venerdì 7 ottobre 2016

Strumentali e complottarde sono solo le storie altrui: il Nostro Toynbee ha scritto una nuova favola


Paolo Mieli: In Guerra Con Il Passato, Rizzoli

Risvolto
C’è un conflitto che attraversa la storia ma non è stato mai apertamente dichiarato. È quello in cui in cui il passato viene piegato alle necessità del presente. E ciò accadeva tanto ai tempi di Ottaviano e Cesare quanto al termine della Seconda guerra mondiale, dopo gli anni di piombo o durante i conflitti in Medio Oriente. È un’operazione destinata a provocare danni incalcolabili, “primo tra tutti quello di disarmare le generazioni che dovrebbero essere pronte ad affrontare le guerre, purtroppo non metaforiche, di oggi o di domani”.Con la consueta arguzia e lucidità, Paolo Mieli conduce il lettore in un viaggio lungo i secoli, durante il quale affronta e demolisce alcuni dei nostri miti più comuni alla luce di fatti e documenti, offrendo spesso una visione alternativa a quella ufficiale. Per farlo è necessario applicare i rimedi contro la manipolazione e la contraffazione: la disponibilità a rivedere i propri giudizi sui fatti e sui personaggi, la consapevolezza che spesso anche la parte “giusta” ha commesso atti riprovevoli e l’attenzione a non cercare a tutti i costi negli eventi i retroscena delle posizioni politiche del presente. Perché il fatto che tutti usino il passato nelle discussioni quotidiane è “la miglior ragione per studiare sul serio la storia” e per affrontare anche i temi più cari alla nostra memoria collettiva con “una buona dose di imperturbabilità”.


Il libro di Paolo Mieli
Non fidatevi della Storia racconta bugie da millenni
Da Cicerone agli schiavi di Lincoln, fino alle Guerre mondiali, viaggio in 27 tappe nel passato che credevamo di conoscere di Alessandro Barbero La Stampa TuttoLibri 22.10.16
Anche nelle epoche che si credono più spregiudicate, scoprire che il passato è diverso da come credevamo può provocare costernazione. Nell’introduzione al suo nuovo libro, In guerra con il passato. Le falsificazioni della storia, Paolo Mieli ricorda quello che è forse, ai nostri tempi, il caso più clamoroso di demolizione di un intero pezzo del passato, grazie ai progressi della ricerca storica (e, in questo caso, archeologica).

Dopo che per millenni, sulla base della Bibbia, si era creduto che intorno al 1000 avanti Cristo esistesse in Medio Oriente un grande e potente regno di Israele, esteso dall’Eufrate fino a Gaza, gli archeologi israeliani hanno scoperto che non è vero niente: a quell’epoca gli ebrei erano tribù di pastori primitivi senza nessuna unità politica, Gerusalemme era un villaggio, e Davide e Salomone, ammesso che siano esistiti, erano dei capitribù. Va ad onore della cultura israeliana aver preso atto senza drammi di questi dati ormai indiscutibili, nonostante la tempesta mediatica che hanno provocato nel Paese.


In questo caso non si tratta di accusare qualcuno (salvo, eventualmente, gli autori del Secondo Libro di Samuele e del Primo Libro dei Re) di aver falsificato volutamente la storia. Le falsificazioni con cui fa i conti Paolo Mieli sono piuttosto le versioni tradizionali della storia, alimentate a volte dalla propaganda dei governi, più spesso dall’inerzia dei libri scolastici e dalla pigrizia del pubblico, e che regolarmente rivelano le loro crepe non appena uno studioso le rimette in discussione con uno sguardo innovativo. Non si tratta, sia chiaro, dello stucchevole pseudo-revisionismo così di moda oggi, di chi scopre che la Rivoluzione francese ha sparso molto sangue, l’Italia del Risorgimento era un Paese pieno di intrallazzi, i partigiani hanno commesso a volte dei delitti, e gli americani hanno bombardato Dresda anche se non era necessario: l’autore, chapeau!, non menziona neanche una volta la parola revisionismo. Si tratta invece della naturale dinamica degli studi storici, per cui ogni storico che affronta un argomento anche già molto studiato può sempre aggiungere un punto di vista nuovo, può talvolta scovare nuove fonti, e può spesso modificare l’interpretazione del passato.


