martedì 22 novembre 2016

Continua la guerra tra Papa Ciccio S.I., modernista e perdonatore di abortiste, e la reazione capeggiata da Antonio Socc'mel


Corriere


Francesco assolve l’aborto: l’amore è superiore alla legge 
Finito il Giubileo della misericordia. Tutti i preti cattolici potranno concedere l’assoluzione a donne, medici e infermieri per quello che resta comunque «peccato grave». Cambierà il diritto canonico. «Non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito»

Luca Kocci Manifesto ROMA 22.11.2016, 23:59 
Il Giubileo della misericordia, concluso ufficialmente domenica scorsa con la chiusura della «porta santa» della basilica di san Pietro – verrà riaperta in occasione del Giubileo ordinario del 2025 –, termina con una lettera apostolica di papa Francesco (Misericordia et misera) che modifica in maniera sostanziale la rigidità della prassi pastorale della Chiesa romana in materia di aborto. 
D’ora in poi, infatti – è scritto nel paragrafo 12 del documento firmato dal pontefice il giorno 20 ma reso noto solo ieri –, «tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero», avranno «la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto». Quindi non solo le donne che scelgono di interrompere la gravidanza, ma anche medici, infermieri e tutto il personale socio-sanitario coinvolto. Fino a ieri per tutti c’era la scomunica automatica (latae sententiae), e potevano essere assolti solo da un vescovo o da un prete delegato appositamente dal vescovo stesso. 
È una misura che non cancella il «peccato di aborto» («l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente», puntualizza Francesco) – quindi non c’è nessuna modifica dottrinale –, ma introduce un profondo aggiornamento pastorale e giuridico, tanto che in Vaticano metteranno mano anche al Codice di diritto canonico, come spiega mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione: il diritto canonico «è un insieme di leggi, nel momento in cui c’è una disposizione del papa che modifica il dettato della legge si deve necessariamente cambiare l’articolo che riguarda quella specifica disposizione» (ovvero il canone 1398: «Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae»). 
«Non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito»Misericordia et misera, par. 12 
Il criterio che ha guidato papa Francesco – a partire dai racconti evangelici della «adultera» e della «peccatrice» perdonate da Gesù – è che «l’amore» è superiore alla «legge» e che «nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia». Pertanto «non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito». Compreso l’aborto. 
Nonostante la misura non giunga del tutto inaspettata – rende permanente ciò che era stato già permesso limitatamente alla durata del Giubileo –, è certo che provocherà forti scosse all’interno della Chiesa cattolica, dove il fronte reazionario è già sul piede di guerra. 
Solo pochi giorni fa, infatti, quattro cardinali ultraconservatori (fra cui l’ex arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra), che già durante il Sinodo sulla famiglia animarono il fronte integralista contrario a ogni apertura, hanno diffuso – tramite il blog del vaticanista Sandro Magister, sempre più megafono dell’opposizione conservatrice a papa Francesco – una lettera in cui chiedono al pontefice di chiarire «cinque dubbi» della Amoris laetitia, l’Esortazione post sinodale che contiene moderate aperture «caso per caso» per esempio sulla possibilità di concedere l’assoluzione e l’accesso alla comunione ai divorziati risposati. 
Ora, con questa nuova e più decisa azione di aggiornamento pastorale, le contestazioni dei reazionari non mancheranno, anzi saranno sicuramente accese. 
Nella lettera apostolica di papa Francesco c’è una seconda misura di rilievo, anche questa concessa inizialmente per il Giubileo ed ora «estesa nel tempo»: la facoltà per i preti ultratradizionalisti lefebvriani della Fraternità San Pio X – non pienamente in comunione con la Chiesa di Roma, per non aver mai riconosciuto i risultati del Concilio Vaticano II – di confessare e impartire «validamente e lecitamente l’assoluzione» ai fedeli. 
Potrebbe sembrare, da parte di papa Francesco, un’operazione trasformista – per accontentare tutti, o non scontentare nessuno. Senz’altro c’è il tentativo di tenere insieme tutti i pezzi della Chiesa cattolica, contraddizioni comprese. 
Infine l’indizione, per l’ultima domenica dell’anno liturgico cattolico – è stata domenica scorsa, quindi se ne parlerà a novembre prossimo – della Giornata mondiale dei poveri. 
