sabato 5 novembre 2016

Essere cuperlo. o dell'inutilità nociva della sinistra italiana


Renzi rilancia la Leopolda Italicum, Cuperlo verso l’ok 

Sulla legge elettorale la minoranza Pd si spacca Il leader: “Stanno con Brunetta e CasaPound”

TOMMASO CIRIACO Rep 5 11 2016
FIRENZE. “E adesso il futuro”, titola la Leopolda 7. Meglio sarebbe aggiungere al logo un punto di domanda finale, perché tra un mese Matteo Renzi si gioca tutto. Si parte anche quest’anno, comunque, e stavolta presenta il “figliol prodigo” Matteo Richetti, che torna a casa dopo anni di gelo. Ed è subito duetto: «Ci dicono di vergognarci per Verdini e Alfano con noi nel Sì, ma loro - dice il premier - stanno con CasaPound e Brunetta». Renzi è in prima fila con la moglie Agnese. «Per chi crede che la politica sia proporre qualcosa e non odiare qualcuno – scandisce il leader - noi ci siamo. Guardandoci indietro penso che tutto è possibile». Anche spaccare la minoranza dem, con Gianni Cuperlo che si prepara a votare Sì al referendum.
Non è un’edizione normale, quest’anno. Incombe l’emergenza del terremoto. E c’è il referendum- spartiacque: «Tra trenta giorni si vota: oh, adesso il futuro è arrivato». Non è neanche detto che la Leopolda 7 sia l’ultima del 2016, a dire il vero. Dopo il 4 dicembre può succedere di tutto, anche che il leader riconvochi tutti - ancora qui - per fare il bis: «Che vinca il Sì o il No – profetizza l’ultra renziano Davide Ermini - ci ritroveremo tutti qui. E saranno fuochi d’artificio». Non va lontano dal vero, se si ascoltano i tamburi di guerra della minoranza dem: «L’unico modo di cambiare veramente la legge elettorale – picchia Roberto Speranza - è votare No». Mentre i bersaniani fanno campagna contro Renzi, Gianni Cuperlo si prepara al clamoroso strappo: già oggi arriverà il suo via libera al documento della commissione dei saggi del Pd che si impegna a modificare l’Italicum. Un’apertura che condurrà uno dei leader della sinistra dem a votare sì al referendum.
Al raduno si preparano a sfilare ministri di peso come Piercarlo Padoan, Giuliano Poletti e Graziano Delrio. Tutti però attendono l’intervento del leader, previsto per domani. «Ma quale rinvio! Io me la gioco fino all’ultimo, con tutte le mie forze – è la linea -. E poi lo sapete che le campagne elettorali le so condurre benino…». Si spendono al massimo anche quelli del comitato del Sì, che ieri hanno incassato il sostegno di Arrigo Sacchi: «Se sei pessimista giochi in difesa – dice l’allenatore - E io invece voterò Sì». Una piccola bufera intanto si scatena su una vignetta di Vauro. Il disegno “chiama” un terremoto sulla Leopolda: “Una scossetta pure qui, anche piccola piccola…”. «A chi l’ha scritto – replica Richetti – dico che ha mancato di rispetto a chi ha perso qualche familiare». Come non bastasse, la Questura nega il permesso di manifestare davanti alla Leopolda al comitato “Firenze dice no”, autorizzando solo un presidio altrove.
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Ma stavolta c’è lo spettro sconfitta “Il No è spinto dai nostri traditori” 

