mercoledì 12 ottobre 2016

Un'intervista a Simone de Beauvoir del 1958 su MicroMega

Risultati immagini per beauvoireCredevo in Gesù bambino Poi Dio è evaporato

A trent’anni dalla morte, un’intervista inedita della scrittrice Registrata nel 1958, a lungo censurata per le idee sulla religione 

Wilfrid Lemoine Busiarda 12 10 2016
Nelle sueMemorie di una ragazza perbene, lei dice di aver deciso abbastanza presto di non sposarsi e molto presto di non aver figli.
«Al contrario, a 17 o 18 anni ero innamorata di un cugino piuttosto lontano e pensavo di sposarlo, e dato che era un cugino molto borghese, era ovvio che in quel matrimonio tutto sarebbe stato molto tradizionale dal punto di visto della famiglia, e quindi pensavo che avrei avuto dei figli, una famiglia eccetera. È stato più tardi, quando la mia vocazione, quella che chiamerei la mia vocazione intellettuale, si è fatta più netta, che non ho più provato interesse nel matrimonio e non ho più visto la necessità di essere sposata, perché non vedevo più il bisogno di aver figli». 
Ma invece, come dice, ha ricevuto un’educazione molto borghese.
«Non è una buona ragione per amare la borghesia». 
Ma non le sembra di aver avuto gesti di rivolta?
«No, io penso che sia stato più profondo. Non mi sono ribellata quotidianamente, ma ho conservato un profondo disgusto per le istituzioni borghesi».
Quando ha preso coscienza di questo disgusto?
«È arrivato piano piano. È cominciato molto lentamente. Per questo penso che sia profondo, che sia arrivato in profondità. È cominciato con una specie di malessere. Pensavo ci fosse un’incoerenza tra quel che diceva e quel che faceva la gente. Trovavo che in quel modo di vivere ci fosse un’enorme stupidità, che la gente non sapesse vivere, e questo ho cominciato a pensarlo verso i dodici, tredici anni; pensavo che non c’era nessun motivo per alcune delle cose che si facevano, che si poteva invece farne altre che non si facevano. Senza rivolta, c’è una specie di stupidità che mi è saltata agli occhi e da cui ho voluto prendere le distanze, ho lavorato su di me per farlo. Da quando ero studentessa e ho cominciato a poter fare una sorta di piano per la mia vita, ho provato ad allontanarmi da questa specie di schema pronto. Volevo inventare la mia vita, pensavo che si potesse inventare e che mi sarei sentita molto meglio invece di ripetere la solita routine già sperimentata, ma per l’appunto negativamente sperimentata». 
Come si è presentato il problema di Dio? Ha detto che a quindici anni c’è stata una crisi che ha deciso per sempre.
«Non è del tutto esatto nemmeno questo. Non si tratta di una crisi, ma piuttosto di una specie di presa di coscienza che ho avuto all’età di quattordici anni, forse tredici, poco importa. Mi sono accorta di non credere più; che era finito. Avevo una fede ardente da piccola, credevo veramente in Gesù bambino eccetera, ma dopo ho cominciato a credere sempre meno in quell’aspetto un po’ mitologico, esteriore, ma sempre di più in Dio, che però pian piano ho talmente distillato fino a non aver più rapporti con quel mondo, perché Dio non poteva essere stupido come le persone pie che incontravo, o come i preti con cui parlavo. Dio era diverso, non poteva essere interessato a stupidaggini, e allora ha finito col non rispondere più a niente e a nessuno. E mi sono accorta che non esisteva più per me; era evaporato…».
Come lei dice era evaporato, ma ha avuto modo di tornare sul problema più tardi?
«Più tardi ho fatto filosofia, e tutto quel che ho imparato mi ha, non sarebbe giusto dire confermato, ma tutto quel che ho imparato continuava a farmi pensare che il problema, in un certo modo, non esistesse. Insomma, ho letto Kant quando avevo diciotto anni e subito ho pensato leggendolo che bisognava davvero rifiutare la metafisica in sé stessa per l’ontologia e porsi il problema partendo dal fatto che esistiamo sulla terra, senza cercare di andare al di là della catena causa-effetto». 
Se capisco bene, il suo ateismo è nato prima per intuito.
«Se vuole, mi sono accorta che non avevo alcuna ragione di credere. Ma che anche la gente che mi circondava credeva senza avere ragione di credere. Diciamo così. Alcuni credevano senza aver motivi di credere, e io ho cessato di credere senza aver ragioni positive o verificate per non credere. Ma come provare che qualcosa non esiste? Non esiste la prova, e spetterebbe piuttosto agli altri provare il contrario, no?». 
Sì, ma questa prova…
«Questa prova non l’ho mai trovata da nessuna parte: nella mia ragione, nella mia testa, nel mio cuore, e quindi…». 
La prova della fede?
«Sì, la prova di un Dio». 
E la prova del contrario, esiste?
«Diciamo… filosoficamente in un certo senso sì, per esempio in L’Essere e il nulla Sartre secondo me dimostra bene come questa specie di sintesi che chiamiamo Dio, l’in sé e per sé, sia irrealizzabile, anzi veramente impensabile. Ma detto questo un credente potrà sempre dire di credere proprio perché è assurdo, perché non si capisce nulla. E in quel caso mi sembra un percorso disperato». 
In generale che cosa pensa dei credenti?
«Non penso niente in generale. Ho delle opinioni molto particolari sugli uni e sugli altri perché sono tutti diversi quanto lo sono i non credenti. Ci sono preti progressisti con cui vado molto d’accordo, e atei, diciamo così, che invece sono per l’oppressione, e con cui non posso andare d’accordo. Ci sono credenti che usano la religione come giustificazione per il capitalismo e il colonialismo, e allora non posso andare d’accordo con loro. Dipende, quindi. Sa, la Chiesa è molto, ma molto, divisa, e anche all’interno stesso della Chiesa francese ci sono enormi differenze. [...]». 
E questo non prova che anche nel cristianesimo c’è una libertà così come nel vostro mondo esistenzialista?
«Sì. Esatto. Io penso alla fine che Dio sia una specie di alibi senza esserlo, e tante persone, tanti credenti, d’altronde, me l’hanno detto, non arriverò a dire che me lo hanno confessato. Si è persi anche in un mondo dove esiste un Dio, se veramente si tiene molto a sapere dov’è il bene e dov’è il male, e quali siano i valori tipo in questo mondo dove non ce ne sono perché, tanto, chi interpreterà la volontà di Dio, chi interpreterà il modo nel quale la trascendenza si traduce in questo nostro mondo? Ognuno è solo con la propria coscienza. E a quel punto ogni coscienza si ritrova a essere sola così come la mia che non crede in Dio». 
Tranne se si crede nella rivelazione.
«Anche se si crede nella rivelazione. Sapere se questo Dio vuole che si continui, che so io, a opprimere gli algerini e a far morire di fame alcune persone, e se queste cose rappresentino un bene o un male… ognuno è libero di scegliere. Infine, ognuno interpreta Dio a seconda delle proprie tendenze». Traduzione di Maria Baiocchi BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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