lunedì 14 novembre 2016

Il Meridiano del "Tristram Shandy"


Sono Tristram, eroe moderno - Corriere.it

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Sterne: grafico, umorale, rossiniano 
Classici inglesi. Un «Meridiano» a cura di Flavo Gregori per il rivoluzionario «La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo»

Viola Papetti Manifesto alias 13.11.2016, 20:01 
«Oh rare Tristram Shandy!» scrisse l’anonimo recensore del «London Magazine» del febbraio 1760 dopo aver letto i primi due volumi pubblicati nel dicembre 1759, «tu tanto sensibile – spiritoso – commovente – umano – incredibile – come ti chiameremo? – Rabelais, Cervantes, che altro? – ci hai procurato un piacere così grande con il racconto della tua vita, – ma non possiamo neanche dire la tua vita, poiché tua madre ha ancora le doglie – che dobbiamo esserti grati per il divertimento». Fu un successo immediato per il parroco di campagna irlandese, Laurence Sterne. E la seconda edizione seguì a ruota. Altri recensori si dichiararono contrari, alcuni dubbiosi. Ma gli scrittori già famosi non ebbero dubbi e si levarono sdegnati contro l’audacia di Life and Opinions of Tristram Shandy, gentleman, un attacco al romanzo così come era stato collaudato nella prima metà del secolo dalla prestigiosa triade Defoe, Fielding, Richardson, con tanto di personaggi, plot, morale, lieto fine e, sottopelle, la nascente teoria del romanzo borghese.
Commenta Manganelli in una conversazione radiofonica sul romanzo inglese del Settecento (1959): «… a dodici anni dell’ultimo volume di Clarissa, si poté vedere a quanto fosse arrivato il rigetto del personaggio classico; una impermanenza totale, un disordine nelle associazioni di idee, un intrico di processi mentali che si svolgono a tutti i livelli; scomparso totalmente il fatto, l’evento, anche i valori entrano in un dolce crepuscolo intellettuale, sono non sai più se emozioni, o capricci o hobbies; e al posto del racconto abbiamo una sterminata sommessa conversazione, o forse il frammentato e diseguale giustapporsi di cauti, discreti monologhi». Il mondano, spregiudicato Horace Walpole dichiarò che quel narrare all’indietro era noioso e stupido, il garbato Goldsmith lo paragonò alle pillole più inutili e disgustose dello speziale, il dottor Johnson ripeteva che quel successo non sarebbe durato a lungo, il giovane Boswell fece in versi una caricatura dell’allegro autore, Samuel Richardson, offeso dalla licenziosità di certi termini, convinse gran parte delle signore a ignorarlo, e fiducioso attese la fine dell’indegno spettacolo. Solo Edmund Burke riconobbe la novità, la forza e la giustezza di quell’attacco, e l’amabile contorno dei personaggi principali.
Sterne si era già provato con nessun risultato (A Political Romance, 1758, mai pubblicato) a seguire l’insegnamento di quegli intellettuali che all’inizio del secolo si erano uniti nel progettare lo Scriblerus Club, con l’irlandese Swift dominante, l’ironico poeta Alexander Pope, l’irrequieto poligrafo John Gay. I loro attacchi satirici, scritti in gruppo o individuali, erano violenti e lasciavano terra bruciata sia che l’obiettivo fosse un nemico personale, la denuncia di una piaga sociale, l’inconsistenza di un modo di fare teatro, la morale (immorale) della politica whig. Lasciarono in eredità anche idee ed esempi, come Memoirs of the Extraordinary Life, Works, and Discoveries of Martin Scriblerus (1741), dove nei primi tre capitoli si narra concepimento, nascita, battesimo, educazione del protagonista, – spianando così la via al piccolo Tristram. Sterne non intese mai imitare Swift, ma di certo riprese l’idea di Gay di rivoluzionare un genere letterario – nel caso di Gay fu l’opera lirica – violandone le premesse, le convezioni, e di fare spettacolo/narrazione, proprio di quel mondo rovesciato upside-down.
