lunedì 17 ottobre 2016

Verso il quinto centenario della Riforma protestante


500 anni dopo Lutero. Vincenzo Paglia: "La Riforma? Una felice colpa""Uno scisma è una lacerazione: non si festeggia, ma ha avuto anche conseguenze positive. Ora però è tempo di una testimonianza comune". Parla il presidente della Pontificia Accademia della vitaMimmo Muolo Avvenire martedì 6 dicembre 2016

La nuova «geopolitica» di Bergoglio
di C. Mar. Il Sole 1.11.16
Furono i suoi confratelli di quasi cinque secoli fa a essere i più tenaci sostenitori dell’onda lunga della controriforma cattolica contro il movimento di Lutero, una reazione dura fece germogliare i semi dell’intolleranza in tutta Europa. E oggi è un gesuita che, tra le colonne della più antica chiesa di Svezia, abbraccia il massimo rappresentante mondiale delle chiese luterane, e accelera un percorso di ecumenismo avviato già da mezzo secolo. L’evento è storico, e non solo perché sono passati quasi 500 anni da quando il monaco agostiniano affisse le 95 tesi: c’è dentro un disegno complessivo che porta in primo piano il ruolo delle religioni nello scacchiere mondiale. E in particolare quello di Francesco. Il Papa argentino non ha obiettivi geopolitici “tradizionali”, che presuppongono alleanze funzionali e obiettivi strategici ben definiti, e la sua forza risiede nel mettere in moto energie che la politica non riesce neppure a vedere. Il protestantesimo, nelle sue molte declinazioni, conta 800 milioni di persone, sparse tra Usa (160 milioni, ma i quasi 70 milioni di cattolici rappresentano la singola religione più numerosa) nord Europa, Africa, Brasile e Cina, dove sono ben 60 milioni, il doppio che in Gran Bretagna. Un universo complesso e frastagliato, ma che ha un forte calibro identitario che Bergoglio ha valorizzato sin dall’inizio, e basta ricordare la visita a Caserta alla comunità evangelica. Nella visione del Papa c’è un tracciato “cristiano” da percorrere in avanti, insieme ai fratelli separati da 500 anni, come i luterani, o anche da un intero millennio, come gli ortodossi. Bergoglio ha incontrato più volte il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, e quello di Mosca, Kirill, realizzando un progetto che solo pochi anni fa sembrava impossibile. Ben oltre le photo opportunity e le dichiarazioni comuni, si svela un movimento che sta rimettendo in gioco equilibri consolidati.

«L’unità fra i cristiani è una priorità»
Il viaggio di Francesco in Svezia per l’anniversario della riforma protestantedi Carlo Marroni Il Sole 1.11.16
Malmoe Unità, superamento delle fratture storiche, riconoscimento degli errori, ricerca di campi comuni, accoglienza per lo straniero. Francesco parla ai cristiani luterani nella storica cattedrale di Lund, nel sud della Svezia dove è arrivato ieri per un viaggio breve ma decisivo del suo pontificato, i cui frutti maggiori forse si vedranno a medio lungo termine. Un viaggio profondamente “ecumenico”: offre la sua chiesa “in uscita” non solo per superare le lontane spaccature, ma anche per – come recita il documento comune – esprimere gratitudine per «i doni spirituali e teologici» della Riforma di 500 anni fa, passaggio importante e finora inedito nell’accidentato terreno teologico. Sotto le volte storiche dell’antica chiesa, accolto dalla primate Antje Jackelén dopo aver incontrato i reali di Svezia, firma la dichiarazione comune che chiude un percorso avviato da mezzo secolo: «L’unità tra i cristiani è una priorità, perché riconosciamo che tra di noi è molto più quello che ci unisce di quello che ci separa». Il Papa ringrazia per il loro impegno quanti «non si sono rassegnati alla divisione, ma che hanno mantenuto viva la speranza della riconciliazione. Non possiamo rassegnarci alla divisione e alla distanza che la separazione ha prodotto tra noi. Abbiamo la possibilità di riparare a un momento cruciale della nostra storia, superando controversie e malintesi che spesso ci hanno impedito di comprenderci gli uni con gli altri». E aggiunge: «Dobbiamo guardare con amore e onestà al nostro passato e riconoscere l’errore e chiedere perdono: Dio solo è il giudice. Si deve riconoscere con la stessa onestà e amore che la nostra divisione si allontanava dall’intuizione originaria del popolo di Dio, che aspira naturalmente a rimanere unito, ed è stata storicamente perpetuata da uomini di potere di questo mondo più che per la volontà del popolo fedele». Tuttavia, riconosce Francesco, «c’era una sincera volontà da entrambe le parti di professare e difendere la vera fede, ma siamo anche consapevoli che ci siamo chiusi in noi stessi per paura o pregiudizio verso la fede che gli altri professano con un accento e un linguaggio diversi».
E una standing ovation – scaturita tra le panche dopo qualche iniziale prudenza nordica – ha salutato la firma della dichiarazione firmata congiuntamente dal Papa e dal presidente della Federazione Luterana Mondiale, il vescovo palestinese Munib Yunan, frutto evidente di un lavoro complesso, ma anche di un forte impulso bergogliano: «Attraverso il dialogo e la comune testimonianza non siamo più estranei... Esortiamo luterani e cattolici a lavorare insieme per accogliere lo straniero, per venire in aiuto di chi è costretto a fuggire a causa di guerre e persecuzioni, e per difendere i diritti dei rifugiati e di coloro che cercano asilo». Insieme, quindi, verso chi soffre e fugge da guerre e miseria, in opere concrete. Il documento è chiaro e confessa che «luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa. Differenze teologiche sono state accompagnate da pregiudizi e conflitti, e la religione è stata strumentalizzati per fini politici». Certo, «il passato non può essere cambiato» ma «la memoria e il modo di fare memoria possono essere trasformati. Preghiamo per la guarigione delle nostre ferite e dei ricordi che offuscano la nostra visione l’uno dell’altro – continua la dichiarazione. Con forza rifiutiamo ogni odio e violenza, passato e presente, in particolare quella espressa nel nome della religione. Ascoltiamo il comando di Dio di mettere da parte tutti i conflitti. Ci rendiamo conto che siamo liberati dalla grazia a muoverci verso la comunione a cui Dio ci chiama continuamente». La giornata si è conclusa alla Malmoe Arena, in un evento ecumenico, dove il Papa ha ascoltato quattro testimonianze: una giovane indiana, un sacerdote colombiano, una donna del Burundi che ha salvato molti bambini e una rifugiata del Sud Sudan, atleta portabandiera dei rifugiati alle Olimpiadi di Rio. «Desidero ringraziare tutti i governi che assistono i rifugiati, i profughi e coloro che chiedono asilo, perché ogni azione in favore di queste persone che hanno necessità rappresenta un grande gesto di solidarietà e di riconoscimento della loro dignità» dice il Papa, che rinnova il suo appello per «Aleppo, città stremata dalla guerra, dove sono disprezzati e calpestati persino i diritti più fondamentali. In mezzo a tanta devastazione, è veramente eroico che rimangano lì uomini e donne per prestare assistenza materiale e spirituale a chi ne ha necessità. «Imploriamo la grazia della conversione dei cuori di quelli che detengono la responsabilità dei destini del mondo e, in particolare, di quella regione e di coloro che vi intervengono». E rivolgendosi a Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, aggiunge: «È ammirevole che tu, caro fratello, continui a lavorare in mezzo a tanti pericoli per raccontarci la drammatica situazione dei siriani». Il presule siriano ricorda a tutti che nel Paese «tre milioni di bambini non frequentano la scuola. Il deterioramento fisico e morale si legge in ogni volto, raggiunge tutti, specialmente i più poveri e tra di loro, i bambini, gli adolescenti e gli anziani». 