Perché, scrive Francesco, la misericordia deve avere un «carattere sociale», e «la giustizia e una vita dignitosa non rimangano parole di circostanza ma siano l’impegno concreto di chi intende testimoniare la presenza del Regno di Dio».


Aborto, la svolta del Papa “Assolvete le donne e i medici che le aiutano” 
Lo storico messaggio rivolto a tutti i sacerdoti “Resta un peccato grave, però vi invito al perdono”

MARCO ANSALDO Rep 22 11 2016
CITTÀ DEL VATICANO. «Perdonate le donne che interrompono la gravidanza. E assolvete medici e infermieri che hanno procurato l’aborto». Ha il crisma della “facoltà” la decisione del Papa, inviata a tutti i sacerdoti, per quello che è sempre considerato come «un peccato grave, perché pone fine a una vita innocente». Ma ha il carattere e la forza dell’invito al perdono, che adesso passa dai vescovi a ogni ministro della Chiesa. È l’ultima mossa di Francesco, già definita come storica. E apre le porte a un confronto, forse l’inizio di una nuova battaglia, tra riformisti e conservatori.
I preti potranno dunque perdonare tutti coloro che hanno procurato o praticato l’aborto. E dunque non solo le donne, ma pure i medici, gli infermieri. Non solo in forma straordinaria, come avvenuto fino a domenica scorsa, quando ci trovavamo nel periodo dell’Anno Santo. Ma «per sempre», come da disposizione pontificia. Lo ha stabilito il Papa nella sua Lettera Apostolica consegnata domenica a conclusione del Giubileo ad alcuni vescovi, suore, laici, e a un solo cardinale, il filippino Luis Antonio Tagle, sempre più guardato con attenzione da Jorge Bergoglio, e resa nota ieri in Vaticano.
Sono giorni frenetici, questi, nella Santa Sede. Prima il Concistoro con la creazione di nuovi porporati scelti dal Papa che viene “dalla fine del mondo”, e che vanno a costituire l’ossatura del Collegio cardinalizio destinato un giorno a nominare il futuro Pontefice. Poi la chiusura dell’Anno Santo della Misericordia, voluto fortemente da Francesco. Quindi la sua risposta ferma («non è tutto solo bianco o nero») data a quattro cardinali conservatori che lo contestano su questioni dottrinali con la richiesta di «fare chiarezza». E infine la Lettera apostolica Misericordia et Misera. Un nuovo passo verso la Chiesa modellata dal Papa argentino.
Scrive Francesco: «Perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario». Alla comunione, adesso, potranno accedere sia le madri che i medici che hanno causato un aborto. Finora per loro scattava in automatico la scomunica che poteva essere sciolta solo da un vescovo.
Ma non c’è «nessuna forma di lassismo nella norma», precisa «a scanso di equivoci» monsignor Rino Fisichella, l’organizzatore dell’Anno Santo che ieri ha presentato in Vaticano il documento papale. Cambierà però il diritto canonico. Con l’assoluzione, infatti, la scomunica viene meno. «Il peccato riguarda tutti, e dunque anche il perdono è onnicomprensivo, riguarda tutti gli attori».
Ulteriori novità: il Papa ha istituito la Giornata mondiale dei poveri. E poi esteso oltre la conclusione del Giubileo la possibilità di confessarsi anche presso i sacerdoti lefebvriani. Un’ennesima apertura.
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“Ma si rischia di minimizzare una scelta sbagliata” 
L’INTERVISTA. PARLA GIANFRANCO GIROTTI, REGGENTE EMERITO DELLA PENITENZIERIA APOSTOLICA

ORAZIO LA ROCCA Rep 
CITTÀ DEL VATICANO. «Ma c’è il serio rischio che il peccato di aborto ora possa essere minimizzato ». Pur con «tutto il rispetto che si deve a un gesto di così alta Misericordia voluto dal Santo Padre», c’è chi Oltretevere non nasconde di essere «preoccupato» per le «conseguenze» che possa provocare all’interno della Chiesa la facoltà concessa dal Papa nella Lettera Apostolica
Misericordia et Misera.
Tra i pochi ad esternare i propri timori, l’arcivescovo Gianfranco Girotti, francescano, Reggente emerito della Penitenzieria Apostolica, il dicastero che giudica i grandi peccati (
Delicta Graviora)
del clero. Nonché,
consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi.
