giovedì 20 ottobre 2016

Piketty sui bilanci UE

Risultati immagini per pikettyPerché riformare i criteri di bilancio europei
di Thomas Piketty Repubblica 20.10.16
AVOLTE ci si chiede il perché del malumore dei francesi. La risposta è semplice: in conseguenza degli errori dei loro governi, i Paesi dell’Eurozona stanno attraversando il più lungo periodo di stagnazione dalla fine della seconda guerra mondiale. Nel 2017 l’attività economica della regione riuscirà a gran fatica a tornare ai livelli del 2007, con enormi disparità regionali e sociali e un’esplosione della sottoccupazione tra i giovani e le fasce più modeste della popolazione. Nello stesso periodo il resto del mondo ha continuato a crescere: la Cina ovviamente, ma anche gli Stati Uniti, all’origine della crisi del 2008, che però hanno dato prova di maggior flessibilità di bilancio per rilanciare la loro economia. In Francia il tasso di disoccupazione, che fino al 2007 era appena del 7% della popolazione attiva, ha raggiunto nel 2016 il 10%, con un aumento di quasi il 50%. E contrariamente a quanto ancora si sente dire troppo spesso negli ambienti dirigenziali di Parigi, Bruxelles o Berlino, quest’impennata non ha nulla a che vedere con un mercato del lavoro divenuto improvvisamente meno flessibile, e neppure con l’insufficiente liberalizzazione delle autolinee.
Non dirò che le discussioni (spesso davvero male impostate) sulle famose riforme strutturali per introdurre più flessibilità e competitività siano tutte da cestinare. Penso però che quei risultati si otterrebbero più facilmente se si incominciasse col riconoscere che l’esplosione della disoccupazione nel 2008 va ascritta soprattutto alle politiche d’austerità. O più precisamente, al tentativo di ridurre troppo rapidamente i deficit di bilancio, che negli anni 2011-2013 ha provocato un crollo di attività da cui l’Eurozona si sta riprendendo a fatica. I fatti, per chi li esamini serenamente, sono incontestabili. È ora che gli esponenti politici di destra e di sinistra, in Francia e in Germania, già partecipi di queste decisioni, convergano su una diagnosi comune, ma soprattutto accettino di trarne insegnamenti per il futuro.
Da questo punto di vista, il fatto che i candidati alle primarie della destra — che designeranno il probabile vincitore delle elezioni presidenziali e legislative della primavera 2017 — non mostrino di avere troppa fretta di ridurre il deficit potrebbe essere una buona notizia. Ma a due condizioni. Innanzitutto, i risicati margini di bilancio così ottenuti dovrebbero servire a difendere i più vulnerabili e ad investire nel futuro, piuttosto che a finanziare regali ai più facoltosi (soppressione dell’imposta patrimoniale, tagli massicci alle imposte sulle successioni milionarie e sugli alti redditi). Scegliendo di ignorare le fasce più modeste e di favorire i ricchi, i candidati di destra stanno sbagliando epoca. E si preparano a spianare la strada al Front National, che avrà buon gioco per erigersi a difensore della Francia a basso reddito sul piano fiscale, rivendicando al tempo stesso il primato sul fronte identitario e xenofobo.
Per quanto riguarda l’abbassamento dei prelievi, la priorità dovrebbe andare a un alleggerimento della taxe foncière (imposta immobiliare, ndt) per chi vorrebbe accedere alla proprietà, e alla riduzione strutturale dei contributi che gravano sul lavoro, in luogo del Cice ( Crédit d’impôt pour la compétitivité et l’emploi — Credito d’imposta per la competitività e l’occupazione), marchingegno illeggibile e inefficace inventato dalla sinistra al potere. Speriamo inoltre che la destra non commetta la sciocchezza di sopprimere il prelievo alla fonte, finalmente votato dalla sinistra. Sarebbe bene ispirata se portasse avanti la tardiva modernizzazione del nostro sistema previdenziale unificando i regimi pensionistici per le giovani generazioni.
Ma soprattutto, è tempo che i responsabili politici francesi, sia di destra che di sinistra, mettano sul tavolo proposte di riforma dei criteri di bilancio europei. Non possiamo accontentarci di violarli sistematicamente, senza proporre mai nulla per modificarli. La grande lezione di questi ultimi anni è che aggirando la democrazia attraverso regole automatiche si perde la possibilità di adattare la politica di bilancio a situazioni economiche impreviste: perché è così che siamo arrivati al crollo del 2011-2013.
Non abbiamo una scelta tra un’infinità di soluzioni. Ciò che serve è cambiare queste regole rigide attraverso un voto maggioritario in seno a una vera camera parlamentare dell’Eurozona, in cui ciascun Paese sia rappresentato in proporzione alla sua popolazione (il che equivarrebbe al 24% dei seggi alla Germania e al 51% divisi tra Francia, Italia e Spagna) al termine di un dibattito pubblico contraddittorio. Una siffatta istanza conferirebbe la necessaria legittimità democratica a un vero e proprio budget dell’Eurozona. Se la Francia avanzasse una proposta precisa, la Germania dovrebbe accettare un compromesso, magari con un mix di regole indicative e maggioranze qualificate.
Una riforma appare anche più urgente a fronte della violenza con cui il Trattato del 2012 ha indurito i criteri di bilancio; si tratta ora di tendere verso un deficit massimo dello 0,5% del Pil, il che comporterà per decenni, dal momento stesso in cui i tassi di interesse risaliranno, enormi avanzi primari (ricordiamo che fin d’ora in Europa gli interessi del debito ammontano a 200 miliardi di euro all’anno, contro due miliardi all’anno per il programma Erasmus). Detto per inciso, si dimentica che è stato possibile costruire l’Europa negli anni ‘50 sull’annullamento dei debiti del passato, segnatamente a beneficio della Germania e della Francia, per poter investire sul futuro. La destra francese si prepara forse ad arrivare al potere in un contesto difficile. Speriamo che si dimostri all’altezza. 

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