ALESSANDRA LONGO Rep 5 11 2016
FIRENZE. Leopolda prudente, Leopolda inquieta, Leopolda arrabbiata. Com’è diversa questa edizione 2016 dalle altre. Diversa perché c’è un’Italia che in queste ore soffre tra le macerie, diversa perché il referendum rende improvvisamente incerta la marcia a lungo trionfale di Matteo, come lo chiamano qui. Diversa anche perché in una sera grigia, a 50 anni dall’alluvione di Firenze, le persone che entrano “in stazione” sono persone qualunque. Se ci saranno star lo vedremo oggi. Intanto si inizia volutamente sobri, cauti sui numeri. Tanto che c’è chi fa notare come i tavoli tematici, in genere scenografia del secondo giorno, siano già allestiti e occupati. Un modo per “riempire” eventuali buchi di affluenza, come si fa con le aste delle bandiere alle manifestazioni in attesa della diretta televisiva. Tutto il governo, come dice il sindaco Nardella, è “pancia a terra” in giro per la campagna referendaria.
C’è poco da scherzare, in un mese il Pd di Renzi si gioca tutto. «Mi creda è uno stress – dice Lia, maestra elementare per 44 anni – Beati gli americani che tra pochi giorni sapranno chi sarà il presidente! Noi dobbiamo aspettare ancora un mese in questo clima di incertezza». Leopolda diversa perché la parola sconfitta è ammessa ai tavoli. Può succedere e, se sarà così, sussurra Rita, bancaria fiorentina, «se davvero si perde al referendum, sarà colpa dei nostri, di questo istinto suicida che ci accompagna come una maledizione». Dice ancora Rita: «Ho un figlio di 21 anni e sa cosa le dico? Se vince il No, mi ha detto che non rinnova più la tessera del Pd. La riforma non sarà perfetta ma l’uomo non è un animale perfetto».
Leopolda piena di rabbia, concentrata nella propaganda, i banchetti carichi di magliette per il Sì. Marilù, psicologa: «Non vedo più l’assalto al carro del vincitore. Questa volta ci sono quelli che ci credono veramente, c’è la nostra gente come Richetti che è tornato». Roberto Medici è un vecchio “compagno”, arriva da lontano, dal Pci: «C’ero già ai tempi di D’Alema segretario. Ho votato Cuperlo alle primarie. E’ la mia prima volta alla Leopolda. Cuperlo lo stimo, è un intellettuale ma è un irrisolto. Avanti Renzi e se vince il No deve dimettersi e lasciarli friggere». Guai a nominare la minoranza Pd. Le stesse persone che aspettano pazienti di mangiare in piatti di plastica i 40 chili di amatriciana di solidarietà, pronte a fare beneficienza, sibilano commenti terribili nei confronti degli ex titolari della ditta. Manrico, socialista: «Posso dire che Bersani è un traditore? Tanto odio nei confronti di Renzi l’ho visto solo contro Craxi». Il referendum con i suoi esiti incerti toglie alla Leopolda quella leggerezza che l’ha resa così diversa dagli appuntamenti di partito. Se la Leopolda è uno “stato d’animo”, e non un vertice di addetti ai lavori, come sostiene Nardella, lo stato d’animo è quello di chi non sa come butterà nell’immediato futuro. Gentiloni, forse non a caso, fa sapere che ci verrà «per ragioni scaramantiche». Non ha mai mancato un appuntamento. Non sia mai che porti male.
Resta la celestiale scenografia. “E adesso il futuro”, recita lo slogan. Quale futuro, però, non è dato sapere. Sul palco, la solita lavagna e il cielo sullo sfondo. Sul pannello citazioni di Eleanor Roosevelt, Jfk, Tim Berners Lee e Mandela. La Roosevelt: “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. Viene in mente il congresso all’Eur del ’96. Fu Cuperlo a trovare la frase sul futuro, più densa e contorta. Era Rilke: “Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada”. Non portò gran fortuna al partito.
A debita distanza, i dipendenti Equitalia protestano: «Matteo ci hai scaricati». Ma parlano alla luna, tenuti a bada dalla polizia, lontani dal luogo della festa cui parteciperà, come sempre, il loro amministratore delegato Ernesto Maria Ruffini. Leopolda che esibisce orgoglio di parte. Loro sono loro, noi siamo un’altra cosa: «Se anche vincesse il Sì – dice Manrico – Renzi deve andare ad elezioni». La logica, lo spiega, è quella del “non faremo prigionieri”. Clima stemperato appena dalla dolcezza di una sera fiorentina, dall’omaggio ad Amatrice , simbolo del dolore dei territori colpiti dal sisma. È tardi quando Leonardo, lo chef, rovescia chili fumanti di spaghetti all’amatriciana: «Sono fiorentino, sono andato sui libri a leggermi la ricetta. L’ho provata a casa, mi sembra venuta bene».
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Una convention con tante crepe il premier stretto nella sua tenaglia 
L’ideologia dell’ottimismo non funziona più come agli esordi