Monsignor Gianfranco Girotti, perchè è tanto preoccupato?
«Prima di tutto va detto che il Santo Padre ha fatto un gesto di grande Misericordia perché, come ha sempre sostenuto, Dio perdona e accoglie chi si rivolge a Lui dopo essersi pentito. Per cui la Chiesa si deve aprire a tutti, specialmente a chi le tende una mano dopo aver sbagliato. Il vero problema è come potrà essere accolta e che reazioni genererà la Lettera del Papa, perché temo che ci sarà chi, sbagliando, minimizzerà la scelta di interrompere la gravidanza credendo di essere facilmente perdonato. È già successo e le reazioni negative non sono mancate».
Precisamente, quando è capitato?
«Successe quando papa Wojtyla estese a vescovi delegati la facoltà di assolvere dal peccato d’aborto. Ci furono polemiche e reazioni negative di chi nella Chiesa temeva che sull’interruzione della gravidanza si stava andando verso una forma di lassismo. Ora potrebbe succedere la stessa cosa, a scapito del vero significato del gesto del Santo Padre, e cioè l’affidamento alla Misericordia di chi si pente e chiede perdono. Perché Dio è più forte di qualsiasi peccato, aborto compreso ».
Quindi, secondo lei, sarebbe stato meglio lasciare la condanna di scomunica per l’aborto?
«No, ma è innegabile che la fermezza della Chiesa nel condannare l’aborto è stata una forma di deterrenza. Ora, avere a disposizione qualsiasi sacerdote per essere assolti potrebbe minimizzare il senso del peccato.
Cosa fare?
«I sacerdoti confessori dovranno essere ancora più responsabili e praticare con prudenza e discernimento la facoltà di perdonare simili colpe solo di fronte a sicuro pentimento nel solco di quella Misericordia promossa da papa Francesco con profetica passione e lungimiranza pastorale».
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La battaglia sui temi etici così Francesco sfida i vescovi conservatori 
PAOLO RODARI Rep 
CITTÀ DEL VATICANO
«ADESSO speriamo che non si banalizzi il peccato dell’aborto». Fatica a dire altro quella parte di Chiesa, settori minoritari ma comunque parecchio agguerriti, che non vede di buon occhio i tentativi di Francesco di privilegiare la grazia sulla legge, lo spirito sulla lettera. La pubblicazione del documento Misericordia et misera allarga il solco tra il Papa e i conservatori.
FRA «chi è ossessionato dalla perdita degli “spazi” di influenza e chi — spiega il filosofo Massimo Borghesi — confida in una libera testimonianza dettata dai “tempi” di Dio». Dice ancora Borghesi: «Il processo di ideologizzazione è qui esattamente inverso a quello degli anni ’70 del Novecento. Allora l’ideologia della fede riguardava la sinistra cattolica affascinata dal marxismo. Oggi il processo di congelamento riguarda la destra “cristianista” ».
C’è una “destra”, all’interno della Chiesa cattolica, che non tollera in nessun modo le aperture di Papa Francesco. Una “destra” conservatrice e tradizionalista che per anni ha combattuto una sua battaglia sui temi etici. Sono diversi, infatti, i teologi morali che hanno costruito carriere importanti sulla difesa di una interpretazione ristretta dell’enciclica Humanae Vitae: «E questa opposizione critica continua ancora ai nostri giorni», scrive non a caso padre Gianfranco Grieco, in “Paolo VI. Ho visto e creduto” (Lev), pubblicato alla vigilia della beatificazione di Montini. E, insieme, su quello che è considerato da più parti un vero e proprio tradimento del criterio della gerarchia delle verità che fu caro al Concilio Vaticano II. In troppi, dice in proposito Victor Manuel Fernadez, teologo argentino vicino al Papa, hanno dimenticato che «ci dovrebbe essere una proporzione adeguata soprattutto nella frequenza con la quale alcuni argomenti o accenti vengono inseriti nella predicazione. Per esempio, se un parroco lungo l’anno liturgico parla dieci volte di morale sessuale e soltanto due o tre volte dell’amore fraterno o della giustizia, vi è una sproporzione. Ugualmente se parla spesso contro il matrimonio fra omosessuali e poco della bellezza del matrimonio ».
