Quattro milioni di esseri umani sprovvisti dei più elementari diritti non sono ascoltati dai politici irresponsabili che non si preoccupano neanche di leggere le dichiarazioni dell’Unesco e ancor meno capiscono che la lotta per una pace vera è urgente e necessaria.
HA RAGIONE Matteo Renzi nel definire «allucinante » la risoluzione dell’Unesco che nega qualsiasi legame storico fra la spianata delle moschee a Gerusalemme e l’ebraismo. Tuttavia ha ragione con una settimana di ritardo. Questo ritardo ha fatto sì che il rappresentante italiano si sia astenuto nel voto, a differenza dei suoi colleghi di Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna, solo per citare i maggiori Paesi occidentali che si sono espressi contro il documento. Con ciò esponendosi a una sconfitta, ma salvando un principio morale prima ancora che politico.
Ora il presidente del Consiglio dice: “basta con le astensioni”, sinonimo a suo avviso di una politica estera ambigua e furbesca. E di nuovo è difficile dargli torto. Da quando è a Palazzo Chigi, Renzi ha interpretato una linea molto più vicina a Israele e comprensiva delle ragioni di Gerusalemme rispetto alla tradizione dei governi della Prima Repubblica, a guida sia democristiana sia socialista craxiana. Si potrebbe dire che egli ha recuperato, tentando di tradurla sul piano politico, una posizione culturale che era propria delle minoranze laiche: repubblicani, radicali, liberali. «Israele non deve solo esistere, deve resistere» ha detto tempo fa il premier in visita nello Stato ebraico. Il che significa che deve resistere per poter esistere. E quindi — sottinteso — è compito della comunità internazionale favorire, nelle forme opportune, tale “resistenza”.
Non è solo questione di toni verbali e di sfumature. A prendere per buone le affermazioni di Renzi, siamo di fronte a una svolta significativa che avvicina la politica italiana in Medio Oriente e nel Mediterraneo a quella degli Stati Uniti e la allontana dalle contraddizioni e dalle incertezze dell’Unione europea. Tuttavia accade poi che nelle scelte concrete l’Italia ricade nei soliti automatismi diplomatici. Sulla risoluzione Unesco ci si è astenuti come la Francia, secondo una certa consuetudine che non sempre ha portato fortuna, visto che Parigi ha spesso dimostrato di perseguire in Nord Africa e altrove interessi molto diversi da quelli italiani.
Ora la domanda è: la vera linea di Roma è quella di Renzi o quella che si traduce nella politica delle astensioni ogni volta che nelle sedi internazionali c’è da affrontare una scelta scomoda? Volendo escludere che sia in atto un gioco delle parti fra Palazzo Chigi e la Farnesina, dal momento che nessuno dei protagonisti della vicenda merita un tale sospetto, occorrerà affrontare un chiarimento che non sia solo mediatico. Anche perché è evidente che il presidente del Consiglio intende alzare il suo profilo in politica internazionale. Ieri non si è limitato al duro giudizio sul caso Unesco: ha fatto sapere che in sede europea l’Italia si è espressa contro le nuove sanzioni alla Russia di Putin, il che rappresenta un gesto forte, polemico contro tedeschi e francesi.
C’è il desiderio di non danneggiare le esportazioni delle imprese italiane, ma anche la volontà di marcare l’irritazione crescente verso l’Unione che non aiuta l’Italia sui migranti e rimane scettica, per non dire ostile, sui criteri della manovra finanziaria. Da Bratislava in poi Renzi tenta di prendere le distanze da un condominio franco-tedesco dal quale si sente escluso. È in parte una novità, soprattutto per il clamore con cui queste lacerazioni vengono comunicate all’esterno. Il referendum di dicembre c’entra senza dubbio in qualche misura, ma ancor più è in gioco il consenso di lungo termine che Renzi teme di perdere se seguisse senza un sussulto le direttive dell’Unione.
Ovvio che il nervosismo italiano non fa che mettere in luce tutto quello che non va nell’Europa di oggi, senza peraltro che sia alle viste una soluzione alternativa. Quanto all’Unesco, coincidenza vuole che il caso sia esploso nelle stesse ore della polemica sulle sanzioni a Putin. Esploso con una settimana di ritardo, abbiamo visto. Anche qui Renzi, che pure stima Gentiloni e lo ha voluto alla Farnesina, dimostra di non voler delegare la politica estera ad altri. Certo non a chi agisce secondo vecchi riflessi condizionati quando sono in gioco problemi di fondo come il rapporto con Israele.