500 anni da Lutero Il Papa in Svezia. «Andiamo insieme incontro agli scartati»
lunedì 31 ottobre 2016  Avvenire

Francesco, Lutero e il valore condiviso della riforma
L'editoriale di EUGENIO SCALFARI Rep 30 10 2016

L'umanesimo alla prova della Riforma
Alessandro Zaccuri Avvenire 18 ottobre 2016

Il 31 ottobre il Papa sarà a Lund, in Svezia, per un commemorazione ecumenica. Parla il segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.     
Stefania Falasca lunedì 24 ottobre 2016 Avvenire

Nel segno di poveri e rifugiati il viaggio luterano di Francesco 

I significati della missione che porterà il Papa a Lund, in Svezia in occasione del cinquecentesimo anniversario della Riforma

ALBERTO MELLONI Rep 27 10 2016
Il vento è una grande figura biblica. È il Soffio che accarezza il mondo vuoto, la Voce dell’impalpabile silenzio che parla ai profeti, l’irruento Respiro che divide il mare della liberazione. Ed è un vento di questa caratura biblica quello che percorrerà l’Europa e porterà il Papa di Roma a Lund,in Svezia, luogo di fondazione, della federazione mondiale delle Chiese evangeliche — quelle che il gergo chiama protestanti o luterane.
Francesco infatti parteciperà ad un giubileo non suo: quello che prepara il 500° anniversario dell’inizio della riforma di Lutero (quando, si racconta, vennero affisse le 95 tesi alla porta del duomo di Wittenberg), con cui egli manifestava cos’è la sete cristiana di salvezza e l’insofferenza per l’abuso nella chiesa.
Quello di Francesco sarà «un gesto senza precedenti», ripeteranno enfaticamente tutti. Pur sapendo che vedere un Papa fare qualcosa di mai fatto prima, non sorprende ormai nessuno. E anzi, volendo andare di fino, si potrebbe dire che anche questa usuale ricerca dell’inusuale potrebbe apparire come una scivolosa analogia col registro della politica e della sua fame di exploit, e potrebbe far correre al magistero il rischio di venir ascoltato quando fa cose strane e di venir ignorato — come ad esempio accade davanti alla tragedia di Aleppo o di Mosul — quando annuncia il vangelo della pace.
In realtà ciò che c’è di storico nel gesto di Lund non consiste nel fare a favore di telecamera qualcosa di “nuovo”: ma nel dimostrare che alla fine del mondo latinoamericano, dove la teologia europea ha spesso visto dilettantismi e pericoli, una chiesa aveva custodito i grandi semi del Concilio e del Novecento, vivi e vitali. E fra quei semi c’è l’ecumenismo.
Un movimento che in Occidente s’è talmente rinsecchito fra cortesie di capi e negoziati fra teologi che il termine ha finito per essere utilizzato da non pochi cialtroni per indicare il rapporto fra cristianesimo e religioni.
Però il seme ecumenico che Francesco riporta al centro della scena era ed è altro: non compromessi tessuti all’ombra dei rapporti di forza, ma il desiderio di sperimentare che anche la Chiesa può vivere una unità come tensione che continuamente la riforma e la aduna.
Per i cattolici era stata una gigantesca conversione dall’utopia del “ritorno” dei fratelli separati alla chiesa del papa alla ricerca. Nella quale la maggiore o minore prossimità rituale e dottrinale costituiva un banco di prova: Roma si sarebbe fermata al dialogo apparentemente più “facile” con l’ortodossia o avrebbe cercato l’unità anche con le Chiese della e dopo la riforma?
Questa domanda ha segnato la primavera ecumenica del cattolicesimo romano: e ha avuto un grande peso nel dialogo cattolico- luterano. Il centenario della nascita di Lutero nel 1983 fu l’occasione per un primo grande passo: grazie a un lavoro storico intenso l’intensità cristiana di Lutero ricominciava a parlare ad entrambe le chiese. Liberava Lutero dai miti e dagli anti-miti e consegnava a tutte le Chiese la passione di un un uomo che dopo un secolo in cui la riforma da tutti attesa era stata rinviata, la imboccava a proprio rischio e pericolo, ritenendo ogni compromesso impossibile in vista della salvezza.
Questa testimonianza luminosa e irruenta, non portò però a passi di comunione fra le Chiese: neppure il fondamentale accordo sulla dottrina della giustificazione del 1999, che riconosceva come le due dottrine sulle quali i cristiani si erano divisi e uccisi erano compatibili e convergenti, veniva seguito da gesti di comunione effettiva. Fornendo argomenti non piccoli a chi riteneva che l’ecumenismo fosse giunto al capolinea: o perché aveva conseguito l’enorme risultato di disarmare cristiani che si erano odiati e che imparavano a stimarsi; o perché aveva fallito l’unità dell’altare, celebrando ancora e sempre eucarestie divise.