È quanto sembrano non comprendere i quattro cardinali — Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner — che hanno deciso di rendere pubblica una lettera nella quale chiedono al Papa di chiarire alcuni punti a loro dire controversi contenuti in
Amoris Laetitia su matrimonio e famiglia. Quattro emeriti che, evidentemente, riportano pensieri dei quali sono convinti anche altri loro confratelli, più timorosi a esporsi. Soltanto un anno fa i quattro erano tredici. Fra loro, delle eminenze di primo piano nel panorama ecclesiale: Thomas C. Collins di Toronto, Timothy M. Dolan di New York, Willem J. Eijk di Utrecht, Gerhard L. Müller prefetto della congregazione per la dottrina della fede, Wilfrid Fox Napier arcivescovo di Durban, George Pell prefetto in Vaticano della segreteria per l’economia, Robert Sarah prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Jorge L. Urosa Savino arcivescovo di Caracas, Daniel Di Nardo, presidente dei vescovi americani. I tredici sottoposero all’attenzione del Papa delle serie «preoccupazioni» circa le procedure del Sinodo, a loro giudizio «configurate per facilitare dei risultati predeterminati su importanti questioni controverse». Oggi, a Sinodo concluso, quattro di loro espongono altri dubbi arrivando, così il cardinale Burke, a sostenere che se il Papa non risponderà «ci sarebbe il problema di compiere un atto formale di correzione di un serio errore».
Oltre alle parole fanno impressione certi silenzi. Anzitutto quelli dei vescovi italiani che non riescono, in forma pubblica, a prendere le distanze dai quattro. E poi i silenzi degli organi ufficiali della Chiesa. Anche se ieri, a onore del vero, è stato l’Osservatore Romano a dirsi sorpreso del fatto che «nella Chiesa non tutti capiscano il significato pastorale e missionario delle scelte e dell’impegno» del Papa.
Oltre l’Italia è il Nord America un terreno fertile di opposizione al Papa che più di altri ha dato voce a quell’America Latina che non vuole essere il cortile di casa degli Stati Uniti. Una settimana fa i vescovi americani hanno eletto i loro vertici. Il nuovo presidente è Di Nardo, che firmò la lettera dei tredici. Esponente di spicco dell’episcopato è Charles J. Chaput, arcivescovo di Philadelphia e presidente, negli States, della commissione episcopale per l’applicazione di Amoris laetitia. È stato Chaput ad aver pubblicato, all’inizio dell’estate per la sua diocesi, delle linee guida sula stessa Amoris laetitia più restrittive del testo stesso, non ammettendo la comunione i divorziati risposati tranne nel caso che vivano come fratello e sorella.
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Ma i medici obiettori restano in trincea “È solo un gesto di misericordia” 
Il fronte del no in corsia: “Il Papa non ha sdoganato niente ma ha aperto le porte a chi si pente”

MARIA NOVELLA DE LUCA
ROMA. Un passo in avanti. No, pura e semplice misericordia. C’è chi, come Massimo Srebot, ginecologo non obiettore, vede nelle parole di Bergoglio, «un’apertura », e chi, invece, come il professor Giuseppe Noia, ginecologo obiettore del policlinico Gemelli di Roma, parla di «pura e semplice misericordia».
In mezzo ci sono le donne, la legge 194, e le posizioni opposte sull’aborto che da 40 anni dividono i medici negli ospedali italiani. Sì, perché nonostante il grande appello di papa Francesco ad assolvere le donne che abortiscono(e si sono pentite) e i ginecologi che quella maternità hanno interrotto, le parole del Papa sembrano incidere poco sulle scelte degli uni e degli altri. Dice Noia: «In 25 anni di carriera ho curato 150mila donne e fatto 6mila parti, e ho seguito decine di pazienti arrivate da me in depressione dopo aver deciso un aborto. Ecco, il Papa non ha in alcun modo sdoganato l’interruzione volontaria di gravidanza, che è comunque la soppressione di una vita, ma ha voluto allargare le braccia anche verso chi ha peccato e oggi soffre».