L’affondo di Renzi sul voto all’Unesco: basta no a Israele si rompa il fronte Ue
“Allucinante l’Italia astenuta su Gerusalemme” A rapporto Gentiloni, che dice: “Ora si cambia”
VINCENZO NIGRO Rep
ROMA. Matteo Renzi porta il governo italiano a rivedere il suo voto di astensione sulla risoluzione dell’Unesco contro Israele. Una risoluzione che il premier adesso rifiuta, definendola semplicemente «allucinante».
Il voto del 12 ottobre della Commissione cultura dell’Unesco condannava Israele per la gestione di Gerusalemme Est. Le contestazioni più gravi contenute dal documento sono due: innanzitutto il mancato rispetto dei luoghi sacri dell’Islam. Secondo, il crescendo di aggressioni e di misure illegali contro la libertà di preghiera dei musulmani palestinesi. Questa “decisione” viene messa periodicamente in voto all’Unesco, e ogni volta viene votata perché i Paesi arabi e i loro alleati hanno la maggioranza; e in più non c’è un meccanismo di veto come quello che può bloccare i voti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma nel testo votato (e confermato il 19) erano anche stati cancellati i riferimenti ai nomi ebraici del “Monte del Tempio”, mentre viene usata solo la dizione araba “Haram Al Sharif”, il nobile santuario.
Sul pronunciamento dell’Unesco, come molte altre volte, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva accettato la proposta degli Affari politici del suo ministero di far astenere l’ambasciatrice italiana Vincenza Lomonaco. Una posizione che permetteva all’Italia di non approvare questa offesa alle ragioni ebraiche, ma non bocciava apertamente i richiami a favore dei diritti dei palestinesi.
A qualche giorno dalla decisione, Renzi impone però il cambio di linea. E lo stesso Gentiloni spiega che «fino ad oggi abbiamo seguito questo voto quasi in automatico, da adesso cambieremo». Ma cosa è accaduto per convincere il premier alla svolta? Per due volte, prima della seduta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura che ha sede a Parigi, l’ambasciata di Israele a Roma era intervenuta sulla Farnesina, prima per chiedere di votare “no” e poi per protestare per la scelta di astenersi. Senza successo. A scuotere Renzi sono stati i titoli dei giornali, le proteste della comunità ebraica italiana, che si è rivolta con forza al governo, ai suoi ministri e anche al capo dello Stato, Sergio Mattarella.
La presa di posizione di Renzi fa effetto perché smentisce una scelta che poteva tranquillamente essere valutata e gestita diversamente in anticipo, una scelta che gli Affari politici della Farnesina avevano elaborato tenendo conto delle regioni dei palestinesi ma anche di Israele.
Non è un cambio di linea epocale per la nostra politica estera: l’Italia non è isolata, ma è assieme a Paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Lituania ed Estonia.
Ritornando alla ricostruzione delle tappe che hanno portato al cambiamento, ieri mattina la presidente delle Comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, aveva scritto una lettera aperta alla Stampa. Il presidente Sergio Mattarella a fine novembre farà una visita in Israele, e a questo viaggio ha fatto riferimento la Di Segni, invitando il capo dello Stato a rendersi conto della realtà di Gerusalemme. Sicuramente non sarebbe stato agevole per Mattarella visitare Gerusalemme con il timore di contestazioni degli israeliani o, quasi certamente, della comunità ebraica di origine italiana che vive a Gerusalemme.
Ieri Israele si è congratulato con Renzi. Prima il portavoce del ministero degli Esteri Emmanuel Nahshon, secondo il quale «la reazione di Renzi mostra che comprende il significato della verità storica e del tentativo fatto di cancellare parte della storia del giudaismo e della cristianità a Gerusalemme ». Ma poi in serata da Gerusalemme al premier italiano è arrivata la telefonata del premier israeliano Bibi Netanyahu: il grazie di Israele per la svolta.