A Lund, dunque, il papato di Francesco riprende il filo di quella ricerca: a partire da una dimensione del Corpo di Cristo, che è il Corpo del povero. Là dove era stata massima per Roma l’asimmetria fra il rapporto con l’Oriente e il rapporto coi Protestanti, Francesco reinventa un ecumenismo nel corpo del povero e del rifugiato. Questo, che sarà uno dei contenuti della dichiarazione di Lund siglata dal Papa di Roma e dal presidente della Federazione Luterana mondiale può avere due significati: trovare ancora una volta un modo per evitare il problema di fondo — e cioè quanta unità dottrinale serve per poter celebrare la stessa eucarestia; o un modo per aprire quel capitolo a partire da un corpo nel quale c’è una presenza reale del Cristo. In attesa che da quella sottomissione alla verità cristiana spiri un altro Vento che darà alla Chiesa quella unità che non serve ad avanzare pretese più violente, ma a mostrare al mondo che è il soffio del perdono che ne impedisce il crollo sotto il peso della crudeltà e della indifferenza umane. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Il Papa: i cattolici imparino da Lutero
“Serve più vicinanza fra cristiani”. La replica ai conservatori alla vigilia del viaggio in Svezia: no al settarismo di Paolo Rodari Repubblica 29.10.16
CITTÀ DEL VATICANO. A poche ore dalla partenza per la Svezia (lunedì mattina) dove parteciperà alle celebrazioni per i 500 anni della Riforma di Lutero, Francesco ha spiegato di partire per «fare un passo di vicinanza, essere più vicino ai miei fratelli e alle mie sorelle». Questo il senso del suo viaggio: avvicinarsi ai luterani. E «imparare da loro». L’importante, ha spiegato in un’intervista concessa a padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei gesuiti svedesi “Signum”, e diffusa ieri da Civiltà Cattolica, è «camminare insieme» per «non restare chiusi in prospettive rigide, perché in queste non c’è possibilità di riforma». E ancora: «Non si può essere cattolici e settari», afferma il Pontefice replicando alle critiche mossegli dai settori della Chiesa più conservatori.
Nei giorni scorsi aveva suscitato un certo effetto quanto aveva detto il cardiale Gerhard Müller, prefetto dell’ex Sant’Uffizio: «Nell’anniversario della Riforma per un cattolico non c’è nulla da festeggiare». «La vicinanza — ha detto invece Francesco — fa bene a tutti. La distanza invece ci fa ammalare». «La mia attesa — ha spiegato — è quella di riuscire a fare un passo di vicinanza, a essere più vicino ai miei fratelli e alle mie sorelle che vivono in Svezia».
Nell’intervista alla storica rivista dei gesuiti il Papa si è soffermato su due parole che sono molto sentite dai cristiani separati da Roma: «Riforma e Scrittura». «All’inizio — ha ricordato — quello di Lutero era un gesto di riforma in un momento difficile per la Chiesa. Lutero voleva porre un rimedio a una situazione complessa. Poi questo gesto, anche a causa di situazioni politiche, è diventato uno stato di separazione, e non un processo di riforma di tutta la Chiesa, che invece è fondamentale, perché la Chiesa è semper reformanda. La seconda parola è Scrittura, la Parola di Dio. Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo. Riforma e Scrittura sono le due cose fondamentali che possiamo approfondire guardando alla tradizione luterana. Mi vengono in mente adesso le Congregazioni Generali prima del Conclave e quanto la richiesta di una riforma sia stata viva e presente nelle nostre discussioni».
Francesco ha confidato di aver domandato al patriarca Bartolomeo «se era vero quel che si racconta del patriarca Atenagora, cioè che avrebbe detto a Paolo VI: “Andiamo avanti noi e mettiamo i teologi a discutere tra loro su un’isola”. Mi ha detto che è una battuta vera. Ma sì, si deve continuare il dialogo teologico, anche se non sarà facile. Personalmente credo anche che si debba spostare l’entusiasmo verso la preghiera comune e le opere di misericordia, cioè il lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai carcerati. Fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo». Per Francesco, tra le diverse denominazioni cristiane è importante «lavorare insieme e non settariamente. Un criterio dovremmo averlo molto chiaro in ogni caso: fare proselitismo nel campo ecclesiale è peccato. Benedetto XVI ci ha detto che la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione. Il proselitismo è un atteggiamento peccaminoso. Sarebbe come trasformare la Chiesa in una organizzazione. Parlare, pregare, lavorare insieme: questo è il cammino che dobbiamo fare».