Semplice misericordia dunque? Per Massimo Srebot, direttore di ostetricia e ginecologia della Asl5 di Pisa, il discorso di Bergoglio è invece un «ponte per il dialogo». «Ritengo legittimo che una donna possa dire no ad una gravidanza, e debba essere sostenuta nella sua scelta. E in questa Chiesa che apre le porte a chi ha fatto un aborto, e ai medici non obiettori, vedo un invito a superare gli steccati ». Perché si può restare della propria idea ma lavorare insieme, dice Srebot, che dirige un reparto «di obiettori e non obiettori, ma le donne che abortiscono hanno comunque il rispetto di tutti». Emanuela Lulli, ginecologa obiettrice a Pesaro, sposta il discorso sui «bimbi non nati». «È un messaggio che apre alla riconciliazione. Conosco molte donne che dopo aver abortito non riescono a perdonarsi, pensano per anni al bambino che non hanno messo al mondo, perché la vita inizia dal concepimento, e le madri lo sanno. Sentire che possono pentirsi è di grande conforto. Io ritengo la 194 una legge sbagliata, ma credo che ci debba essere una rete di servizi che sostiene la donna, e l’aiuta a scegliere di diventare madre».
C’è però anche una valenza sociale nel discorso di Papa Francesco, sottolinea Alberto Gambino, presidente di Scienza e Vita. «Bergoglio conosce le periferie del mondo, sa bene che in molti contesti, pensiamo alla prostituzione, l’aborto è una costrizione, una violenza che si somma a violenza. E allora cosa deve fare la Chiesa? Perdonare, anche se il peccato resta così grave che si deve attivare immediatamente un percorso di riconciliazione con Dio».
Ad ascoltare Laura, però, ginecologa in un affollato reparto di interruzione volontaria di gravidanza di Napoli, le parole «pur misericordiose di Francesco non cambiano il dolore delle donne». «Ma non è il dolore di chi pensa al peccato, chi sceglie l’interruzione volontaria di gravidanza francamente sa quello che fa. È invece la sofferenza di dover abortire in reparti che sono catene di montaggio: noi lavoriamo in condizioni disumane, non abbiamo il tempo materiale di parlare con le pazienti, sostenerle, avviarle alla contraccezione. Arrivano da sole, se ne vanno da sole, tante sono straniere, tante non riusciamo ad accettarle e chissà dove finiscono... Credo che qui dentro Dio sia l’ultimo dei pensieri».
Bruno Mozzanega, professore aggregato di ginecologia all’università di Padova, è un obiettore di coscienza “moderato”. «Le parole del Papa hanno riacceso i riflettori sulla tragedia dell’aborto, fin troppo banalizzato in questi anni, e non soltanto perché è un peccato grave, ma perché segna per sempre la vita della donna che vi si sottopone. Si deve fare informazione, parlare dei contraccettivi, aiutare la maternità, creare le condizioni per fare dei figli. Invece cosa fa lo Stato? Liberalizza i farmaci abortivi e scarica sulle donne la responsabilità della scelta se tenere o sopprimere una vita. Lasciandole così sempre più sole».
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FRANCESCO E L’AMORE PIÙ FORTE DELLA LEGGE 
VITO MANCUSO Rep 22 11 2016
«FAR comprendere il mistero dell’amore di Dio», scrive papa Francesco nella lettera apostolica di chiusura dell’anno giubilare, ma il termine «mistero» lo si può, anzi lo si deve, applicare all’amore in quanto tale. AMORE? Perdono? In questo mondo dove tutto è calcolo, tecnica, prestazione; in questo mondo dove tutto risponde a una logica del legale, dell’utile, del redditizio, del necessario; in questo mondo dove sempre e comunque tutti devono pagare ogni cosa con il denaro ma ancor più con la libertà, il tempo, la vita; in questo mondo di forti, furbi, potenti e prepotenti, in questo mondo che così è e sempre così sarà, il compito della Chiesa, dichiara finalmente un Papa, è un altro: non di essere l’ennesima istituzione governata dal potere e dalla ricchezza, ma di essere “segno di contraddizione”, paradosso, scandalo, e così di rimandare a un altro stile e a un’altra possibile vita. È l’utopia della gratuità, del disinteresse, della generosità, della nobiltà d’animo: di tutto ciò a cui Francesco si riferisce dicendo «misericordia». Questa parola un po’ oleosa e consunta per il linguaggio contemporaneo, e che nessuno quasi usa più, acquista con lui un sapore nuovo e una freschezza inaspettata.
