domenica 27 novembre 2016

Gli stilemi dell'islamofobia dominante sono pressoché i medesimi dell'antisemitismo prebellico





la violenza normalizzata nella società islamica 

La violenza sulle donne, nella società islamica, si respira prima ancora di essere sperimentata. Un ricordo che si scopre in un colloquio a due che ho voluto affrontare con Rabii El Gamrani, giovane marocchino che vive in Italia.
Karima Moual  Busiarda 27 11 2016
«Sono cresciuto in una casa di donne, “Dar El Bnat”. Sono sesto di una famiglia di 7 figli. Mio fratello più grande se n’è andato troppo presto di casa, lasciandomi l’unico maschio fra 5 sorelle. Ma le donne di casa mia non si riducevano a quelle 5 sorelle. Oltre la madre c’erano la nonna, le zie, le cugine, le zie della madre, le zie del padre. E così sono cresciuto in una casa di donne. Sommerso fra le bende sanguinolenti, che le mie sorelle usavano per contrastare il ciclo, mi è capitato di odiare quel fratello che è partito troppo presto lasciandomi disarmato ad affrontare il sangue delle mie sorelle. Mi è capitato di avere molta nostalgia di lui, di fantasticare su di lui. Ma dov’era?».
Ricordati che «sei l’uomo. Nta Rajel. Nta Rajel». Questa frase l’avrà sentita ripetere nei momenti più diversi a suo fratello - il maschio della famiglia - già dall’età di 4 anni. 
Dove sono nato e cresciuto, a Casablanca, già da bambini si gioca per strada, e ti confronti allora subito con la violenza del mondo, senza mediazione alcuna, o poca. Nel mio quartiere ero l’unico ragazzino che aveva un fratello senza averlo, perché non c’era. Avrei dovuto sviluppare un carattere forte, versatile, se volevo evitare i soprusi degli altri ragazzini del quartiere. Io non avevo un fratello grande che mi poteva difendere o vendicarmi, perciò potevo essere un bersaglio facile di abusi, da parte di quel mondo aggressivo e stratificato che sono i quartieri periferici di Casablanca. Credo di essere riuscito ad evitare il peggio, anche se di abusi ne ho subiti, e il mio corpo ne porta ancora qualche traccia. Ho evitato il peggio grazie alla componente femminile della mia famiglia.
Che sia una sorella o una zia. La propria donna o la propria madre, non importa.
Il Rajel, in una società patriarcale con forti inclinazioni misogine, oltre ad essere educato come essere superiore, ha il dovere di praticare il controllo sul corpo e sulla libertà di movimento della donna, altrimenti che uomo è?
Quelle volte in cui sono stato vittima di qualche bullo, le mie sorelle mi hanno sempre difeso con una tale spavalderia che solo una sensibilità femminile poteva avere. Non si perdevano in imprecazioni volgari, come facevano i maschi. Erano di poche parole e decise. Appena venivano a sapere di qualcuno che mi aveva fatto del male, la loro vendetta era assicurata, prima o poi avrebbero saldato i conti. Mia sorella Souad non mancava di fantasia. Sono cresciuto in casa di donne. Ricordo alcuni litigi con qualche sorella, ma era roba da poco, avevo compreso che non ci poteva essere partita. Avevo capito - per necessità di sopravvivenza o per amore spassionato verso quelle donne che mi proteggevano dal mondo e mi coprivano di tenerezza e amore.
Si era ribellata perché non ne aveva diritto. Una ragazza di 18 anni, pur se residente in Nord Italia, perfettamente integrata e prossima all’università, non aveva diritto ad innamorarsi e meritava dunque la faccia sull’asfalto per ricordarsi che non aveva la libertà di muoversi se non all’interno di limitati binari costruiti secondo la logica della repressione femminile. Un labirinto di regole. Un costruire il Haram (peccato) nella donna, e un Halal (lecito) per l’uomo in una cornice di ipocrisia, con il risultato di dar vita a uomini malati, violenti e paradossalmente fragili.
Ho capito cosa significa per una ragazza avere un fratello maggiore, quando adolescente, sono stato beccato con la mia fidanzatina dell’epoca da suo fratello. Parliamo di un amore adolescenziale. Eravamo poco distanti dalla scuola, lei con il suo grembiule bianco ed io con lo zaino in spalla, appoggiati ad un albero, forse le tenevo la mano. Il fratello spuntò da non si sa dove accompagnato da altri suoi amici. Non ebbi nemmeno il tempo di accorgermene, che la sua furia si abbatté sulla sorella e su di me. Nel menarmi si associarono anche i suoi amici. La mia umiliazione e la sua sono durate tantissimo. Forse da quel giorno non siamo più stati in grado di guardarci negli occhi, anche se studiavamo nella stessa classe; da quel giorno ci siamo evitati. Quello che ci era accaduto era un fatto normale. Come si può crescere da uomini e donne con questa violenza normalizzata e legittimata da un’intera società? BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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