La straordinaria libertà compositiva, grafica, umorale, rossiniana del Tristram Shandy, che non ha fissità spazio-temporale, non rispetta la consequenzialità dei fatti né i fatti stessi, non poteva mancare di sedurre un romantico come E.T.A. Hoffman. La tradizione rabelesiana-cervantina dell’origine, raffinata e arricchita nel secolo dei Lumi, gli suggerì Lebens-Ansichten des Katers Murr (1819), un ricco labirinto di paratesti, pretesti, intertesti, nelle cui spire si disperde la sottile nostalgia sterniana per l’amato defunto, l’ incomparabile gatto Murr. «Che creatura buffa l’uomo, che seminatore di stravaganze!» – scrive Jean Paul, il romantico più partecipe del malizioso wit con cui Sterne stringe corpo e spirito, in modo deliziosamente umano – : «… il comico si avvicina al solletico fisico, con quel suo tremito e quella sua oscillazione – come un dittongo e un doppio senso un po’ matto – tra dolore e piacere» (Il comico, l’umorismo e l’arguzia, 1803).
Finalmente La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo esce in un «Meridiano» Mondadori (pp. 1312, € 80,00) per la cura decennale di Flavio Gregori, autore anche di interessanti e generosi apparati critici, introduzione, biografia, commento accuratissimi, e di una ricca bibliografia attenta anche agli ultimi contributi di giovani studiosi italiani. La nuova traduzione ha il merito di essere condotta con singolare acribia da Flavia Marenco de Steinkühl sulle edizioni originali degli anni 1759-’67, curate dall’autore stesso, e confrontate con i nove volumi della nuova edizione critica condotta sotto la direzione di Melvyn New per la University Press of Florida (1978-2014), che ricostruisce l’ampio sistema di allusioni intertestuali e i riferimenti al contesto letterario, culturale e biografico. Le traduzioni italiane precedenti a questa edizione – tra cui si distingue quella più volte ristampata dal 1958 al 1987 di A. Meo –, hanno fatto i conti con la non facile comprensione della frase inglese svelta e allusiva, a volte interrotta da una porta sbattuta, un silenzio improvviso, un segnale tipografico o musicale, una fila di muti asterischi, nascosta in un ghirigoro o sotto una pagina nera o marmorizzata, ornata da un ricamo di gerundi.
L’arduo compito di tradurre quelle righe vivide e sguscianti senza il conforto della Florida Edition – che purtroppo non abbiamo a portata di mano – aveva perseguitato il nostro Foscolo fino all’ultimo dei suoi giorni. Si era innamorato del folle irlandese anche il Rabizzani (1910), che sebbene deplorasse in Sterne la debole tempra morale, era incantato da quell’umorismo esercitato contro i pedanti di ogni specie «ch’egli chiamava con termine stupendo gerundgrinders, masticatori di gerundi». A un collezionista d’arte come Praz, TS suggeriva un edificio romanzesco che «si frange in arabeschi, in svolazzi, capricci; è esso stesso un colossale capriccio che ne contiene infiniti altri a mo’ di scatole cinesi». Architettura gotica o geroglifico o labirinto, quel continuo, beffardo dialogare che gioca tra vuoti e pieni come la linea serpentina di Hogarth, è rivolto a un ascoltatore/lettore perplesso che esita a comprendere interamente il senso. Così s’interrompe – non chiude – l’ultimo capitolo dell’ultimo libro di TS, con l’immancabile doppio senso sessuale: «Signore I- – – o! disse mia madre, cos’è tutta questa storia? – UNA CASTRONERIA, disse Yorick — ma tra le migliori che mi sia mai capitato di sentire». Se per Manganelli Sterne, maestro di «deliziose, false prospettive», fece del romanzo una dichiarazione, uno «strumento della propria libertà» – ancor più conclamata nel Viaggio sentimentale –, per Melchiori, la metastoricità sterniana è ricollocata nel solco della tradizione. Sterne è riscoperto come il prezioso anello che congiunge Rabelais a Joyce. Dopo tanta critica strutturalista, tra cui vorremmo ricordare lo Sterne di Iser, si conclude con Gregori, abilmente riconoscendo che TS «ci riconsegna il compito di ritrovare l’importanza assoluta della vita condivisa nell’irrilevanza di tutte le ‘cock-and-bull stories’ che accompagnano la nostra esistenza individuale».