Per il mondo in cui viviamo e lavoriamo la legge è e sarà sempre importante, esso non ne può fare a meno, come non può fare a meno della spada per punire i trasgressori. Però il compito di quella pazzia che si chiama cristianesimo è un altro. E finalmente da oltre tre anni è arrivato un Papa «dalla fine del mondo» a ribadire che la Chiesa esiste per indicare che al fondo delle nostre esistenze vi è qualcosa di più importante della legge e dell’ordine, ed è l’essere umano nella sua concretezza. Comprensivo di quei disordini umani che la Chiesa chiama “peccati”. E di quel disordine assai particolare che è l’aborto.
Non che per il Papa i peccati non siano più rilevanti e l’aborto non sia più un peccato. Anzi: «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente». L’aborto in quanto tale non sarà mai accettabile dalla coscienza cristiana perché essa è convinta che di fronte a una vita diversa dalla propria la signoria dell’Io debba fermarsi e procedere nel massimo rispetto, all’insegna della non-violenza e di quella cultura della pace che si auspica venga applicata dagli Stati nel risolvere i conflitti e da sempre più persone nell’alimentazione e nel trattare gli animali. Quell’esserino chiamato al mondo a sua insaputa, e che ora nel ventre materno vuole solo vivere, va protetto e lasciato sussistere nel suo slancio vitale: non c’è bisogno di essere cristiani per riconoscerlo, tutte le religioni lo fanno, così come numerosi filosofi tra cui Giordano Bruno e Norberto Bobbio. Ma una cosa è l’aborto, un’altra cosa è la donna che abortisce e il medico che le procura l’aborto. Se queste persone comprendono il male commesso verso quell’esserino innocente (a volte procurato per evitare altri mali più incombenti), la Chiesa di Francesco è pronta a concedere il perdono nel modo più semplice perché ciò che finora era riservato ai vescovi viene ora concesso ordinariamente a tutti i sacerdoti. Scrive il Papa: «Concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto». Perché? Perché «posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere ».
Siamo lontani anni luce da quell’intransigenza che nel 2009 portò un vescovo brasiliano a scomunicare la madre e i medici che avevano fatto abortire una bambina di soli 9 anni, incinta a seguito delle violenze del patrigno e che rischiava la vita anche per il fatto che si sarebbe trattato di un parto gemellare. A quel tempo dal Vaticano il portavoce del Pontificio Consiglio per la Famiglia sostenne il vescovo, affermando che la Chiesa «non può mai tradire il suo annuncio, che è quello di difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, anche di fronte a un dramma umano così forte». Papa Francesco dice invece un’altra cosa: posiziona la Chiesa non più in difesa come una rigida sentinella, ma in attacco, nel centro del mondo, per annunciare la follia dell’amore universale da lui chiamato misericordia. Questa sua posizione potrà aprire un dibattito sul numero sempre più alto di medici obiettori? Se è vero infatti che l’aborto è sempre un male, è altrettanto vero che talora (per esempio nel caso di stupro o di pericolo di vita della madre) è un male necessario per evitarne di maggiori.
I non pochi denigratori del Papa avranno ora ulteriori argomenti per accusarlo di lassismo. Ma non sanno quello che dicono. Non c’è la minima traccia di lassismo in questo documento, né nell’intera predicazione, né nell’austera persona di papa Francesco. C’è semmai l’attento rigore di chi ha veramente capito in cosa consiste la rivoluzione evangelica, troppe volte tradita dagli apparati ecclesiastici, preoccupati del potere e dell’ordine, e non di essere coerenti con quell’amore evangelico che vuole sempre e solo il bene concreto della persona concreta, e che per questo sa essere più forte anche della legge, compresa quella ecclesiastica.
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Il Papa e gli attacchi “Più dei detrattori temo i miei adulatori” 
In 70mila a San Pietro per l’atto finale del Giubileo “Chiudo la Porta Santa, resti aperta quella del perdono”

MARCO ANSALDO Rep 21 11 2016
CITTÀ DEL VATICANO. Tra nemmeno un mese, il 17 dicembre, Jorge Mario Bergoglio compirà 80 anni. E al termine del suo terzo Concistoro, e anche alla conclusione del Giubileo con la chiusura della Porta Santa, Francesco ha risposto in un’intervista alla domanda su quale sia il segreto dei suoi 80 anni così pieni d’energia. «C’è un tè speciale? Non so come faccio, ma... io prego: quello mi aiuta tanto. Prego. La preghiera è un aiuto per me, è stare con il Signore. Poi, dormo bene: è una grazia del Signore, questa. Dormo come un legno».