Il Papa elogia Lutero: “Ha messo la Bibbia nelle mani del popolo”
di Andrea Tornielli La Stampa 29.10.16
Martin Lutero ha compiuto il «grande passo» di «mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo». Parola di Francesco, che lunedì 31 ottobre si recherà a Lund, in Svezia, partecipando a una commemorazione per i cinquecento anni della Riforma protestante. È stata resa nota ieri un’intervista con il Papa su questi temi realizzata da padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei gesuiti svedesi “Signum”. Il testo italiano del colloquio è stato diffuso da “La Civiltà Cattolica”.
Alla domanda su che cosa la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla tradizione luterana, Bergoglio risponde: «All’inizio quello di Lutero era un gesto di riforma in un momento difficile per la Chiesa. Voleva porre un rimedio a una situazione complessa. Poi questo gesto - anche a causa di situazioni politiche - è diventato uno “stato” di separazione, e non un “processo” di riforma di tutta la Chiesa». Lutero, aggiunge il Papa, «ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo. Riforma e Scrittura sono le due cose fondamentali che possiamo approfondire guardando alla tradizione luterana».
Nell’intervista Francesco ribadisce che oltre al dialogo teologico, con le altre confessioni cristiane, servono «la preghiera comune e le opere di misericordia, cioè il lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai carcerati. Fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo». Ma senza proselitismo, che «è un atteggiamento peccaminoso» perché trasformerebbe «la Chiesa in una organizzazione. Parlare, pregare, lavorare insieme: questo è il cammino che dobbiamo fare. Nell’unità quello che non sbaglia mai è il nemico, il demonio. Quando i cristiani sono perseguitati e uccisi, lo sono perché sono cristiani e non perché sono luterani, calvinisti, anglicani, cattolici o ortodossi. Esiste un ecumenismo del sangue».
A proposito della situazione dei cristiani, il Papa afferma: «Credo che il Signore non lascerà il suo popolo a se stesso». In questo momento il Medio Oriente «è terra di martiri. Possiamo senza dubbio parlare di una Siria martire e martoriata. Voglio citare un ricordo personale che mi è rimasto nel cuore: a Lesbo ho incontrato un papà con due bambini. Lui mi ha detto che era tanto innamorato di sua moglie. Lui è musulmano e lei era cristiana. Quando sono venuti i terroristi, hanno voluto che lei si togliesse la croce, ma lei non ha voluto e loro l’hanno sgozzata davanti a suo marito e ai suoi figli. E lui mi continuava a dire: “Io l’amo tanto, l’amo tanto”. Sì, lei è una martire. Ma il cristiano sa che c’è speranza. Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani».
Allargando lo sguardo al rapporto con le altre fedi e all’uso della religione per giustificare la violenza, dopo aver ripetuto che «non si può fare la guerra in nome di Dio», Francesco cita la strage di Nizza definendo l’autore un «pazzo squilibrato» e si dice certo che la vera apertura alla trascendenza non può provocare terrorismo. «Ci sono idolatrie legate alla religione: l’idolatria dei soldi, delle inimicizie... C’è una idolatria della conquista dello spazio, del dominio, che attacca le religioni come un virus maligno. E l’idolatria è una finta di religione, è una religiosità sbagliata. Io la chiamo “una trascendenza immanente”, cioè una contraddizione. Invece le religioni vere sono lo sviluppo della capacità che ha l’uomo di trascendersi verso l’assoluto. Il fenomeno religioso è trascendente e ha a che fare con la verità, la bellezza, la bontà e l’unità. Se non c’è questa apertura, non c’è trascendenza, non c’è vera religione, c’è idolatria. L’apertura alla trascendenza dunque non può assolutamente essere causa di terrorismo, perché questa apertura è sempre unita alla ricerca della verità, della bellezza, della bontà e dell’unità».

Bergoglio, mano tesa ai luterani 500 anni dopo la Riforma
CHIESE. Domani il papa in Svezia per celebrare l’anniversario delle 95 Tesi di Martin Lutero
Luca Kocci Manifesto Alias 30.10.2016, 23:58
Era il 31 ottobre 1517 quando il monaco agostiniano Martin Lutero affisse sul portale della chiesa del castello di Wittenberg – anche se non tutti sono concordi sulla storicità dell’episodio – le 95 tesi sulle indulgenze, dando il via alla Riforma protestante.
Domani l’evento sarà ricordato in Svezia, a Lund, sede della Federazione luterana mondiale (Flm), con un incontro ecumenico che aprirà gli eventi ufficiali del Cinquecentenario della Riforma. Nella cattedrale luterana di Lund si ritroveranno insieme il pastore cileno Martin Junge, segretario generale della Flm, l’arcivescova di Upssala primate della Chiesa luterana svedese Antje Jackélen, e papa Francesco, per una commemorazione e una preghiera comune che non sancirà la ritrovata unità fra protestanti e cattolici – troppi i nodi teologici ed ecclesiali che separano le due confessioni – ma che sarà un ulteriore tassello del dialogo cominciato cinquanta anni fa.
Nella Chiesa «costantiniana» collusa con il potere e diventata mondana, ricca e corrotta, della necessità di una riforma si parlava già nel XII secolo, con i «pionieri» Valdo di Lione e Francesco d’Assisi, il primo dichiarato eretico, il secondo ricondotto all’ordine e «normalizzato» post mortem. Poi nel ‘500 partì la grande campagna di vendita delle indulgenze per costruire la basilica di San Pietro, e in Germania, dove il monaco domenicano Johann Tetzel (in accordo con papa Leone X e l’arcivescovo di Magdeburgo Alberto di Hohenzollern) predicava che «quando il soldo suona nella cassetta, l’anima in cielo sale benedetta», Lutero prese posizione, per riportare il Vangelo alla sua essenzialità, affermando che la salvezza non si comprava, ma si raggiungeva solo con la fede e per grazia di Dio. Fu scomunicato da Leone X e di lì a poco, nel contesto decisivo dello scontro fra papato, impero e principi tedeschi – durante il quale furono massacrati anche migliaia di contadini, la cui rivolta venne condannata da Lutero –, nacquero le Chiese protestanti.
Dopo secoli di conflitti e scontri, con il Concilio Vaticano II il dialogo fra protestanti e cattolici fu avviato, e domani il papa va a Lund, riconoscendo con questo gesto il valore di Lutero, tanto che i cattolici più reazionari sono critici: è una resa, crea confusione e alimenta il relativismo.
Non era scontato che il papa partecipasse all’anniversario della Riforma. Del resto nel 1985, quando era ancora in Argentina, Bergoglio parlava di Lutero come di un «eretico» e di Calvino come di uno «scismatico» e di un «boia spirituale», sposando di fatto le tesi controriformistiche (il testo di Bergoglio, «Chi sono i Gesuiti. Storia della Compagnia di Gesù», tratto da una conferenza sui gesuiti, è stato pubblicato in Italia dalla Emi nel 2014).
Ma negli anni ha rielaborato le proprie posizioni. Tornando dal viaggio in Armenia, nello scorso giugno, il papa ha definito Lutero un «riformatore» e una «medicina» per tutta la Chiesa. E in un’intervista al gesuita svedese Ulf Jonsson, pubblicata l’altro ieri su Civilità Cattolica, ha attribuito a Lutero il merito di «mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo». Tanto che il teologo valdese Paolo Ricca può affermare che la presenza del papa a Lund «è il riconoscimento che la Riforma è stata un evento positivo per il cristianesimo nel suo insieme».
Molte cose dividono protestanti e cattolici. Nodi teologici e questioni ecclesiali, a partire dal ruolo delle persone omosessuali e delle donne nelle Chiese protestanti, in cui ricoprono ruoli ministeriali anche di vertice, come dimostra che ad accogliere il papa a Lund ci sarà una donna arcivescova, primate della Chiesa luterana svedese. Ma anche sui temi etici le distanze sono notevoli, basti pensare alle idee quasi in antitesi su bioetica, fine-vita (in molte Chiese protestanti si sottoscrivono testamenti biologici) e famiglia. Da questo punto di vista non sono previsti cambi di direzione di nessun tipo. Si proseguirà però sulla via dell’ecumenismo «pratico», a partire dalle emergenze sociali: domani pomeriggio, nella Malmö Arena, sarà firmato un accordo di cooperazione fra Federazione luterana mondiale e Caritas internazionale per l’assistenza ai rifugiati di tutto il mondo.

