mercoledì 23 novembre 2016

I poveri nel Medioevo

Poveri e povertà nel MedioevoGiovanna Albini: Poveri e povertà nel Medioevo, Carocci 

Risvolto
I poveri furono una presenza costante nella società medievale, caratterizzata, nel suo complesso, da un limitato livello di sviluppo e da forti disuguaglianze. Miseria economica, disagi sociali, privazione di diritti interagivano, creando situazioni di bisogno e, insieme, di marginalità. Era un universo, quello delle povertà, tutt’altro che immobile, perché le profonde trasformazioni, congiunturali e strutturali, dei secoli dal vi al xiv, generavano via via stati di necessità assai diversi tra loro. La percezione, personale e collettiva, della povertà era permeata dalla dottrina cristiana che, riconoscendo nei poveri l’immagine di Cristo, invitava ad aiutarli a sopportare le loro condizioni, per evitare forme di disperazione e di sovvertimento dell’ordine sociale. All’interno delle dinamiche di una società profondamente cristiana, dunque, si costruirono complesse reti di protezione (informali o organizzate), nelle quali avevano spazio sia iniziative individuali sia istituzionali (ecclesiastiche, anzitutto, ma anche civili). Nel confronto tra elaborazione teorica e pratica quotidiana, il libro vuol fare emergere volti e luoghi della povertà e della carità.

Quei margini colmi di viaggiatori e idolatri 

Marina Montesano Manifesto 7.4.2017, 19:16 
In tempi come i nostri in cui la povertà – tanto quella individuale, quanto quella collettiva di intere popolazioni – è stigmatizzata come se fosse una colpa della quale vergognarsi, è importante ricordarsi che nella storia sono esistiti altri modi di considerarla, profondamente differenti. Nel Milione Marco Polo loda Kublai Khan, imperatore mongolo della Cina, per le opere caritatevoli a favore della popolazione della capitale, alla quale non faceva mancare generi essenziali. 
Aggiunge tuttavia che «è da sapere come i Tartari, secondo i loro propri costumi, avanti che conoscessino la legge idolatra, non facevan alcuna elemosina, anzi, quando alcun povero andava da loro, lo scacciavano con villanie, dicendoli: “Va’ col malanno che Dio ti dia, perché s’ei t’amasse come ama me t’averia fatto del bene”. 
MA PERCHÉ LI SAVII degl’idolatri (…) proposero al gran Can che gli era buona opera la provisione de’ poveri, e che gli suoi idoli se ne rallegrarebbono grandemente, egli per tanto così provvide a’ poveri come di sopra è detto, e nella sua corte mai è negato il pane a chi lo viene a domandare, e non è giorno che non siano dispensate e date via ventimila scodelle fra risi, miglio e panizzo per li deputati officiali. Per questa mirabile e stupenda liberalità che ‘l gran Can usa verso i poveri, tutte le genti l’adorano com’un dio».
Sarebbe stata quindi la conversione al buddhismo (e ciò che il viaggiatore intende per «idolatri») e i buoni suggerimenti dei monaci a mutare l’avviso di Kublai e dei signori mongoli, prima estranei a ogni tradizione caritatevole. 
QUALCOSA DI SIMILE era successo anche con la cristianizzazione della società europea. Ne parla Giuliana Albini in Poveri e povertà nel Medioevo (Carocci, pp. 334, euro 28). Il termine latino pauper nell’età medievale indicava una condizione ampia: la povertà di tipo economico, ma anche l’essere inermi perché malati o indifesi.
La morale cristiana non predicava un sovvertimento di tale condizione; la ricchezza non veniva considerata in modo negativo, a meno che non fosse ottenuta con un utilizzo improprio del denaro: per esempio attraverso l’usura; ma tutte le attività commerciali e finanziarie furono a lungo guardate con sospetto. 
TUTTAVIA ERA OPINIONE comune che fosse compito dei ricchi donare ai poveri, anche in una prospettiva di salvezza della propria anima; che l’assistenza fosse insomma necessaria, sebbene per avere forme organizzate di assistenza bisognerà attendere i secoli del basso medioevo.
In questo l’esempio di Francesco d’Assisi ha avuto un ruolo importante: la paupertas che si era autoimposto era una scelta rivoluzionaria da una parte: perché inviava al suo tempo un messaggio ch’era anche una sfida; se quello era il mondo del trionfo del denaro, egli avrebbe dimostrato non già di cercarlo a sua volta (come fanno i poveri che non sono tali per loro libera scelta), bensì di stimarlo «meno delle pietre». 
DALL’ALTRA RESTAVA in linea con il dettato della Chiesa, perché il fondo il suo farsi povero tra i poveri, sul modello del Cristo, non pretendeva di toccare le gerarchie della società.
A partire dal Duecento l’Europa cominciò a registrare il nascere di forme assistenziali organizzate: da quelle presenti presso gli Ordini francescano e domenicano fino agli ospedali e alle confraternite.
Ma anche nella sfera privata, come testimoniano i testamenti, era consuetudine donare; magari il cibo avanzato, come avveniva presso le case dei ricchi, oltre che presso le istituzioni assistenziali.
È vero che verso alcune forme di povertà manifesta, come l’accattonaggio, le città europee alla fine del Medioevo conobbero un irrigidimento che poteva arrivare fino alle espulsioni.
Marco Polo, così propenso a giudicare bene la carità del Khan, viveva all’apice del Duecento, ossia del secolo di maggior prosperità per l’Europa. 
FRA CINQUECENTO e Seicento, al culmine della caccia alle streghe, capitava spesso che le accuse di stregoneria venissero mosse verso girovaghi e accattoni: nella regione austriaca della Carinza, per esempio, due terzi degli accusati di stregoneria erano uomini appartenenti a tali categorie.
Segno di un cambiamento in atto, nel quale il povero diveniva sempre più un marginale, sempre meno una figura dell’immagine del Cristo.











































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