Lo fa per 6 ore di fila, svelano a Casa Santa Marta. Dalle 10.30, quando si addormenta con un libro in mano, alle 4.45, quando il Pontefice è solito levarsi. Nemmeno ha sentito il terremoto dell’agosto scorso, quando in Vaticano lo avevano avvertito tutti, ha confessato lui stesso a TV2000, il canale della Conferenza episcopale italiana.
Un colloquio frizzante, intenso, pieno di dettagli gustosi. In puro stile bergogliano. Gli viene chiesto: fa più fatica a sopportare gli insulti dei suoi detrattori o la finta ammirazione degli adulatori? E lui: «Il secondo! Io ho allergia degli adulatori. Ho allergia. Perché adulare un altro è usare una persona per uno scopo, nascosto o che si veda, ma per ottenere qualcosa per sé stesso. Anche, è indegno. Noi, a Buenos Aires, gli adulatori li chiamiamo “lecca calze”, e la figura è proprio di quello che lecca le calze dell’altro. È brutto masticare le calze dell’altro». Poi aggiunge: «Ma i detrattori parlano male di me, e io me lo merito, perché sono un peccatore: così mi viene di pensare [ride]. Quello non mi fa pensare, non mi preoccupa. Ma l’adulatore è... non so come si dice in italiano, ma è come l’olio», viscido.
E ancora: «Il senso dell’umorismo è una grazia che chiedo tutti i giorni. E prego quella bella preghiera di san Tommaso Moro: “Dammi, Signore, il senso dell’umorismo; che io sappia ridere davanti a una battuta”. È bellissima, quella preghiera, no? Perché il senso dell’umorismo ti solleva, ti fa vedere il provvisorio della vita e prendere le cose con uno spirito di anima redenta. È un atteggiamento umano, ma è il più vicino alla grazia di Dio».
Al mattino il Papa aveva chiuso davanti a 70mila fedeli la Porta nella Basilica di San Pietro, l’ultimo battente rimasto aperto nel mondo, concludendo il Giubileo straordinario della Misericordia aperto l’8 dicembre scorso, e che aveva simbolicamente anticipato nella cattedrale della martoriata Bangui, in Centrafrica. Guai però, per il “regista” dell’Anno Santo, monsignor Rino Fisichella, a parlare di flop: per la fine dell’evento — assicura — saranno passati sotto le porte sante di Roma più di 20 milioni di pellegrini. Un evento dal sapore nettamente spirituale, dice lo stesso Francesco, che parla piuttosto di «avvicinamento della gente alla Chiesa».
Al termine della celebrazione, il Papa ha poi firmato la Lettera Apostolica “Misericordia et misera”, che sarà presentata oggi in Vaticano, ed è «indirizzata a tutta la Chiesa per continuare a vivere la misericordia con la stessa intensità sperimentata durante l’intero Giubileo straordinario ». Molto significativo il fatto, secondo gli osservatori più attenti, che Francesco l’abbia consegnata, oltre ad alcuni vescovi, sacerdoti e suore, a un solo cardinale: Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila. Che è sì il custode spirituale di una delle più grandi metropoli del mondo. Ma è notoriamente un porporato giovane, dinamico e capace, su cui la Chiesa punta per il futuro. E sul quale Francesco ancora una volta ha posato lo sguardo.
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“Devia dalla fede” L’ultimo affondo dei nemici del Papa 
Le riforme di Bergoglio e la lettera di quattro vescovi ultraconservatori. Alla quale Francesco ha subito reagito
ALBERTO MELLONI Rep 20 11 2016
ROMA NELLA riunione dei cardinali — il “concistoro” — il pontefice discute con i suoi fratelli le cose di maggior peso: fra queste “causae maiores” c’è la immissione di nuovi porporati nel collegio, che da quasi mille anni elegge il successore di Pietro. Francesco aveva adunato per questo il concistoro in corso: in coincidenza con la fine del giubileo straordinario di cui trarrà il bilancio la lettera “Misericordia et misera” in uscita domani.