Folli rep 5 11 2016
 Q uesta Leopolda di novembre si annuncia assai meno brillante di quello che il suo inventore Matteo Renzi avrebbe desiderato. In origine doveva essere il grande appuntamento mediatico sulla via del trionfo plebiscitario del 4 dicembre, il suggello del partito personale il cui avvento era annunciato insieme alla nuova Costituzione. Ma le cose sono andate in tutt’altro modo. L’esito del referendum è ancora “sul filo di lana”, come dice il premier. E il dramma degli sfollati in Italia centrale getta un’ombra di mestizia sull’assemblea fiorentina. La magia delle prime Leopolda, a cominciare dal 2010, si è dissolta nelle asprezze del governo. E non poteva che essere così. Con la crescita economica quasi a zero, il debito pubblico alle stelle e l’Europa lontana, il “renzismo” non riesce più a essere una convincente ideologia dell’ottimismo. Lo è ancora nello slogan di quest’anno (“E adesso il futuro”), ma nella realtà è diventato una pratica governativa affidata in modo quasi esclusivo all’attivismo e al protagonismo instancabile del presidente del Consiglio. Il quale, a un mese esatto dalla scadenza decisiva per il suo avvenire politico, sa di essere stretto in una tenaglia.
Da un lato, gli è stato rimproverato di aver “personalizzato” la consultazione del 4 dicembre, assecondando una certa tentazione plebiscitaria innata in lui. Dall’altro, i successivi tentativi fatti per “de-personalizzare” il referendum, in ossequio alle critiche ricevute, non hanno portato a nulla di buono. Sia perché erano sforzi poco convinti sia soprattutto perché i sondaggi non sono migliorati. I critici argomentavano che l’eccessiva presenza del leader- tribuno offuscava il merito della riforma e coalizzava fra loro gli elettori antagonisti. Ma anche oggi tutti i sondaggi tendono a indicare la prevalenza del “No”. Quindi c’è qualcosa di sbagliato nel modo con cui Renzi e i suoi diffondono il verbo riformatore.
Da cosa può dipendere? In parte dalle contraddizioni stesse del progetto costituzionale, non sempre agevole da comunicare a un’opinione pubblica più attenta ad altre questioni urgenti riguardanti la vita delle persone. Poi c’è l’intreccio con una legge elettorale che è stata prima approvata con voto di fiducia e poi ripudiata senza che sia chiaro come verrà sostituita; ed è ben difficile che un accordo vincolante sia raggiunto prima del referendum. Infine c’è il tema più delicato ma cruciale. Un passaggio referendario trasformato in un plebiscito sul premier richiede in primo luogo un’immagine molto salda e credibile del protagonista. In Francia il generale De Gaulle vinse nel 1962 un fatidico referendum-plebiscito, pur fra notevoli contrasti: ma si trattava del salvatore del suo paese, dotato di un carisma straordinario. Il problema di Renzi è che il referendum costituzionale avrebbe dovuto sancire un’Italia in forte ripresa economica, riconciliata con la classe dirigente, non più minacciata dai movimenti populisti (che invece sono diffusi come non mai).
La realtà è quindi abbastanza amara e i dubbi che inquietano il premier si riflettono nelle crepe che incrinano la mitologia della Leopolda. Tutto lascia pensare che Renzi rilancerà se stesso con maggiore foga. Il referendum sarà di nuovo personalizzato al massimo grado nelle prossime quattro settimane, la campagna elettorale si farà incessante. Un errore? Probabilmente lo è, se si considerano le critiche che già avevano stigmatizzato la voracità invasiva del presidente del Consiglio. Ma questa è appunto la tenaglia in cui deve muoversi il premier: obbligato a combattere da solo, a costo di favorire un’alleanza di tutti i suoi nemici, e senza nemmeno la certezza di volgere a proprio vantaggio i sondaggi. Un’altra strada non c’è, a un mese dal voto. Forse ci sarebbe stata se l’intera strategia riformatrice, a suo tempo, avesse avuto uno stile e un’impronta diversi: in fondo si stava mettendo mano alla Carta costituzionale. Ma ormai quel tempo è scaduto.
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Cento imprenditori nella villa di Garrone “Un pranzo per il Sì” 
Il vicepresidente Erg mobilita i colleghi con una mail “Convincere pure i dipendenti a votare per la riforma”