Ritorno a WittenbergDomani papa Francesco ricorderà la Riforma protestante. Noi siamo andati dove tutto iniziò
La cittadina tedesca si prepara ad accogliere i pellegrini. Ma pensando più al business che a DioTONIA MASTROBUONI Reo 30 10 2016
SOTTO QUEI TETTI BUCATI, tra quei muri mangiati dalla muffa, in mezzo alla polvere e ai mattoni sparsi a terra, è nato un pezzo di modernità. Cinquecento anni prima, in quella casa che sembra ormai un rudere, Cranach ha dipinto con i suoi figli alcuni capolavori del secolo. E al pianoterra, nelle sue officine, è stata stampata la prima Bibbia tradotta in tedesco da Martin Lutero. Quel 7 novembre del 1989, il gruppetto di indignati protesta contro la Germania comunista, colpevole di aver disprezzato quei luoghi, di averli ridotti in rovina. Ormai la città di Wittenberg, un luogo dello spirito per milioni di persone, è un buco in provincia, è una grigia striscia di case in cui nessuno dei luoghi deputati della Riforma protestante sembra destinato a sopravvivere.
Due giorni dopo, cade il Muro. L’evoluzione successiva ha consentito di recuperare quei posti — oggi la città è patrimonio dell’Unesco — di ricostruire mattone dopo mattone la storia di un piccolo villaggio della Sassonia che cinquecento anni fa divise il cristianesimo regalando ai tedeschi la loro lingua e un pezzo importante della loro cultura. Come scrisse Thomas Mann in un’introduzione al Faust goethiano: per capire Hitler bisogna capire Lutero. L’insanabile contrasto tra la libertà interiore che il Riformatore regalò ai tedeschi quando tradusse la Bibbia nella loro lingua e la libertà esteriore che gli negò quando ordinò ai principi di soffocare la rivolta dei contadini nel sangue, è anche l’eterno dilemma tedesco.
Ma anche con i cantieri e le gru, gli architetti, i sindaci democratici, le strette di mano e i giornali indipendenti, la sostanza non è cambiata. Anche l’arrivo dell’occidente capitalista non ha ripescato l’anima di Wittenberg. «I comunisti ci hanno fatto dimenticare chi eravamo, ma neanche dopo ce ne siamo più ricordati »: Hannah scuote la testa. Ha ottantatré anni, lo sguardo fiero e i capelli un po’ lilla delle tinte fatte in casa. Avanza lentamente col suo girello verso il centro della città. Non è bastato dipingere di colori pastello la fila di case lungo la Collegienstrasse, la via che collega la dimora di Lutero alla Schlosskirche, dove il monaco affisse nel 1517 le novantacinque tesi con cui avviò la sua rivoluzione. Né è bastato prepararsi al cinquecentesimo anniversario riempiendo le vetrine di cappellini, magliette, portachiavi o boccali di birra con l’effigie della “volpe nel vigneto”, come lo definì la bolla papale che lo scomunicò nel 1521. «Dell’anniversario di Lutero mi importa molto perché sarà bellissimo e ci aspettiamo pellegrini da tutto il mondo», ci dice Joachim, proprietario di uno dei negozi che vende gadget con il volto austero del Riformatore. Ma della religione, ammette, «non mi importa nulla».
Johannes Bloch, parroco della Stadtkirche è un uomo dall’aria mite: «Wittenberg è il nostro Vaticano», spiega, ma a parte i gadget di Lutero, di spiritualità se ne coglie un po’ poca. I tempi in cui gli studenti di Lutero scendevano in piazza a difendere le sue tesi contro i suoi oppositori anche a suon di schiaffoni, in cui bruciavano gli scritti di Johannes Eck in piazza (all’epoca bruciare libri era prassi), in cui una comunità intera, dal principe elettore Federico il Savio all’ultimo degli artigiani, si stringeva attorno all’”eretico”, sono tramontati. Anche la caduta del muro di Berlino e la fine dell’ateismo di Stato non sono riusciti a recuperarla. Ma forse molti fedeli erano spariti prima, nei lunghi secoli in cui Wittenberg è ripiombata nell’oblìo dopo l’incredibile fiammata cinquecentesca in cui era diventata il centro del mondo.