Sulla convocazione del concistoro però, s’è abbattuta una lettera al Papa di quattro cardinali conservatori: che va ben al di là d’una “critica” al suo magistero. Esprimere obiezioni infatti è un diritto di tutti ed è un dovere per i cardinali. Ma chiedere al Papa di “chiarire” alcune tesi della sua esortazione sul matrimonio (e una intervista di Burke che la “spiega”), non è un dissenso, espresso a favore di telecamera da uomini rigidi: è un atto sottilmente eversivo, parte di un gioco potenzialmente devastante, con ignoti mandanti, condotto sul filo della storia medievale.
Una antichissima regola del diritto canonico stabilisce che se il Papa viene «sorpreso a deviare dalla fede» cessa di essere Papa: senza altri passi, a meno che la sua resistenza non costringa i cardinali o il concilio a deporlo come eretico. Oggi la lettera dei cardinali non dice che Francesco è “a fide devius”: ma pone una serie di premesse lunghe, forse volte a sondare gli umori del collegio; e usando il lessico dell’Inquisizione, chiede a Francesco, come ad imputato, di spiegare cosa voleva “davvero” dire sui divorziati e via dicendo. Francesco ha reagito: e come quando sembra che improvvisi, è stato durissimo. È andato di persona alla Rota, con una mossa esplicita. Nell’intervista di venerdì a Stefania Falasca, su Avvenire, il Papa ha spiegato che chi lo attacca non capisce il cuore del vangelo cristiano. Ha predicato per molte settimane sulla divisione — e ieri sull’epidemia dell’inimicizia che contagia la chiesa. E, oltre che contro i protestatari, s’è così posizionato contro tutti quelli che nei giorni di questo concistoro hanno detto o diranno che «i quattro hanno torto, però... ».
Perché sono loro il problema. L’area del “però” che in questi tre anni ha opposto al papa un muro di gomma, che ha funzionato abbastanza bene, dal loro punto di vista: ha creato attorno a Francesco una solitudine istituzionale che non ferisce la sua anima di gesuita e non mina il suo sonno piemontese, ma ha preso tempo, come quando nella corrida si piantano sulla schiena del toro le banderillas. E adesso pensa di tornare alla spada: in questo caso la spada dottrinale che da secoli era al museo.
Francesco ha contrattaccato: ponendo davanti a chi lo accusa l’istanza del vangelo. Ma lui che non si sente solo per motivi teologici — «solo Dio basta » — assapora la solitudine istituzionale del combattente eroico e stanco.
Il suo sforzo riformatore non ha infatti trovato nell’episcopato una risposta pronta: cade ad esempio in questi giorni l’anniversario del discorso di Firenze, in cui strigliò la chiesa italiana, ma da cui sono derivati cambiamenti così impercettibili che bisogna essere vescovi per accorgersene. La riforma della curia non ha trovato la sua anima ecclesiologica: e si limita ancora a ristrutturare mansionari e carriere, senza che la diagnosi profonda da cui nasceva produca soluzioni profonde. Nel popolo e nelle comunità Francesco ha avuto consenso: ma non una vera ricezione della sua teologia del povero: e sia la xenofobia dei paesi cattolici in Europa sia la stessa elezione del primo presidente americano attaccato a viso aperto dal Papa — «chi fa muri non è cristiano», disse di Trump — lo dimostra.
Il Papa continua dunque a sembrare invulnerabile: anche se è evidente che la sua decisione di non riformare il sinodo dei vescovi, il non aver voluto conferire né a quello né al C9 poteri effettivi, ha solleticato le tentazioni degli ammutinati visibili e invisibili. Reagisce a colpi di concilio e di vangelo: ma non usa giri di parole per sottolineare l’irruenza reazionaria dei porporati anziani. E che chi porta attacchi come questo non è un “scontento” o un “oppositore” ma qualcuno che punta a “dividere” la chiesa. Il che nel diritto canonico è un crimine, punibile.
All’inizio del giubileo Francesco aveva chiesto alle autorità gesti di clemenza verso i detenuti: clemenza che lui per primo non ha mai applicato ai suoi imputati del processo detto Vatileaks. A fine giubileo si capisce il perché: lui non vedeva in quel processo una procedura penale, ma un gesto pedagogico verso gli avversari.
Quelli che stanno cercando di ridurlo a un santo testimone, che si immedesima nella vita del povero e nel destino dei vinti. E che hanno fatto un altro passo allo scoperto. Rischiando molto.

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