Resta a minare la tranquillità del giudizio critico quella caricatura di Sterne e la Morte (1765) di Thomas Patch, suo contemporaneo, allegoria di quell’estenuante gioco di rimandi che il linguaggio sterniano gioca contro la sua natura di cosa ultima, contro il tempo della clessidra rovesciata. Come osservò Carlo Levi, le digressioni di Sterne «facevano a nascondarello con la morte», prolungando all’infinito la resa dello scrittore, logorato dalla tisi, al garbato scheletro che aveva a lungo atteso dietro la sua porta.




Illusi e confusi Tristram Shandy siamo noi 
L’inizio della modernità liquida e del mondo di oggi: ritorna il capolavoro di Laurence Sterne

NADIA FUSINI Rep 14 12 2016
Un piccolo Meridiano tutto per lui, Tristram Shandy se lo merita. Perché è senz’altro un fenomeno quel gentiluomo nato nella seconda metà del secolo dei Lumi. E niente affatto invecchiato malgrado duecento e più anni siano passati dalla sua nascita. Anzi, lo ritroviamo oggi vivo e vegeto grazie alle cure sollecite di Flavio Gregori, settecentista doc, e nella traduzione impeccabile di Flavia Marenco. Rinascono così “la vita e le opinioni” dell’eccentrico personaggio cui Laurence Sterne affidò la sua buona novella, ovvero la comica narrazione della nascita di un bambinello. Non in una capanna, ma
a Shandy Hall. Ne risulta un ritratto di famiglia con tanto di padre Walter genialoide e madre Elizabeth ottusa e zio Toby ex ufficiale a riposo pacifico, con al seguito il caporale Trim e la vedova Waldman e il parroco Yorick, buffo e ingenuo fool di shakespeariana memoria. Quanto al narratore, e cioè Tristram, già nel nome segnato dalla tristezza, mentre narra la propria venuta al mondo commenta non solo le disgrazie che gli capitano, ma anche l’inesorabile fatica di un processo di scrittura, virtualmente interminabile, che lo induce a un sentimento di impotenza.
Impotenza, inconcludenza, disastro, fallimento emergono come i contenuti di un’esistenza che si configura sulla pagina nella forma spezzata, interrotta, di una rappresentazione che si offre come una lotta tormentata con il principio e con la fine, mentre nel mezzo tutto prende il senso di una deviazione incontrollabile. Tutto sfugge. È così che in un virtuosismo sperimentale anticipatore di avanguardie future, la forma e il contenuto del romanzo e l’esistenza del protagonista narratore si specchiano l’uno nell’altro.
Da vero “spirito libero” — così lo definì Nietzsche — Sterne onora il suo secolo con l’invenzione di una nuova forma narrativa, che eccede ogni regola in un prodigio di stravaganze, che verranno accolte in tutta la loro portata, non solo tecnica, ma di concezione del mondo, qualche secolo dopo, da scrittori e critici d’avanguardia del Novecento.