Oggi la Sassonia-Anhalt, lo dicono i dati del censimento del 2011, è la regione più atea della Germania. Nel Land dove Lutero avviò la sua rivoluzione, neanche il quindici per cento degli abitanti è protestante. In particolare Wittenberg, la città dove il teologo agostiniano scrisse le sue opere principali, dove insegnò per decenni, la soprintendenza ecclesiastica ci ha informato che sono appena ottomila i protestanti, su cinquantamila abitanti. Il sedici per cento della popolazione. E la chiesa dove Lutero predicò per la prima volta in tedesco, la Stadtkirche, la chiesa di Bloch che vanta tuttora la comunità più ampia, conta appena tremilacinquecento fedeli.
All’interno della chiesa, quasi interamente ricostruita, la pala dell’altare sembra la perfetta rappresentazione della Sternstunde, l’ora stellare di Wittenberg, come l’avrebbe definita Stefan Zweig. È il famoso altare di Cranach, molto probabilmente dipinto dal figlio Lucas, e vi compaiono tutti i protagonisti di quella brevissima ma intensa stagione che coincise con il governo di Federico il Savio. Un allineamento fortunato di pianeti che produsse l’ora stellare della Riforma. Fu il principe elettore sassone a scegliere Wittenberg come residenza di corte, a chiamare Cranach padre come suo pittore, a costruire l’università Leucorea, ad ampliare la Schlosskirche dove furono affisse le novantacinque tesi di Lutero. In quegli anni fu chiamato a Wittenberg un enfant prodige di cui parlava già tutto il regno, un grecista prodigioso, il ventunenne Filippo Melantone, che fece parte della cerchia di Lutero e che ne soffrì talmente l’esilio sulla Wartburg, dove il Riformatore scappò dal bando papale per tradurre la Bibbia, da definirne la lontananza «insopportabile ». Fu sempre Federico a favorire uno straordinario intreccio di relazioni che trasformarono quel piccolo villaggio di duemila anime — dove Lutero arrivò nel 1508 lamentandosi di essere stato mandato in termino civilitatis, alla “fine della civilità” mentre Melantone parlò di un “deserto” — in pochissimi anni nel centro del mondo. Oggi il periodo del Riformatore a Wittenberg può essere paragonato con quello di Goethe a Weimar. E Lutero non era un monaco solitario: padrino di Lucas Cranach, di cui fu a sua volta testimone di nozze, legatissimo a Melantone, in costante dialogo con il principe attraverso Spalatino (Lutero e Federico non si incontrarono mai), si costruì una fitta rete di intrecci in città che fu la base ideale per la Riforma. Con la morte del principe, si chiusero anche quegli straordinari decenni, quella Sternstunde. Al suo successore fu strappato il titolo di elettore e Wittenberg riprecipitò nell’oblìo.
In vista dell’anniversario delle novantacinque tesi, la città è ridiventata un cantiere. Poco dopo la stazione centrale che un piccolo esercito di operai sta ampliando, sulla strada che porta alla casa di Lutero, ci si imbatte in un gigantesco cilindro rosso che vuol essere il benvenuto ai pellegrini e ai turisti. All’interno, l’artista iraniano Yadegar Asisi ha ricostruito la città cinquecentesca a trecentosessanta gradi, in un gigantesco panorama che rappresenta le scene salienti della vita di Lutero. Qualche metro più in là, la casa del monaco. Purtroppo sarà chiusa per restauri fino a marzo del 2017, nel bel mezzo dell’anniversario. Forse ci si poteva muovere un po’ prima del quattrocentonovantanovesimo anno e mezzo per cominciare i lavori.
Una delle iniziative di cui gli organizzatori del “Lutherjahr”, l’anno di Lutero, vanno più fieri è il trucktour. Una ventina di volontari giovanissimi faranno un giro dell’Europa in sessantotto tappe con un camion speciale per raccogliere storie sulla Riforma. Il camion, dipinto di blu come i colori dell’Europa, si apre di lato e diventa un piccolo palcoscenico per discussioni pubbliche, per la raccolta delle storie o per informarsi sul Riformatore. Christof Vetter, direttore marketing delle celebrazioni dell’anniversario, spiega che il truck si fermerà anche a Roma. Incontrerete il Papa?, chiediamo. «No, ma una comunità cattolica e una protestante». Spontaneo domandare se il Papa è stato invitato a Wittenberg. Pausa. Vetter fissa un punto imprecisato sul tetto del camion. «L’anno prossimo», scandisce lentamente, «tutti i cristiani saranno i benvenuti, qui a Wittenberg». Anche il Papa? «Persino il Papa». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Lutero superstar

AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI Rep 30 10 2016
LUTERO SFERRÒ QUINDI UN ATTACCO FRONTALE contro uno dei principali sostegni del sistema finanziario della Chiesa di allora, delegittimando nello stesso tempo la funzione di mediazione spirituale e sacramentale del papato. Ed è per questo duplice motivo che le “tesi di Wittenberg” ebbero uno straordinario successo. Non a caso, Silvestro Mazzolini da Prieiro, maestro del sacro palazzo vaticano, il cui compito era analogo a quello che svolge oggi il prefetto della Congregazione per la dottrina della Chiesa (l’ex Sant’Uffizio), polemizzò con Lutero pubblicando a Roma, già nel 1518, un Dialogo contro le conclusioni presuntuose di Lutero intorno al potere papale.
Ad Augsburg, ai margini della Dieta imperiale (ottobre 1518), Lutero ebbe un incontro con un altro ben più celebre domenicano, il cardinale legato Tommaso De Vio, il quale chiese a Lutero di ritrattare. L’agostiniano preferì però appellarsi direttamente a Leone X, perché, disse, «è stato male informato». Lutero non ruppe allora con Roma, ma discusse sempre più apertamente la legittimità dell’autorità papale. A Lipsia, durante una disputa (giugno-luglio 1519), dichiarò che la Chiesa non ha bisogno di un capo terreno, perché Cristo è il suo capo e la roccia sulla quale si fonda la fede è Cristo e non il successore di Pietro.
Roma reagì allora ufficialmente. Il 15 giugno 1520 Leone X autorizzò l’apertura di un processo contro Lutero che fu chiamato nuovamente a ritrattare, non tutte, bensì quarantuno tesi di Wittenberg entro sessanta giorni, pena la scomunica. Le tesi condannate erano soprattutto quelle che mettevano in discussione i sacramenti e la mediazione spirituale del papato. Furono lasciate fuori tesi ripetitive o che non toccavano temi così fondamentali. Lutero non si recò a Roma per il processo, preferendo rimanere sotto la protezione del principe di Sassonia. Al Papa inviò il Trattato della libertà cristiana con una lunga lettera dedicatoria in cui espose la sua visione della Chiesa. Al Papa, Lutero riservò parole di rispetto e di elogio: «Il tuo buon nome e la fama della tua vita irreprensibile... non possono essere attaccati da nessuno». Feroce fu invece la polemica nei confronti della curia: il Papa «non può negare sia più corrotta di qualunque Babilonia o Sodoma» e «Satana in persona... regna... su questa Babilonia ».
Due mesi dopo (10 dicembre) Lutero diede pubblicamente fuoco alla bolla papale. Il 3 gennaio 1521 Leone X scomunicò l’agostiniano e alla Dieta imperiale di Worms (26 aprile) Carlo V fece mettere il frate al bando dell’Impero, una decisione che contribuì a politicizzare lo scontro tra Lutero e la Chiesa. Con straordinaria rapidità le idee di Lutero si stavano diffondendo nelle città libere dell’Impero, da Norimberga a Strasburgo, o a Zurigo, dove il teologo svizzero Ulrich Zwingli organizzò già nel 1523 una disputa per discutere settantasette tesi secondo cui la fede è suscitata nell’uomo direttamente dallo Spirito. Spettacolare, il successo della traduzione di Lutero della Bibbia — nel 1522 il Nuovo Testamento fu pubblicato in tremila esemplari — non si spiega soltanto perché fu un capolavoro sul piano linguistico. Per Lutero — e per la Riforma in generale — la Bibbia è l’unica fonte della Rivelazione, il che elimina la necessità di una mediazione dottrinale della Chiesa. In pochi anni, le differenze con i cattolici si erano dunque acuite: se per Lutero soltanto Cristo è il capo della Chiesa, e non il Papa, la sola autorità che conta non deriva dall’autorità della Chiesa ma dalla Parola di Dio che ogni fedele riceve dalla lettura della Bibbia. Fu con questi argomenti che, fin dagli anni 1517-1522, si venne a costruire il profondo diverbio tra cattolicesimo e luteranesimo che si affermò a macchia d’olio in gran parte dell’Europa. Contro il papato di Roma, fondato dal demonio è il titolo di una delle sue ultime opere, scritta un anno prima della sua morte (1545).
La Riforma si affermò anche per motivi politici. Numerosi Stati territoriali tedeschi, dalla Pomerania alla Sassia, potevano così manifestare la loro indipendenza verso l’imperatore. In Danimarca, la Riforma prese piede grazie all’appoggio del re Federico I, e da qui in Norvegia e in Islanda, paesi allora sottomessi alla corona danese. In Svezia, Gustavo I Vasa fece decretare la libera circolazione del Vangelo (1527). A Basilea, Calvino pubblicò la Istituzione della religione cristiana proprio nell’anno in cui (1536) impose la Riforma a Ginevra, che diventò una «Roma protestante ». Già nel 1530 il re d’Inghilterra Enrico VIII fece accettare dal Parlamento il titolo di capo supremo della Chiesa di Inghilterra, e quando l’unione segreta del re con Anna Bolena fu resa pubblica, papa Clemente VII lo minacciò di scomunica. Il re rispose facendo votare dal Parlamento l’Atto di Supremazia (1534). Nel 1538 Paolo III scomunicò il re sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà. Sotto Maria Tudor alcuni credettero che l’Inghilterra sarebbe tornata alla fedeltà verso Roma, ma il lungo regno di Elisabetta I d’Inghilterra (1558-1603) consolidò definitivamente la riforma anglicana.
Insomma, nel corso di pochi decenni l’Europa cristiana si divise profondamente, con regioni dominate dalla Riforma, irrimediabilmente separate da Roma, dove si continuò però a sperare di poter ristabilire l’unità della Chiesa. Convocato dapprima nel 1536 e poi nel 1545, il concilio di Trento si concentrò sui problemi teologici posti da Lutero. Sotto Giulio III una delegazione di protestanti tedeschi partecipò (1551-1552) al concilio ma senza risultati. Dopo una lunga pausa — per Paolo IV il compito di riformare la Chiesa spettava alla Sede apostolica — il Concilio riprese sotto Pio IV e si concluse nel 1563.
Proprio allora (1562) la Francia iniziò a essere dilaniata da una serie di guerre di religione. L’evento più tragico avvenne nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, festa di san Bartolomeo. Numerosi protestanti erano venuti a Parigi per assistere, il 18 agosto, al matrimonio tra Margherita di Valois (la regina Margot) e il futuro re di Francia Enrico IV, una «unione esecranda » secondo l’espressione del generale dei Gesuiti. Il massacro di san Bartolomeo — così è passato alla storia — fu una strage. Si calcola che furono allora uccisi cinquemila ugonotti.
Con l’editto di Nantes (30 aprile 1598) Enrico IV porrà fine alle sanguinose guerre di religione riconoscendo ai protestanti la libertà di culto nei territori dove erano già insediati, tranne che a Parigi e in alcune città. Due decenni dopo, tra il 1618 e il 1648, fu l’Europa centrale a essere attraversata da uno dei più sanguinosi conflitti della storia europea, la Guerra dei trent’anni. Mezzo secolo dopo, con la revoca dell’editto di Nantes da parte di Luigi XIV (18
 ottobre 1685), ripresero in Francia le persecuzioni contro i protestanti. Ventimila ugonotti fuggirono verso l’Inghilterra, la Virginia e la Carolina del Sud, la Germania, la Svizzera e i Paesi Bassi. Anche nello Stato sabaudo i valdesi furono cacciati dalle loro valli. Più di duemila persone trovarono rifugio nella Ginevra protestante, e altri nella Germania luterana.
Sono episodi tragici che fanno parte della nostra memoria collettiva, a ricordo — ora che si celebra il cinquecentesimo anniversario dell’inizio della Riforma protestante — di quei lunghi decenni di storia dell’Europa moderna, in cui incomprensioni e polemiche, stragi e massacri, migrazioni e esodi erano all’ordine del giorno, per ragioni profondamente religiose oltre che politiche.