Il libro di Mieli è una ricognizione puntuale, erudita e divertita, di questa che è, ripetiamolo, la condizione normale della storiografia. È una rassegna bibliografica che in ogni capitolo, e ce ne sono ben 27, propone un tema storico su cui credevamo di sapere tutto e presenta al lettore gli studi più recenti che ne hanno rinnovato l’interpretazione. Verre era davvero quel politico corrotto che ci presenta Cicerone? Con quali mezzi Augusto arrivò al potere? I martiri di Otranto morirono davvero per la fede? Lincoln fece davvero la guerra per abolire la schiavitù? La Seconda Guerra Mondiale è davvero finita nel 1945? La collusione fra Stato e mafia, in Italia, è davvero una novità della Prima Repubblica?


Nelle pagine di Mieli, il lettore farà la conoscenza di innumerevoli storici d’oggi, qualcuno già noto al grande pubblico, altri meno; da Francesco Benigno, che ne La mala setta dimostra come i governi italiani «intrattennero rapporti con la malavita organizzata fin dalla fondazione del nostro Stato unitario», ad Aldo Schiavone che in Ponzio Pilato s’interroga sulla possibilità di una «tacita intesa» fra Gesù e il prefetto di Giudea; da Germano Maifreda che ne I denari dell’Inquisitore svela come le multe, più dei roghi, rendessero temuto il Sant’Uffizio, a Marco Natalizi che ne Il burattinaio dell’ultimo zar propone un ritratto nuovo e complesso del famigerato Rasputin.


Attraverso il lavoro di decine di colleghi, Paolo Mieli propone un viaggio attraverso un passato che ogni giorno si modifica ai nostri occhi, anche perché col moltiplicarsi degli studi diventa possibile uno sguardo più sfaccettato, affiorano sempre più gli individualismi e le stonature, così evidenti quando guardiamo al mondo in cui viviamo, e che quando pensiamo al passato rischiano di rimanere occultati. Quel senatore della South Carolina che paragonava con orgoglio la condizione degli schiavi del Sud a quella degli operai del Nord («I nostri schiavi sono assunti a vita, non c’è fame per loro, non ci sono accattoni, non c’è disoccupazione»), o quello storico inglese che nel 1871 esaltava la formazione del Reich tedesco come garanzia di pace, con «la nobile, paziente, pia e solida Germania» avviata a dominare l’Europa al posto della «nevrotica, vanagloriosa, gesticolante, rissosa, inquieta e ipersensibile Francia», oggi ci possono far sorridere, ma la verità è che il passato era come il presente, confuso, colorato, incomprensibile, e il mestiere dello storico consiste sì nel cercare di renderlo un poco più comprensibile, ma senza mai perdere di vista cosa significava viverci dentro.


