampa sulle orme degli immarcescibili Bouvard e Pécuchet di flaubertiana memoria, e l’impressione a fine lettura è di trovarsi, pur avendo molto sorriso, di fronte a cavalieri dell’Apocalisse. Riesce di conseguenza difficile non considerare al fondo riduttiva, prigioniera di un ottimismo liberale, la classica definizione di Carlo M. Cipolla nel suo Allegro ma non troppo, contenente il celebre Saggio sulle leggi fondamentali della stupidità umana, scritto nel ’76 un po’ per scherzo, diventato un successo una decina d’anni dopo. Stupido, formalizzò lo storico dell’economia, è chi causa un danno agli altri senza averne alcun vantaggio, o addirittura nuocendo anche a sé stesso.
Sicuri? Non mancano prove del contrario, di «stupidi» cioè che se la sono cavata assai bene provocando danni d’ogni genere, o viceversa di stupidi provvidenziali non solo come il principe Myškin, L’idiota di Dostoevskij, ma anche più terra-terra nella dura realtà storica. Quanto a Ferraris si spinge anche oltre, per chiedersi, domanda cruciale, «che cosa possa indurre un essere umano a scrivere un libro sull’imbecillità». Dev’essere una forza irresistibile, perché i libri sono infiniti, dall’Elogio dell’imbecille di Pino Aprile (Piemme, 2010) al celebre Internet ci rende stupidi? di Nicholas Carr (Cortina, 2011) dove però c’è un bel punto interrogativo. Per non parlare di Umberto Eco (e infatti Ferraris ne parla, oltre a segnalarci un’immensa bibliografia sul tema): è tornato sull’argomento molte volte, e un interessante riassunto del suo punto di vista è in Non sperate di liberarvi dei libri (Bompiani, 2009) scritto in dialogo con Emmanuel Carrère. 
Grandi illuminazioni
Il semiologo distingue in modo sottile tra l’imbecille, il cretino e lo stupido. Il cretino è per lui un poveraccio che non capisce quel che gli si dice e magari sbaglia mira con il cucchiaio, portandolo alla fronte e non alla bocca. L’imbecille soffre di un deficit sociale, per esempio è vittima di gaffe, dice quel che non dovrebbe dire. Lo stupido invece è veramente pericoloso, perché il suo è un deficit logico. Ragiona male. È tutto molto chiaro e distinto, ma anche il Grande Umberto potrebbe essere rimproverato di un eccessivo ottimismo della ragione. Ha elencato tre mali in fondo non incurabili, anche se nessuno è mai riuscito a curarli.
La domanda vera diventa allora non tanto come riconoscere l’imbecillità, ma che cosa farne. La risposta di Ferraris potrebbe suonare provocatoria: «Non c’è grandezza umana che non sia travagliata dall’imbecillità» e anzi «le più grandi illuminazioni vengono proprio da lì», ossia dalla presa di coscienza della propria inadeguatezza, dell’essere in- baculus. Il che non sarà incoraggiante - soprattutto di questi tempi - ma rappresenta un’alternativa alla celebre battuta di Arthur Bloch, quello della «Legge di Murphy»: «Non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza».

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