Lutero, un’eredità nel sociale Manifesto Alberto Corsani 26.10.2017, 0:04
Nel 1917, a 400 anni dalle 95 Tesi di Lutero, varie chiese sorte dalla Riforma si trovarono di fronte a un problema: sentirsi unite da una celebrazione che era motivo di coesione identitaria o prendere atto del fatto che i loro Paesi erano nel bel mezzo di una guerra mondiale? Accettare l’eredità del monaco agostiniano, che fece da cerniera tra il tardo Medioevo e la modernità, o adeguarsi alla politica drammatica di guerra che poneva come prima esigenza quella di combattere il nemico? Per la prima volta, forse, le chiese luterane degli Stati Uniti si sentirono pienamente americane, nonostante la filiazione diretta dalle «chiese sorelle» di Germania. E che dire dei protestanti che in Europa videro i propri territori occupati dalla Germania nazista? Puoi condividere la stessa fede in Dio con coloro che stai combattendo?
FARE I CONTI, oggi, con cinque secoli di Riforma protestante comprende anche questa presa d’atto: per quanto il messaggio della fede in Gesù Cristo sia universale e rivolto all’umanità intera, la famiglia protestante nel mondo, rispetto alla chiesa cattolica romana si vede frazionata, anche se chiunque, a qualunque latitudine può sentirsi partecipe di una comunità cristiana; certo, riunirsi nell’alveo di una chiesa significa pur sempre fare i conti con la dimensione terrena dell’esistenza, dimensione ben lontana dall’essere perfetta; ma d’altra parte nessuna chiesa, nella visione protestante, può pensare di essere l’unica. E infatti quelle nate dalla Riforma hanno anche una identità nazionale, a partire dai valdesi, diffusi come movimento già tre secoli prima di Lutero.
Il concilio di Trento nella chiesa di santa Maria Maggiore
La consapevolezza dei propri limiti caratterizza l’essere protestante: una cognizione di sé che trova il suo naturale sbocco nel radicamento sociale. Se questo per i valdesi si tradusse nella difesa strenua della propria terra di montagna, per tutti tale atteggiamento significò e significa tuttora inserirsi nella società e spendere nella comunità civile la personale risposta alla chiamata (vocazione) ricevuta da parte di Dio, attuando opere mirabili, ma anche nefandezze come il regime sudafricano dell’apartheid, che bestemmiò la dottrina calvinista.
Tuttavia alle infezioni si possono opporre degli anticorpi: è quanto avvenne quando l’Alleanza riformata mondiale (oggi Comunione mondiale di Chiese riformate – ramo calvinista della Riforma) sospese negli anni ottanta due chiese sudafricane di origine olandese, per il sostegno dato al regime razzista; persasene una per strada, l’altra è stata riammessa avendo condannato le proprie posizioni.
Ognuno di noi – a partire dalla definizione di Lutero – è simul iustus et peccator, a un tempo reso giusto da Dio e però pur sempre umano e incline al peccato.
INTORNO A QUESTA dialettica tra universalità e radicamento si sono sviluppate anche le iniziative del 500/mo anniversario, cominciate invero il 31 ottobre 2016 nella cattedrale luterana di Lund in Svezia, con la partecipazione di papa Bergoglio a significare un’auspicata nuova stagione di rapporti fra cattolicesimo e chiese nate dalla Riforma. La sua presenza presso la «famiglia luterana mondiale», pur ponendo problemi a qualche oppositore in casa cattolica, che vedono la Chiesa di Roma «protestantizzarsi», ha fatto capire come vi siano le condizioni per avviare una lettura il più possibile condivisa del passato.
UNO SGUARDO NUOVO per una comprensione nuova, come testimoniato dal bel convegno organizzato nel novembre scorso dalla Conferenza episcopale e dalle chiese evangeliche, proprio nella Trento che fu sede del Concilio, da parte di chiese che hanno un problema in comune: parrocchie cattoliche e chiese del protestantesimo storico si vanno svuotando, sotto l’influsso incrociato di secolarizzazione e progresso scientifico.
LA NATURALE TENDENZA protestante alla coscienza critica (per secoli rubricata alla voce «individualismo protestante») finisce per esporre le chiese della Riforma a un’autocritica serrata, non avvistata per ora all’orizzonte di altre formazioni neo-protestanti (evangelical) che vedono aumentare i fedeli e le presenze ai servizi liturgici, sia in Asia e Africa sia in paesi come il nostro, che accolgono (quando lo fanno) immigrati evangelici di provenienza terzomondiale.
Vi sono anche altri ambiti in cui le chiese nate dalla Riforma si affacciano e dialogano con la Chiesa cattolica (e in parte anche con il mondo ortodosso). Bene avviati ormai da decenni gli studi teologici comuni con le Università cattoliche e le traduzioni e studi filologici sulla Bibbia, sono sotto gli occhi di tutti le sinergie nei settori di accoglienza e assistenza, come testimoniato dai «corridoi umanitari» per richiedenti asilo, avviati nel marzo 2016 dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia con la Comunità di S. Egidio e la Tavola valdese, attraverso un protocollo siglato con i ministeri dell’Interno e degli Esteri, modello ripreso nel corso dell’estate dai protestanti francesi.
LE NOTE DOLENTI si situano a un livello più ecclesiologico che teologico: la strutturazione gerarchica della Chiesa cattolica, nonostante l’opera pluridecennale di alcuni ambiti di avanguardia (per esempio nel campo dei matrimoni interconfessionali), le rende difficile pensare alle altre chiese come sullo stesso piano rispetto a lei. E poi è il piano etico quello che fa più parlare di sé.
Il carattere più normativo che dialogante della Chiesa di Roma è respinto in quanto «impositivo» da parte della cultura laica: procreazione assistita, fine-vita, eutanasia e suicidio assistito, etica sessuale, a fronte di posizioni abbastanza rigide da parte cattolica, fanno registrare una tendenza delle chiese protestanti a puntare molto sull’autonomia e sulla coscienza dell’individuo, in linea con la consuetudine del libero accesso al fondamento della vita cristiana, cioè le Scritture bibliche, sede della rivelazione di Dio all’umanità. Capita però che il mondo non-cattolico in Italia interpreti questa accentuazione di libertà dell’individuo spingendolo «oltre».
IL CREDENTE PROTESTANTE è infatti sì libero, ma «libero per servire», cioè per servire, amandolo, il proprio prossimo (Epistola ai Galati 5, 13): e questo avviene con la cura dei propri simili, all’interno della società e non ai margini di essa; inoltre, è nella società e nella politica che si spende l’esistenza del o della credente protestante, alle prese con la propria coscienza e consapevole di non rappresentare un’intera chiesa.
Alla base di questo atteggiamento, però, è la convinzione che questa libertà non è frutto di nostre conquiste, ma ci è stata data. Più che libero o libera, il (la) protestante sa di essere stato «reso libero», e di questo è grato o grata a Dio. Essere stati resi liberi significa sapere che di questa autonomia un giorno saremo chiamati a rispondere a chi l’ha donata gratuitamente. Ogni risultato è provvisorio, come lo è questo anno di celebrazioni, da intendersi come nuova, ulteriore ripartenza.

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