Dall’elogio del Congresso di Vienna alle crociate come liberazione quando la storia diventa un’opinione 
In libreria il nuovo saggio di Paolo Mieli, “In guerra con il passato” Un viaggio tra i casi di studiosi che, facendo opera di revisione, smascherano, dissacrano e a volte falsificano il racconto degli eventi
LUCIO VILLARI Rep 28 10 2016
«L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo.....»: così comincia I promessi sposi. Una presa in giro dei libri di storia e del modo di scriverla quando era solo un genere vagamente letterario. Ma l’ironia manzoniana coglieva un segno. Nel senso che nel ‘600 vi era veramente una sfida al passato, ai ricordi, alle cose tramandate, per cogliere risvolti segreti, trame, giochi di potere (i famosi arcana imperii), nascoste “ragioni di Stato” e anche falsi e manipolazioni. Con intenti, però più mirati e più etici, aveva iniziato questa pratica, a metà ‘400, Lorenzo Valla contestando totalmente, con strumenti filologici e logici, la falsa “Donazione di Costantino” inventata dalla Chiesa per legittimare il potere temporale.
Credo che con Valla si può fare iniziare la storiografia seria in Italia. Seguiranno Machiavelli, Guicciardini e pochi altri che si occuparono di storia antica e contemporanea in modo critico, ideologico, filosofico. Il metodo poi dilagò in Europa degradandosi anche in servile arte di esaltare i potenti, o di inseguire i dietro le quinte, i misteri ecc. La storiografia poi divenne una scienza e fu anche elogiata come scrittura autonoma rispetto a quella letteraria e come stile narrativo (per Croce fu «ridotta», con ragione, «sotto il concetto generale dell’arte»). La scienza storica ha però sempre coabitato con la non-scienza storica di criticare se stessa in un modo molto semplice: dissacrando, e ribaltando eventi, personaggi apparentemente indiscutibili nel loro essere avvenuti e vissuti, alla ricerca della loro vera verità che spesso la storiografia scientifica ha creduto di fissare una volta per tutte.
La cosa ha funzionato e funziona sia perché il passato non può difendersi, sia perché, in questi casi il meccanismo narrativo o fantasioso può fare di non-studiosi degli “storici” piacevoli e leggibili, sia perché il meccanismo strettamente scientifico, filologico degli storici veri può fare delle loro ricerche una produzione di noia “accademica”. Di qui il successo di giornalisti-storici, di romanzi storici, di film e fiction televisive d’argomento storico, dove in realtà la storia è quasi sempre pasticciata e confusa.
Dunque, la storia come guerra contro il tempo oppure “con il passato”, per fare una sorta di necessaria pulizia storiografica. Con questo spirito Paolo Mieli ha riunito sotto il titolo, appunto, In guerra con il passato, suoi testi, recensioni, piccoli saggi di storia varia, dai tempi antichi a oggi. Il sottotitolo precisa: La falsificazioni della Storia.
È un gioco divertente e interessante condotto su libri di storici, anche recenti, che, a loro dire, hanno messo in luce la controstoria di tante cose (potrò farne solo un breve elenco) del passato considerate finora inamovibili nell’interpretazione o nel racconto che di essi si è fatto. Alcune “rivelazioni” sono giuste e opportune, altre sono invece le opinioni di questi storici. Cosa dire di queste ultime? Mieli non sa decidersi e preferisce, come scrive nell’introduzione, accogliere il tutto con «una buona dose di imperturbabilità».
Facciamo qualche esempio. Secondo lo storico Brian Vick, il Congresso di Vienna non avviò veramente la Restaurazione. Detta così può anche esser vero. Ma perché Vick e anche Mieli non ricordano che la Santa Alleanza, nata da quel congresso, ha schiacciato tutti i movimenti di liberazione degli anni ‘20 e ‘30 dell’Ottocento in Europa? Un altro storico, Jonathan Israel, ha dichiarato che il Terzo Stato, in Francia, «non includeva praticamente nessun uomo d’affari, banchiere, imprenditore, né persone che esercitassero una delle occupazioni della borghesia medio-alta». Evidentemente Israel non sa che il Terzo Stato non solo includeva questi signori, ma includeva tutti coloro che contavano e lavoravano tranne i servi o domestici. Un altro storico, Christopher Tyerman, contesta che le crociate siano state come le conosciamo e che l’attuale “teologia della liberazione” in fondo copi quella “santa violenza”: e così via. Decine di dissacrazioni della storia ufficiale. Alcune sono utili, ma molte altre fanno cadere la braccia. Chi ne voglia sapere di più può solo leggere questo volume.
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