MASSIMO MINELLA Rep 5 11 2016
GENOVA. Cento imprenditori per un Sì. Alessandro Garrone, vicepresidente e azionista di riferimento della Erg, invita a casa sua il mondo delle imprese e delle professioni per una veloce colazione in piedi e una lunga riflessione sul referendum insieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro Gozi. Evento inusuale per Garrone, che fa del “basso profilo” la sua cifra pubblica: per Genova, che ha certo maggiore dimestichezza nel dividersi piuttosto che nel fare squadra di fronte ai problemi, ma anche per l’Italia che per la prima volta riunisce un pezzo importante della sua imprenditoria per sostenere le tesi del Sì.
Nei giorni precedenti Garrone aveva fatto arrivare una mail a più di cento indirizzi di imprenditori e rappresentanti delle professioni genovesi e del Basso Piemonte per invitarli all’incontro. Appuntamento alle dodici nella villa di famiglia, “Il Paradiso”, nel quartiere di Albaro. Rispondono praticamente tutti, dall’industria alle professioni fino all’economia del mare, il vero motore di Genova e della Liguria. Per loro antipasti e un piatto di lasagne. Ne discutono imprenditori come l’ex presidente di Confindustria Giovanni Calvini, a capo di un grande gruppo di import export di prodotti alimentari, l’attuale vicepresidente Marco Bisagno, la cui azienda ha lavorato nel team che ha demolito Costa Concordia, la presidente del gruppo Boero Andreina Boero, l’agente marittimo Augusto Cosulich, presidente di un gruppo presente in tutto il mondo con oltre un miliardo di euro di fatturato. E poi il presidente nazionale degli agenti Gian Enzo Duci, il costruttore Stefano Delle Piane, il presidente di Costa Edutainment Beppe Costa. Fra i presenti anche Carlo Castellano, uno dei promotori del progetto del Parco degli Erzelli e oggi membro del Consiglio Superiore della Banca d’Italia. «Il No avrebbe per il Paese un impatto devastante, soprattutto a livello internazionale – spiega – so bene che non è la migliore delle riforme possibili, ma seguendo questa logica non si va da nessuna parte e noi restiamo indietro ». «Il mio è un sì convinto – dice Augusto Cosulich - Solo così possiamo permettere al paese di muoversi dalla sua palude». «Dobbiamo metterci la faccia, non basta essere convinti noi – chiude Stefano Delle Piane - dobbiamo da ora al 4 dicembre parlare con più persone possibili».
«Non ho assolutamente voluto fare un’iniziativa politica, ma ho chiesto a un esperto come il sottosegretario Gozi di parlare del tema referendum – spiega Garrone – Ovviamente chi ha partecipato aveva già un’idea chiara a favore del Sì, ma abbiamo potuto approfondire tanti argomenti. Consentiamo all’Italia di fare un passo in avanti, dopo trent’anni di immobilismo. Parleremo con i nostri dipendenti, i nostri collaboratori, non staremo fermi».
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