Se c’è un effetto Sterne, che con piena evidenza si dispiegherà nel Modernismo europeo, lasciando tramortiti scrittori come Beckett e Joyce, e critici come Sklovskij, quell’effetto a tutt’oggi non s’è spento. In che consiste? Nel paradosso che perfettamente Bertrand Russell colse e nominò per l’appunto come “paradosso Shandy”. E’ un problema di logica matematica che il gentiluomo Tristram ci pone: ovvero, se un campo di possibilità aperte all’infinito possa o no risolversi in un che di concluso. Se per descrivere i primi due giorni della mia vita, ragiona il gentiluomo, ci ho messo due anni, a questo ritmo, con il materiale che si accumula così in fretta, mai e poi mai riuscirò nella scrittura a tenere il passo dell’esistenza. Nei suoi Principi della matematica Bertrand Russell contestò il ragionamento come fallace: fosse Shandy vissuto per sempre e non si fosse stancato del compito e fosse la sua vita continuata piena di casi e accidenti, nessuna parte della sua biografia sarebbe rimasta non scritta.
Ecco il paradosso: riguarda il rapporto tra il finito e l’infinito. Quanto all’eccentrico protagonista di questo libro tra i più stravaganti mai scritti, e non solo, ripeto, dal punto di vista formale, ma concettuale, se pianifica una narrazione piena di digressioni e di incidenti, è proprio perché in un empito sperimentale prova a salvarsi dal vettore del tempo, che va nell’unico verso della fine. Chi non segua una linea retta, avrà molte probabilità di perdersi, ragiona Tristram; ma anche di durare, perché chi non arriva a destinazione, non termina. Non conclude, non finisce, non muore.
Arte concettuale? Gioco del wit? e cioè messa in campo di quella virtù suprema di una lingua, l’inglese, che nell’ironia e nel tocco parodico raggiunge altezze sublimi? Sì, certo, ma anche una visione del mondo che dal nome del protagonista si può condensare nell’aggettivo “shandiano”. Cangiante, mutevole, attraente, insidioso, indecente, sarcastico, licenzioso, sono alcuni dei significati del termine. È il modo in cui un soggetto prende coscienza del mondo che lo circonda come intensamente sfuggente e rispetto ad esso della propria impotenza. «Vorrei tanto che mio padre e mia madre, o tutti e due in egual modo coinvolti, avessero badato a che cosa stavano combinando quando mi generarono… »: così inizia la personalissima narrazione dell’avventura infausta cui il piccolo Tristram si trova esposto nel momento stesso in cui è concepito. E nel suo caso il concepimento non potrebbe essere più ridicolo: in un fatidico innesto tra la carica dell’orologio di casa e dell’organo riproduttivo del padre, che la madre impassibile accosta nella domanda: «Scusa, caro, ti sei mica scordato di caricare la pendola?»; il «Buon D-!» del padre fa temere una pericolosa cilecca dell’organo. Da cui la conseguenza irreparabile di una dispersione degli “spiriti animali” — ovvero il danno collaterale di una generazione su cui peseranno «forza muscolare e virilità ridotte al lumicino ». Povero Tristram!
Da questa prima fatale interruzione è segnato il destino del protagonista, che farà della digressione la sua strategia d’attacco e difesa. In anticipo su Chaplin e Keaton Tristram sarà l’eroe di un’epica dell’irrilevanza con l’effetto comico di risvegliarci al pericolo dell’esistenza. Se davanti alla porta per uscire più volte Keaton rompe il vetro, chi non sia irrimediabilmente caduto nell’automatismo della percezione riscoprirà tutta l’audacia dell’azione. Ecco comparire nella narrazione il fantasma di Yorik e di Don Chisciotte e i nomi di Rabelais e Cervantes, nel tono di una gioco-mania, che Sterne chiama hobby-horse. Il primo degli hobby-horse è il romanzo che sta scrivendo.
Con in mente Nietzsche, suo ammiratore, viene da pensare che il personaggio che così si disegna è in chiave paradossale un uomo di specie diversa. Un “oltre-uomo”? Non dimentichiamo che Sterne è lo stesso che scrive The sentimental journey, ovvero il viaggio sentimentale, come tradusse Foscolo. Dove il personaggio-uomo si presenta come un apparato di sensibilità in cui esperienza morale ed estetica si intrecciano privilegiando nella definizione dell’identità il cuore e la coscienza.
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