La battaglia sui luoghi santi e la cultura della propaganda che impediscono la pace
La decisione dell’agenzia Onu non serve a proteggerli Peres disse: “L’intero chilometro quadrato va posto sotto la sovranità di Dio”
SIEGMUND GINZBERG
LA RISOLUZIONE dell’Unesco è una provocazione. Che non ha niente a che fare con la cultura. Non serve al dialogo, anzi distrugge le possibilità di dialogo. Non serve a proteggere i luoghi santi di Gerusalemme, nemmeno quelli santi all’Islam. Non serve a criticare la politica dura del governo Netanyahu. Non serve a fermare gli estremisti israeliani. Non serve a dar ragione ai palestinesi in cerca della propria dignità di popolo. Vale solo come propaganda. Ma come propaganda boomerang, da zappa sui piedi, che ottiene effetti opposti a quelli dichiarati dai proponenti.
La cultura, ragione sociale dell’Unesco, non c’entra. E c’entra poco anche la storia. Tanto per fare un esempio opposto: in coincidenza con il trambusto della risoluzione si apre al Metropolitan di New York una esposizione che tratta proprio della continua compresenza a Gerusalemme di tutte e tre le grandi religioni monoteiste. “Gerusalemme 1000-1400: Tutti i popoli insieme sotto il Cielo”, si intitola. Scopo dei curatori mostrare che «se qualcosa accomunava le diverse comunità religiose, era il rispetto, la reverenza condivisa verso la parola scritta». Parole per convivere, non per odiarsi.
Wlodek Goldkorn ricorda che quando nel 1993 chiese a Shimon Peres, dopo gli accordi di Oslo, che cosa bisognasse fare di quel chilometro quadrato, santo e maledetto, quello rispose: «Porlo sotto la sovranità di Dio». Forse non era solo una battuta. Anni dopo, facevo il corrispondente in America quando Arafat e Barak vennero a Camp David. Sembrava stessero per concludere la pace iniziata con Rabin. Ricordo che mi venne da piangere quando un vecchio amico rabbino e progressista, ben addentro nei colloqui, mi anticipò che non se ne sarebbe fatto nulla. Ruppero su Gerusalemme e sul “diritto al ritorno” dei palestinesi. Gli interlocutori chiesero ad Arafat, durante incontro ravvicinato nei corridoi, perché insisteva su due argomenti chiaramente propagandistici, che messi così non avrebbero portato da nessuna parte. Lui rispose: «Volete che mi ammazzino?».
È evidente che una risoluzione che già nel titolo si riferisce ai “Luoghi santi occupati”, e ne parla come se fossero cari solo all’Islam, serve solo a fare propaganda. Non serve a riavvicinare, discutere, dialogare, ma solo ad esacerbare le contrapposizioni. Non serve a difendere i monumenti e l’accesso ai luoghi di culto o a preservare i siti storici. C’è chi denuncia che l’intera Gerusalemme vecchia, patrimonio dell’Umanità, iperaffollata, si sta sgretolando, mentre procede incurante la rissa su a chi spettano i luoghi santi. Non serve a dar voce a quella parte di ebraismo che in Israele e nel mondo vorrebbe fermare gli eccessi del governo di destra, la provocazione continua di nuovi insediamenti ebraici, l’umiliazione continua e deliberata dei palestinesi. Le provocazioni, per definizione, provocano reazioni, non soluzioni.
L’effetto immediato di quella dell’Unesco è stato distrarre l’attenzione da chi si dà da fare per il dialogo. Ha dato argomenti a Netanyahu contro gli ebrei «traditori » che si sarebbero uniti al «coro di calunnie contro Israele». Gli ha consentito di tuonare contro quelli di B’Tselem, il “Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati”, andati qualche giorno a fa a portare la propria testimonianza critica dinanzi al Consiglio di sicurezza dell’Onu a New York. E come non bastasse, ha dato fiato alle altre Ong israeliane, quelle di destra, che all’opposto inventano sempre nuove provocazioni, vorrebbero impedire l’accesso alla spianata agli islamici, scavare sotto la spianata in cerca del Tempio di Salomone, e così via.
