domenica 20 novembre 2016

Avventura e colonialismo nell'Impero britannico


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Fergus Fleming: I ragazzi di Barrow, Adelphi, pp.542, €35
Risvolto
Nel 1804, quando John Barrow ascende al soglio di secondo segretario dell'Ammiragliato britannico, sulle carte dei di lì a poco sudditi di Vittoria spicca ancora un numero allarmante di zone bianche. Alcune – l’Australia, e anche l’Antartide – per il momento potevano rimanere tali, ma in altre si annidavano enigmi da sciogliere quanto prima, data l'importanza strategica loro attribuita: il vero corso del Niger, ad esempio, e l’esistenza o meno di un Passaggio a nordovest. Su entrambi Barrow aveva idee spesso sbagliate, ma comunque chiare: e, soprattutto, la possibilità di realizzarle. Quindi, muovendosi dalla scrivania così di rado che in occasione del congedo i superiori, convinti che non potesse separarsene, gliene fecero dono, Barrow trascorse i quarant’anni del suo regno a montare un impressionante numero di spedizioni verso il Polo o l’Equatore. Difficilmente quelle avventure scampavano al disastro, al grottesco, o a una miscela variabile di entrambi. Eppure, ognuna contribuì alla maggior gloria del loro mandante, a tempo perso consulente del più importante editore inglese di viaggi, John Murray, quindi censore alquanto arcigno e non del tutto spassionato dei resoconti con cui i suoi ragazzi, portata a casa la pelle, speravano di arrotondare una paga piuttosto misera. La lunga, entusiasmante, divertentissima storia di caratteri leggendari come Parry, Ross e Franklin – dei loro sogni, delle loro imprese, della loro follia – è stata sempre raccontata come un'epopea. In questo libro, Fergus Fleming l’ha finalmente trasformata in ciò che, in realtà, era fin dall’inizio: una commedia nera, percorsa dalla tensione quasi smaniosa che anima tutti i suoi personaggi, protagonisti o comprimari che siano. E che da queste pagine, per contatto, si trasmette al lettore. 
Morire ai confini del mondo per la geografia visionaria di Londra 

NeiRagazzi di Barrow, l’epopea delle esplorazioni britanniche nell’800 Coraggio, follia, ostinazione: mix che è sembrato riaffiorare con la Brexit 

Paolo Bertinetti  Busiarda 20 11 2016
Sono pazzi questi inglesi!», esclamava Asterix nell’album a fumetti ambientato nell’Inghilterra di venti secoli fa; pazzi e fieri dei loro curiosi costumi e della loro insularità. La fierezza non è mai mancata ed è quella che almeno in parte sta alla base della vittoria della Brexit. In quanto alla pazzia, a volte c’è stata davvero, magari nascosta dove meno te l’aspetti. Ad esempio nella sede dell’Ammiragliato, come racconta Fergus Fleming nel bel libro intitolato I ragazzi di Barrow (Adelphi, pp.542, €35). 
Barrow, a partire dal 1804, fu il secondo Segretario dell’Ammiragliato. Nelle carte geografiche spiccavano ancora diverse zone bianche, a indicare le terre inesplorate; e l’impegno fondamentale di Barrow per i quarant’anni in cui restò in carica fu quello di promuovere le spedizioni che consentissero di colorarle. Il materiale umano non mancava. Alla fine delle guerre napoleoniche la Royal Navy aveva nei suoi ranghi più di 6000 ufficiali, molti dei quali desiderosi di fare carriera ad ogni costo. Anche a costo della vita: la loro e quella dei loro uomini, lanciandosi spesso in imprese in cui il coraggio e la passione per l’esplorazione non erano minori della follia. 
Quelle imprese furono presentate allora e tramandate poi con i toni dell’epopea, grazie a un’operazione retorica di ingannevole esaltazione della gloria britannica non dissimile da quella messa in atto dai fautori della Brexit. In realtà, spiega Fleming, le missioni promosse da Barrow, che era animato dalla convinzione assoluta che le sue fantasiose intuizioni fossero nel giusto, erano spesso insensate, sia per i mezzi, sia per i metodi usati.
Barrow giurava sull’esistenza di un passaggio a Nord-Ovest, una rotta dall’Atlantico al Pacifico lungo le estreme coste settentrionali canadesi. Quella diventò la sua ossessione. Forse nessuno, dice Fleming, fece perdere così tanto denaro e vite umane per realizzare un’impresa così grottescamente inutile. Il capitano Parry, a cui il poeta Thomas Hood dedicò un’ode, guidò quattro spedizioni nell’arco di otto anni; ma tornò a casa sano e salvo. Il capitano Franklin e quasi tutti i suoi marinai non tornarono più. Dalla carte in seguito ritrovate si direbbe che fosse giunto assai vicino al punto da cui procedere verso il Pacifico. Ma per seguire «l’intuizione» di Barrow proseguì nella direzione sbagliata. 
Le successive missioni di soccorso alla ricerca prima di lui e poi dei suoi resti costarono un patrimonio e molte altre vite umane. Il risultato positivo fu che nei dieci anni di quelle ricerche l’Artide «subì un assalto cartografico forse decisivo»; ma della fine di Franklin nulla fu scoperto.
L’altra ossessione di Barrow era quella di mappare l’intero corso del Niger, che secondo lui confluiva nel fiume Congo. Quindi promosse una prima spedizione via acqua, che si concluse con la morte del suo responsabile, James Tuckey, e di quasi tutti i suoi uomini, che erano riusciti a risalire il Congo per 300 chilometri. Barrow rimaneggiò pesantemente in chiave ottimistica il diario di Tuckey e promosse poi una folle spedizione verso il Niger via terra, attraverso il Sahara. Ad arrivare alla mitizzata Timbuctù fu più tardi un ufficiale dell’Esercito, Gordon Laing, quasi impazzito a conclusione di un viaggio «impossibile» per un europeo: scoprì che la città era «una fetida distesa di casupole in fango e mattoni», protetta da sei chilometri di mura, in un’area controllata dai predoni Tuareg. Dopo un mese Laing lasciò la città, diretto forse verso il Marocco; al terzo giorno di viaggio fu decapitato dai predoni.
Fleming riporta una massa impressionante di affermazioni insensate e crudeli di Barrow, che non aveva nessuna considerazione per le sofferenze dei suoi esploratori; anzi, quasi le considerava doverose. Al tempo stesso, però, riferisce accuratamente le circostanze di quelle folli imprese, che, al di là delle fantasticherie di Barrow, in effetti portarono a risultati scientifici importanti. La sua ricostruzione, priva di retorica (e forse proprio per questa ragione), ci dà comunque l’idea del coraggio, della determinazione, dell’eroismo di quei «pazzi di inglesi», animati da uno spirito intrepido che merita tutto il nostro rispetto. 
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