venerdì 18 novembre 2016

Crisi della democrazia moderna, conflitto politico-sociale e ricomposizione di un blocco di resistenza nazionale-popolare nell’epoca della rivolte “populiste”. Un'intervista

CSEPI

Crisi della democrazia moderna, conflitto politico-sociale e ricomposizione di un blocco di resistenza nazionale-popolare nell’epoca della rivolte “populiste”

Intervista a Stefano G. Azzarà*
di Aldo Scorrano e Fabio Di Lenola

Lei ha affermato che «la storia della democrazia è la storia della capacità delle classi subalterne di fare conflitto, di lottare, di riequilibrare i rapporti di forza presenti nella società». Queste classi lo avrebbero fatto unendosi tra loro sulla base di idee, di interessi comuni e di piattaforme politiche avanzate. Questa unione oggi manca ed è ciò che si dovrebbe ricreare, soprattutto nel mondo del lavoro. In buona sostanza bisognerebbe «unire ciò che è stato diviso». Ma come mettere in moto questo processo e con quali modalità?

La risposta a questa domanda non esiste. E se qualcuno pretende di averla in tasca per via di qualche formula alla moda – “populismo” e “politiche del comune” sono oggi quelle più reiterate nelle diverse e contrapposte anime della sinistra , ma in passato i nomi erano diversi - ha capito ben poco dei processi storici, per i quali non esistono leggi simili a quelle che ipotizziamo nel mondo naturale e dunque nemmeno manuali delle istruzioni.
Per come siamo messi, credo comunque che la presa di coscienza reale e non meramente verbale della frantumazione in atto e delle sue ragioni, oltre che della necessità di una ricomposizione di un campo politico di resistenza su basi che siano ad un tempo politiche e sociali (e cioè fondate su una analisi che tenga conto di cosa sono diventate oggi le classi sociali rispetto al periodo della Guerra Fredda), sia già un passo in avanti considerevole rispetto alla totale inconsapevolezza o rimozione che caratterizza ciò che rimane da noi della sinistra storica novecentesca. Ritengo in generale che non dobbiamo aspettarci nuove geniali teorie partorite dalla mente di chissà chi, perché tutto ciò che accade nel mondo delle idee accade quando i tempi e le contraddizioni storiche reali sono mature e interpretabili e non certo per partenogenesi; poiché però gli elementi essenziali della fase in corso sono visibili ormai da molto tempo senza che se ne traggano le conseguenze, ne deduco che è la persistenza di una certa cultura politica, di cui parlerò più avanti, a impedire questo riconoscimento.

La società è articolata in gruppi sociali. E’ vero che questi gruppi sono cambiati rispetto al passato, e che questi spostamenti sono utilizzati spesso in chiave ideologica per sostenere l’estinzione delle classi stesse o la loro acquisita insignificanza sul piano politico, e tuttavia esse ci sono. E come è sempre avvenuto, ogni gruppo di classe occupa una determinata posizione nella divisione del lavoro e svolge una certa funzione in un contesto relazionale. Da qui la sua natura strutturalmente oppositiva, i cui caratteri possono cioè emergere solo in contrapposizione ad altre parti del sistema. Ciascun gruppo è portatore in via costitutiva di bisogni e interessi diversi, che entrano inevitabilmente in collisione dal momento che la ripartizione delle risorse materiali e immateriali che il lavoro sociale collettivo produce è disuguale a monte: funzioni diverse ricevono in maniera diversa in ragione non del lavoro erogato ma della posizione strutturale occupata e in particolare in funzione del ruolo direttivo o esecutivo e del rapporto di questo ruolo con la proprietà (qui si aprirebbe tutto il discorso sul rapporto tra proprietà privata e funzioni del management).

E’ vero allora che oggi non è più sostenibile l’illusione naturalistica per cui le classi subalterne siano spontaneamente orientate a sinistra e da subito interessate alla libertà e al progresso, ecc. ecc. In questo senso aveva almeno una parte di ragione Ernesto Laclau, ormai molto tempo fa, nel fare un bilancio della crisi del movimento operaio dopo l’espansione della società dei consumi e a evidenziare la necessità di un rinnovamento della sinistra nel senso di una sua apertura da una dimensione meramente di classe a una più generale e “populista,” che tenesse conto della differenziazione sociale delle “domande” (i diritti civili). E però...

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