Se qualcosa non serve e fa danno a tutti, bisognerebbe saper dire di no, anche se si finisce in minoranza, anche se si scontenta qualcuno. Quindi non è senza senso che l’Italia, che si era astenuta, ci ripensi. Contro avevano già votato Germania, Olanda, Regno Unito e Stati Uniti. La risoluzione era sponsorizzata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, non tutti campioni di democrazia. In favore hanno votato Russia, Nicaragua, Mozambico e Sud Africa e Messico e Brasile, che però nel frattempo ci hanno ripensato. Ieri si è pronunciato duramente contro il Parlamento ceco. Si tratta comunque di scelte politiche. Non religiose. Sarebbe altrettanto propagandistico esasperare la critica alla sfortunata risoluzione dell’Unesco sostenendo che metterebbe in discussione il diritto di Israele ad esistere, la legittimità della presenza israeliana a Gerusalemme e in uno dei luoghi più sacri dell’ebraismo. Se proprio si volessero accampare diritti religiosi su quelle vetuste pietre sarebbe dovuto intervenire anche il Papa, a rivendicare quelli dei cattolici. Anche se, a dire il vero, erano stati in un passato neanche tanto remoto, sanguinosamente contestati non tanto dai musulmani o degli ebrei, ma da altri cristiani, ortodossi in testa. Su questo si erano fatte anche guerre tra cristiani. Ma Francesco è uomo di pace, non di recriminazioni ed esasperazioni.
“Ma da ebreo dico: bene restituire dignità ai palestinesi”
L’INTERVISTA/ L’ATTORE MONI OVADIA: IL PREMIER ISRAELIANO FA POLITICA NAZIONALISTA PARLANDO DI “DIRITTO DIVINO” SU QUELLA TERRA
MATTEO PUCCIARELLI
MILANO. «A me dispiace perché Matteo Renzi sta facendo il solito gioco poco intelligente che in realtà fa molto male proprio a Israele», dice Moni Ovadia, attore, drammaturgo, uomo di sinistra e soprattutto ebreo appassionato alle vicende legate al proprio popolo.
Il premier ha detto che quella risoluzione dell’Unesco era finalizzata ad attaccare Israele, cosa ne pensa?
«Sta per caso ricambiando gli Stati Uniti per lo spot di Obama al Sì al referendum? Scherzi a parte, la cosa opportuna da fare sarebbe invece convocare una conferenza di pace in Europa. Perché fu proprio in Europa che avvenne l’Olocausto: il nostro Continente ha un debito morale in questo senso».
Ma la questione di non aver nominato il Muro del Pianto nella risoluzione, utilizzando la dizione araba, per lei è importante?
«Attaccarsi a queste cose, come fa Netanyahu, è propaganda nazionalista. Lui è un uomo di destra che parla di un presunto “diritto divino” degli ebrei su quella terra, e in nome di ciò mette in discussione la legittimità di esistere dei palestinesi. I quali sono stati vessati, espropriati delle proprie terre, vivono in una prigione a cielo aperto, isolati dalla comunità internazionale. Ad oggi ci sono 500mila coloni che si sono insediati illegalmente in territori che non gli spettano. Si chiama occupazione. Ci rendiamo conto?».
Però esiste il “legame millenario” tra ebrei e Gerusalemme? Legame che non sarebbe stato tenuto di conto dall’Unesco, sempre secondo Israele.
«Naturalmente c’è ma qui siamo di fronte alla strumentalizzazione politica di un premier che, di fatto, non vuole riconoscere dignità alla Palestina. Ben venga invece che l’Unesco abbia avuto questa sensibilità».
È possibile contestare la politica di Israele senza passare per antisemiti?
«Sta diventando sempre più difficile. Io per anni ho criticato Silvio Berlusconi, per caso ero anti-italiano? Allora, da ebreo, so e dico che nel Talmud il nazionalismo è considerato idolatria. Aggiungo che la retorica della terra e del sangue, di un passato sacrale, è la stessa che poi ha generato il nazismo. E infine l’etica ebraica rifiuta ogni oppressione. Chi oggi più o meno direttamente spalleggia il governo israeliano non vuole il bene del Paese».
Lo Stato di Israele invece, secondo lei, ha una legittimità oppure no?
«Ce l’ha e trae origine dalla risoluzione 181 del ‘47 dell’Onu. Quando David Ben Gurion ne annunciò la firma fu un tripudio di felicità per tutto gli ebrei del mondo. Adesso chi governa Israele non può atteggiarsi come un organismo al di sopra delle regole internazionali».
Nessun commento:
Posta un commento